dylan
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giovedì 27 luglio 2006
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breve sintesi e critica al film
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Tre parole per definire questo film: un grande spettacolo. Ma fermarsi a questa denominazione sarebbe alquanto riduttivo. Spielberg racchiude nella sua opera elementi derivanti dalla sua sofisticata arte cinematografica fondendoli a elementi di quella altrettanto sublime di Kubrick.
Già dal titolo si intuisce la natura del film, palesemente fantascientifica. Così come viene subito confermata dalla prima scena del film: un inventore di robot, di mecca, parla di una sua nuova idea appena partorita di generare robots bambini che sappiano amare. Un’importante introduzione questa, perché racchiude in sé lo spirito e il tema principale del film. E’ così che un bambino robot chiamato David, che inaugura una nuova serie di macchine, entra a far parte di una famiglia, una coppia che a breve a vissuto il drammatica perdita, se pur momentanea, del figlio.
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Tre parole per definire questo film: un grande spettacolo. Ma fermarsi a questa denominazione sarebbe alquanto riduttivo. Spielberg racchiude nella sua opera elementi derivanti dalla sua sofisticata arte cinematografica fondendoli a elementi di quella altrettanto sublime di Kubrick.
Già dal titolo si intuisce la natura del film, palesemente fantascientifica. Così come viene subito confermata dalla prima scena del film: un inventore di robot, di mecca, parla di una sua nuova idea appena partorita di generare robots bambini che sappiano amare. Un’importante introduzione questa, perché racchiude in sé lo spirito e il tema principale del film. E’ così che un bambino robot chiamato David, che inaugura una nuova serie di macchine, entra a far parte di una famiglia, una coppia che a breve a vissuto il drammatica perdita, se pur momentanea, del figlio. Inizialmente la sua presenza non viene ben accettata dai due, in particolare dalla moglie. Essi inizialmente rimangono alquanto meravigliati dalla figura di David, un robot che ha sembianze perfettamente umane. Ma David apparirà ben presto che una simulazione di un umano. David è qualcosa di più. La sua capacità di amare la madre, il suo affetto ossessivo verso di lei supera quello di qualsiasi altro essere umano, più di qualunque altro bambino, come il vero figlio che da lì a poco tornerà a far parte della famiglia. Il ritorno del figlio segnerà per sempre il destino di David. Il giovane robot è stato programmato per amare e non per odiare, cosa che invece accadrà al vero figlio nei confronti di David. Egli infatti proverà ben presto un senso di rivalità verso il robot, e quando David scaraventerà l’altro in una piscina nella sola innocente intenzione di proteggersi da dei bambini curiosi che l’avevano considerato una nuova attrazione tutta da scoprire, David non verrà capito. “Se è stato programmato per amare, è ragionevole presumere che sappia anche odiare” dirà il padre, spaventato dalle ultime reazioni di David. I due non hanno altra scelta: il giovane robot viene abbandonato in un bosco dalla madre, che gli consiglia di scappare da qualsiasi persona non sia una macchina come lui. E mentre la faccia del robot si riempie di lacrime, incapace di accettare l’abbandono della madre, ella se ne va lasciandolo al suo ignaro destino. Qui termina la prima parte del film. Il robot non riesce a conquistare l’affetto della famiglia, ma non per la sua mancanza di affetto, ma per la gelosia e la rivalità del loro vero figlio, emozioni tipicamente umane. David non avrebbe mai provato niente del genere, non avrebbe tagliato una ciocca di capelli solo per dimostrare il suo affetto, ma il genere umano non era ancora pronto ad accettare quella realtà, poiché era troppo abituato alla malvagità dalla quale si erano sempre contraddistinti gli umani. E’ per questo che David viene abbandonato. L’uomo non è stato in grado di credere all’unica natura per cui il giovane robot è stato programmato: amare. Ma l’amore di David è tanto forte da dargli la forza di continuare a vivere. Da quel momento il solo ed unico scopo della sua vita è quella di ritornare ad abbracciare la madre e conquistare il suo affetto. Convinto che ella lo abbia lasciato per la sua natura meccanica, decide di cercare l’unica persona che secondo lui può farlo diventare un vero bambino, la fata turchina, di cui era venuto a conoscenza in delle tante volte che la madre gli leggeva le favole. Non gli importava quanto avrebbe dovuto cercare o quanto lontano sia. Il suo tragitto sarà infatti alquanto lungo. David dovrà prima passare attraverso una pericolosa fiera della carne, dove i robots vengono distrutti in nome del trionfo della razza umana su quella artificiale. Con l’aiuto di un mecca, gigolo Joe, David trova finalmente il suo inventore. E scopre di non essere l’unico bambino robot sulla terra. Lo scienziato ha infatti cominciato a produrre una serie di bambini come lui, programmati per amare. E David non lo accetta perché ha sempre pensato di essere l’unico nella sua specie. E questa sembra essere la prima vera reazione umana. David è cosciente della sua superiorità e della sua unicità e non ammette che ce ne siano altri come lui. Quando troverà la fata turchina nei fondali del mare, David gli rivolgerà infinite preghiere affinché diventi un bambino vero.. per tremila anni. David si ritrova così in una nuova era dominata dall’esistenza aliena. Lo sviluppo tecnologico ha compiuto grandi passi, tanto che gli alieni possono esaudire in parte il suo desiderio. David potrà rivedere la madre per un solo giorno. Ma per David quel giorno durerà per l’eternità. In quel solo giorno riesce ad essere un bambino felice, a conquistare l’amore della madre. “Ti ho sempre amato David” dirà la madre prima di riaddormentarsi definitivamente, seguita dallo sguardo affettuoso del robot. Il film si chiude con la fine della giornata vissuta con la madre e con la realizzazione del suo desiderio.
I.A. racchiude in sé molti temi, tra cui quello più classico dei film di fantascienza: la realtà dei robot. Ma qui la questione principale è: cosa succederebbe se un robot provasse emozioni tanto umane da poter quasi essere considerato un vero e proprio umano, o forse meglio? Come reagirebbe l’uomo a tale innovazione tecnologica?
La mano di Spielberg si rintraccia subito nella sua infinita fantasia di rappresentare il fantastico: non si può non notare il suo tocco nell’ultima parte del film in cui compaiono gli alieni, che hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nei suoi precedenti film di fantascienza.
Ma si rintraccia anche la mano di Kubrick. L’opera inizialmente sarebbe dovuta appartenere a quest’ultimo e per questo I.A. è anche un omaggio al regista scomparso. L’uso sapiente dei colori, accesi nella prima parte, più cupi in quella centrale, per poi tornare a colori più vivaci nell’ultima parte quando David ritrova la madre, è un elemento particolare dei film di Kubrick, così come la palpabile lentezza e mistero che caratterizza tutto il film, come se ci muovessimo in una lenta e dolce favola, ricorda il capolavoro di fantascienza 2001: Odissea nello spazio.
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francesca
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martedì 22 agosto 2006
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il suo amore è vero ma lui non lo è
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David sembra un bambino ma è un robot creato per amare incondizionatamente,quando viene abbandonato parte alla ricerca della Fata Turchina di Pinocchio,l'unica che secondo la sua idea potrà trasformarlo in un autentico bambino. Spielberg firma questa favola, un viaggio alla ricerca dell'umanità perduta attraverso l'occhio disperato di un robot,lo fa partendo da un'idea del grande Stanley Kubrick(tratta a sua volta da un libro di Brian Aldiss) che da 10 anni perseguiva il sogno di realizzare Artificial Intelligence con lui. Film di una complessità mostruosa,diviso in tre parti,con continui riferimenti al Pinocchio di Collodi,avrebbe avuto un esito diverso se lo avesse completato Kubrick ma possiede comunque scene memorabili nate proprio dai bozzetti che il regista di Shining aveva creato per Spielberg.
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David sembra un bambino ma è un robot creato per amare incondizionatamente,quando viene abbandonato parte alla ricerca della Fata Turchina di Pinocchio,l'unica che secondo la sua idea potrà trasformarlo in un autentico bambino. Spielberg firma questa favola, un viaggio alla ricerca dell'umanità perduta attraverso l'occhio disperato di un robot,lo fa partendo da un'idea del grande Stanley Kubrick(tratta a sua volta da un libro di Brian Aldiss) che da 10 anni perseguiva il sogno di realizzare Artificial Intelligence con lui. Film di una complessità mostruosa,diviso in tre parti,con continui riferimenti al Pinocchio di Collodi,avrebbe avuto un esito diverso se lo avesse completato Kubrick ma possiede comunque scene memorabili nate proprio dai bozzetti che il regista di Shining aveva creato per Spielberg. Stupefacente per quanto riguarda le scenografie e gli effetti speciali dell'impareggiabile ILM, il film è disomogeneo e a tratti non proprio chiarissimo proprio per la quantità di temi trattati.E'una fiaba sulla ricerca dell'amore effettuata con ogni mezzo,l'amore puro e stupefacente di un robot per la sua mamma, un robot che è capace di amare senza limiti,senza condizioni e senza fini egoistici a differenza degli umani (il prof.Hobby crea David ad immagine e somiglianza del figlio scomparso, Henry porta David a casa per compiacere i suoi capi, Monica non esita ad abbandonarlo dopo alcuni eventi spiacevoli)anzi il film azzarda l'ipotesi che ciò che definiamo "artficiale" forse è più caldo e ricco di emozioni di ciò che si suol dire umano. La pellicola, sin dall'inizio cela un pessimismo di fondo che nn lascia il film nemmeno per un attimo,son lontani i tempi di E.T. e Jurassic Park dove i bimbi erano l'arma segreta dell'umanità,la speranza per salvare il mondo,l'umanità oggi,secondo Spielberg,è destinata a fallire, a scomparire miseramente tra i ghiacci.Senza dubbio il (qui) piccolo Joel Osment/David/Pinocchio è l'autentica meraviglia della storia, sui suoi occhi vacui e l'espressione tenerissima si reggono le 2 ore di film aiutato anche da Jude Law quale simpatico Gigolò/Lucignolo,personaggio che avrebbe meritato più spessore se non altro per poter approfondire la natura del suo rapporto con il piccolo robot.Il finale tocca vertici del puro melò alla Spielberg( consiglio caldamente i kleenex!)con David/pinocchio finalmente umano perchè raggiunge il luogo dove nascono i sogni accanto alla sua mamma sottolineato dalla ninna nanna del Maestro John Williams che conclude l'opera.
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ilcommissariologatto
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martedì 11 aprile 2017
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alla ricerca della fata turchina
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Questo è proprio uno di quei film che su dieci spettatori troverà dieci pareri diversi.
Prima e seconda parte della pellicola sono veramente diverse tra loro,l'unico vero punto di congiuntura è la presenza del bambino.
Dapprima regna una sorta di cinismo pragmatico dove una madre umana non riesce ad amare,al pari del mondo circostante,un figliolo "speciale" poi si viene trascinati in una sorta di favola moderna dove tutto è possibile.
Un bambino robot che insegue un sogno a me sembra un'idea bellissima soprattutto se si considera il fatto che l'unico vero desiderio che ha è quello di riabbracciare una madre che non ha avuto neanche la forza di amarlo completamente.
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Questo è proprio uno di quei film che su dieci spettatori troverà dieci pareri diversi.
Prima e seconda parte della pellicola sono veramente diverse tra loro,l'unico vero punto di congiuntura è la presenza del bambino.
Dapprima regna una sorta di cinismo pragmatico dove una madre umana non riesce ad amare,al pari del mondo circostante,un figliolo "speciale" poi si viene trascinati in una sorta di favola moderna dove tutto è possibile.
Un bambino robot che insegue un sogno a me sembra un'idea bellissima soprattutto se si considera il fatto che l'unico vero desiderio che ha è quello di riabbracciare una madre che non ha avuto neanche la forza di amarlo completamente.
Piuttosto che un film di fantascienza questo è un film sui sentimenti più profondi e "meccanici" o organici che siano i bambini sono la parte migliore del mondo.
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piernelweb
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sabato 2 febbraio 2008
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emozioni artificiali
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Spielberg e Kubrick discussero a lungo, già a partire dalla metà degli anni 80, su come potesse prendere forma cinematografica la sceneggiatura di A.I., in continua rielaborazione nell'immaginario dallo stesso Kubrick. Kubrick propose adirittura a Spielberg la regia mentre lui si sarebbe "accontentato" del ruolo di produttore. Il progetto non andò mai in porto, e solo dopo la morte del regista di "2001" Spielberg si decise a dirigerlo personalmente. Il risultato è un film che è segnato profondamente dalle personalità dei due registi: vi è un'anima introspettiva che filosofeggia su ipotetici scenari legati allo sviluppo dell'intelligenza artificiale tipicamente Kubrickiana; vi è un'anima da favola senza tempo, di chiara impronta Spielbergiana, che si concretizza nella vicenda del bimbo-robot David, un neo-Pinocchio nel futuro, che rincorre il sogno impossibile di diventare un essere umano e di essere amato come tale.
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Spielberg e Kubrick discussero a lungo, già a partire dalla metà degli anni 80, su come potesse prendere forma cinematografica la sceneggiatura di A.I., in continua rielaborazione nell'immaginario dallo stesso Kubrick. Kubrick propose adirittura a Spielberg la regia mentre lui si sarebbe "accontentato" del ruolo di produttore. Il progetto non andò mai in porto, e solo dopo la morte del regista di "2001" Spielberg si decise a dirigerlo personalmente. Il risultato è un film che è segnato profondamente dalle personalità dei due registi: vi è un'anima introspettiva che filosofeggia su ipotetici scenari legati allo sviluppo dell'intelligenza artificiale tipicamente Kubrickiana; vi è un'anima da favola senza tempo, di chiara impronta Spielbergiana, che si concretizza nella vicenda del bimbo-robot David, un neo-Pinocchio nel futuro, che rincorre il sogno impossibile di diventare un essere umano e di essere amato come tale. La pellicola è tutt'altro che perfetta perchè Spielberg, oltre a pagare la sua solita generosità narrativa, vira troppo il timone verso un buonismo Disneyano allungando fatalmente il finale per ingigantirne la fruibilità emotiva. Nel complesso rimane però un'opera da vedere perchè oltre ad una prima parte inquietante e affascinante vi sono tanti passaggi visionari di notevole livello (in particolare alla città dei balocchi, e nella New York sommersa). Impressionante la bravura di Haley Joel Osment (la sua recitazione evolve via via nel film ) mentre Jude Law si ritaglia il bel ruolo in un personaggio di contorno difficile da dimenticare.
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armilio
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sabato 29 dicembre 2012
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la storia (del cinema) non si fa con i se, ma...
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...se ci fosse stato Kubrick alla regia!
(attenzione, spoiler)
La prima parte, fino all'abbandono del bambino, faceva sperare nel capolavoro, ed era in evidente stile Kubrickiano: freddo indagatore delle dinamiche sociali, nessuna traccia di cantastorie. Un film a metà strada tra il dramma familiare e il sci-fi. Niente di nuovo, ma perfetto, sublime.
Poi incomincia la seconda parte, il viaggio del bambino fino agli abissi del luna-park sommerso: questa parte è la parte con il maggior potenziale inespresso. Un viaggio che poteva diventare un modo per scoprire il mondo futuristico immaginato nel film, in realtà non compie mai appieno questo compito, preferendo mantenere gran parte dell'attenzione sulla figura del bambino, e della sua ricerca della "fata turchina".
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...se ci fosse stato Kubrick alla regia!
(attenzione, spoiler)
La prima parte, fino all'abbandono del bambino, faceva sperare nel capolavoro, ed era in evidente stile Kubrickiano: freddo indagatore delle dinamiche sociali, nessuna traccia di cantastorie. Un film a metà strada tra il dramma familiare e il sci-fi. Niente di nuovo, ma perfetto, sublime.
Poi incomincia la seconda parte, il viaggio del bambino fino agli abissi del luna-park sommerso: questa parte è la parte con il maggior potenziale inespresso. Un viaggio che poteva diventare un modo per scoprire il mondo futuristico immaginato nel film, in realtà non compie mai appieno questo compito, preferendo mantenere gran parte dell'attenzione sulla figura del bambino, e della sua ricerca della "fata turchina". Si perde qui la possibilità di dare profondità alla storia, come se a questo punto Spielberg avesse distolto lo sguardo da quello che gli indicava Kubrick e l'abbia posato su quello che piaceva più a lui.
In ogni caso, il film poteva benissimo finire mezz'ora prima, con il bambino che guarda per l'eternità la statua della Fata Turchina. Una fine triste: ma realistica, interessante, che poteva dare tutto un altro significato al film, che mi avrebbe lasciato soddisfatto. Ma no, qua Spielberg decide di rovinare il film con il lieto fine favolesco: ci mette in mezzo gli alieni - ma non può stare senza? - e fa pastrocchi sullo spazio-tempo rovinando tutta quell'aurea di fantascienza che comunque il film si era costruito.
Il film quindi perde ogni interesse intellettuale, e diventa la storia del bambino (robot) piagnucoloso, con alieni (alieni! umanoidi! buoni!) deus-ex machina che servono a dare il finale mieloso che tutti i bravi padri e madri di famiglia vogliono vedere. E allora sia caro Steven, ma hai buttato in pasto ai porci un potenziale capolavoro.
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marcèlle
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sabato 23 maggio 2015
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dove la fantascienza riesce a toccare l'anima
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Questo che ci viene presentato è un futuro dove l'ingegno umano arriva a creare l'amore, incondizionato, puro e questo si riflette negli occhi azzurri del piccolo robot/bambino chiamato David "creato" per amare. Il film I.A è una squisita e toccante rivisitazione della favola di Pinocchio dove al posto del legno l'accoppiata Kubrik/Spielberg mette il materiale ad oggi più diffuso : il freddo del ferro e l'acciaio di una macchina.
La domanda suggerita dal regista allo spettatore fin dalla prima scena non è se il bambino/ robot può provar amore ma quanto questo amore potrà mai essere apprezzato o compreso dall'uomo ossia quanto l'amore umano sia frutto di un reale sentimento o si nasconda così da non far trapelare il solo bisogno egoistico di un oggetto , un ancora alla tremenda solitudine o ancor peggio disillusione nei confronti dell'amore , di un gesto d'affetto.
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Questo che ci viene presentato è un futuro dove l'ingegno umano arriva a creare l'amore, incondizionato, puro e questo si riflette negli occhi azzurri del piccolo robot/bambino chiamato David "creato" per amare. Il film I.A è una squisita e toccante rivisitazione della favola di Pinocchio dove al posto del legno l'accoppiata Kubrik/Spielberg mette il materiale ad oggi più diffuso : il freddo del ferro e l'acciaio di una macchina.
La domanda suggerita dal regista allo spettatore fin dalla prima scena non è se il bambino/ robot può provar amore ma quanto questo amore potrà mai essere apprezzato o compreso dall'uomo ossia quanto l'amore umano sia frutto di un reale sentimento o si nasconda così da non far trapelare il solo bisogno egoistico di un oggetto , un ancora alla tremenda solitudine o ancor peggio disillusione nei confronti dell'amore , di un gesto d'affetto. Già ad una prima visione del film infatti balza all'occhio la paura e la diffidenza dell'umanità che tenta in tutti i modi di cancellare la sua creazione tramite vere e proprie cacce ai mecca ( robot ) che vengono perseguitati dopo esser stati ripudiati dai loro stessi "padroni" per i più svariati motivi : se troppo vecchi , se difettosi o troppo perfetti.L'uomo è metro , ispirazione e incubo in questo film a cui David ,abbandonato dalla sua famiglia perchè a parere del " padre " Henry troppo pericoloso o imprevedibile, cerca di raggiungere. Il bambino(mecca) dopo l'abbandono(altro tema portante del film) intraprenderà un viaggio alla ricerca della fata turchina unica in possesso , secondo lui , di farlo diventare finalmente un bambino vero della quale è venuto a conoscenza tramite la favola di Collodi narrata dalla madre a lui e al fratello.Si aprirà quindi una seconda parte del film nella quale assieme al suo giocattolo/amico Teddy orsetto parlante incontrerà lo gigolò Joe altro mecca che dopo essere stato catturato insieme e poi fuggito in uno dei soli sprazzi di umanità visibili da parte degli umani di una folla che rifiutandosi di distruggere David riconoscendo in lui un attaccamento alla vita nelle sue urla di disperazione prima dell'esecuzione.
E' toccante l'evoluzione di David presentatoci come anonimo robot/bambino durante il viaggio subisce un umanizzazione acquisita tramite la ricerca del suo sogno ossia della sua felicità. Felicità che finalmente conquisterà dopo innumerevoli delusioni e tempo... duemila anni passati nel fondo del mare aspettando che la fata turchina finalmente realizzi il suo desiderio.
E' quindi questo un film che ricerca il significato d'amore nei suoi molteplici aspetti associando la dolcezza estrema di un bisogno puro irrazionale capace di aspettare secoli e millenni senza giudicare, senza ferire ad una invece più fredda e crudele paura di perdita o di un abbandono...sembra quasi che voglia sussurrare la scelta, il futuro e l'essenza dell'umanità che vive solamente nei contrasti.
E' forse questo il senso della vita?....
buona visione
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domenico argondizzo
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venerdì 13 marzo 2009
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una recensione fuori tempo e luogo
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La prima domanda che mi ponevo, subito dopo averlo visto, era come sarebbe stato se a girarlo fosse stato S. Kubrick. In effetti domande così banali sarebbe il caso di lasciarle fare ai tanti cialtroni del giornalismo televisivo, ma oramai me l’ero posta ed ho trovato un giusto compromesso con il mio snobismo rispondendo che probabilmente, se a girarlo fosse stato Kubrick, avrei versato meno lacrime o non ne avrei versate affatto.
A parte questo, il film mi ha colpito come succede una, al massimo due volte in una stagione cinematografica (a volte, purtroppo, meno di una volta per diverse stagioni…).
Non voglio raccontarvi della trama ma delle riflessioni diciamo pure filosofiche che spinge a fare.
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La prima domanda che mi ponevo, subito dopo averlo visto, era come sarebbe stato se a girarlo fosse stato S. Kubrick. In effetti domande così banali sarebbe il caso di lasciarle fare ai tanti cialtroni del giornalismo televisivo, ma oramai me l’ero posta ed ho trovato un giusto compromesso con il mio snobismo rispondendo che probabilmente, se a girarlo fosse stato Kubrick, avrei versato meno lacrime o non ne avrei versate affatto.
A parte questo, il film mi ha colpito come succede una, al massimo due volte in una stagione cinematografica (a volte, purtroppo, meno di una volta per diverse stagioni…).
Non voglio raccontarvi della trama ma delle riflessioni diciamo pure filosofiche che spinge a fare.
Prima di tutto, l’ambientazione futura e fantascientifica (neanche tanto) pone come risolte in maniera drammaticamente negativa tutte le problematiche ambientali a cui ancora oggi potremmo dare una risposta diversa dalla noncuranza.
Vi è poi la questione della diversa velocità a cui evolve il pensiero etico rispetto alle realizzazioni tecnico-scientifiche. Mi riferisco, precisamente, alla mancanza di capacità dell’uomo di prevedere e metabolizzare le ripercussioni rivoluzionarie che la tecnica può avere sul suo orizzonte emotivo, sulla sua vita ideale e, non per ultima, sulla sua psiche.
L’incapacità di anticipare e quindi di sapere se e come affrontare queste interrelazioni pone l’uomo in un pericoloso ritardo che potrebbe raffigurarsi metaforicamente con l’immagine di un primitivo che, creata la fionda, si spari un sasso nell’occhio.
Nulla da meravigliarsi se in questi ampi spazi lasciati vuoti dalla cultura facciano breccia ed imperversino varie subculture, di varia a matrice, che, di fronte ai problemi del progresso tecnico, conoscono un grezzo strumento di non-analisi, quello del totale rifiuto in nome di una “morale”. Quanto questa chiusura contribuisca ad essere impreparati ai fatti che, comunque, l’evoluzione della tecnica produce, risulta del tutto evidente.
Vi è poi una terza questione che il film pone, quella della domanda di senso che da sempre connota il nostro relazionarci con il mondo che ci circonda. La prospettiva da cui si affronta, è quella del “cosa resterà di noi”, che tipo di testimonianza un eventuale essere del futuro potrà avere della nostra civiltà, una volta che questa si sarà estinta. Cosa le sopravvivrà?
La risposta data, coerentemente con il taglio privato-intimista di tutto il film, è che sarà l’amore, il sentimento più forte che l’uomo è capace di provare verso un altro umano, non importando che tale manifestazione emotiva sia “vissuta” (con totale identificazione) da un essere creato artificialmente della tecnica umana. Partendo da questo ultimo elemento, che potrebbe essere una emblematica ironia sul destino dell’uomo, può provarsi a dare una ulteriore risposta.
Allargando la visuale dalla storia del singolo, per ricomprendervi la sua interrelazione con gli altri, quindi la/e società, il conflitto scienza - etica può trovare la sua unica reale composizione, cioè quella politica. E’ in essa che l’etica ha trovato da sempre il banco di prova per le sue idealizzazioni: nella risoluzione non più solo del rapporto del singolo con la propria ricerca di senso, ma soprattutto del rapporto sociale inteso come creazione di un senso condiviso e comune. La politica può orientare la scienza e la tecnica nella risoluzione dei problemi umani ed anche dei problemi che le stesse realizzazioni tecniche pongono.
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petercinefilodoc
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sabato 26 aprile 2014
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uno dei migliori spielberg del 2000!
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Fra i tanti progetti incompiuti di Stanely Kubrick, ce n'era anche uno che affrontava l'impatto della tecnologia nel futuro attraverso un'androide bambino capace di provare sentimenti. Ma le tecnologie che un film del genere richiedeva non si erano ancora sviluppate molto all'epoca, il regista di Arancia Meccanica e Shining decise quindi che sarebbe stato meglio aspettare un po di anni prima di portarlo sullo schermo. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1999, il progetto fu impugnato da un suo grande amico: Steven Spielberg, che ne cura anche la sceneggiatura (la seconda della sua carriera). E finalmente, dopo anni di lavorazione, nel 2001 A.
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Fra i tanti progetti incompiuti di Stanely Kubrick, ce n'era anche uno che affrontava l'impatto della tecnologia nel futuro attraverso un'androide bambino capace di provare sentimenti. Ma le tecnologie che un film del genere richiedeva non si erano ancora sviluppate molto all'epoca, il regista di Arancia Meccanica e Shining decise quindi che sarebbe stato meglio aspettare un po di anni prima di portarlo sullo schermo. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1999, il progetto fu impugnato da un suo grande amico: Steven Spielberg, che ne cura anche la sceneggiatura (la seconda della sua carriera). E finalmente, dopo anni di lavorazione, nel 2001 A.I. - Intelligenza artificiale usci' nelle sale di tutto mondo. Protagonista assoluto Haley Joel Osment, l'allora bambino rivelazione de Il sesto senso, candidato all'Oscar a soli 11 anni. Ciò che apparentemente sembra un mastodontico blockbuster d'intrattenimento, nei suoi 140 minuti di durata in realtà coglie l'occasione per riflettere su molti temi interessanti, legati principalmente al forte impatto della tecnologia nel futuro, ma anche aspetti sociologici ed esistenziali. L'uomo crea gli androidi, se ne serve, ma questi pian piano iniziano a diventare sempre più numerosi. Essi ovviamente sono molto più intelligenti di noi ed inoltre vivranno in eterno, mentre il genere umano è costretto ad una periodica sostituzione. L' inevitabile conseguenza è che gli uomini iniziano a distruggere i robot per fare in modo che questi non prendano il sopravvento numerico sulla razza umana. Vengono trattati per quello che sono, degli oggetti privi di emozioni. Ma quando l'azienda Cybertronics decide di produrre David, il primo robot capace di provare emozioni e addirittura di voler bene, dalle sembianze di un bambino, questo concetto cambia. David non è umano, ma prova le nostre stesse emozioni e sofferenze, non merita di essere trattato come tale? Eppure l'uomo ha sempre difficoltà nell'accettare ciò che è diverso. E cosi', la famiglia a cui è stato affidato decide di abbandonarlo. Questo film è geniale, la sceneggiatura è geniale, Spielberg ci dà una dettagliatissima visione del futuro. Tutto è studiato nei minimi particolari: le macchine, le case, i giochi futuristici, le città. Da brividi le immagini della New York sommersa, con la Statua della libertà che ormai mostra soltanto il braccio alzato. Un'uso del digitale magistrale per l'epoca. Ma è il cuore del film rimane il personaggio di David. Quel che inizia come un film fantascientifico si trasforma in una favola moderna. Un robot, che dopo aver ascoltato dalla "madre" la favola di Pinocchio, va alla ricerca dell Fata Turchina per chiederle di trasformarlo in un bambino vero, con la speranza che in questo modo i genitori lo ameranno di più. Solo Spielberg poteva portare in scena una storia del genere, con la sensibilità e il grande cuore che ha sempre contraddistinto i suoi precedenti film, ormai mitici e impressi nella memoria di almeno 3 generazioni. La regia è una delle migliori del signor telefono casa, stile Kubrick, dove ogni movimento di macchina fa gioire per l'eleganza con cui è stato realizzato, e non è un caso se i fan di Stanley salteranno ripetutamente dalla poltrona dinanzi alle palesi citazioni a film del regista, in particolare 2001 e Arancia Meccanica. Posso dunque riassumere che in AI c'è tanto Spielberg, ma anche tanto Kubrick. Spassosissimo il personaggio del Gigolò Joe (Jude Law), robot in fuga per essere stato incastrato in un omicidio da un suo cliente. Egli entrerà in contatto con David dando esilaranti siparietti comici. Avete quindi capito che ho letteralmente amato A.I. - Intelligenza artificiale, trovo che sia un film geniale, intelligente, visivamente eccelso, profondo, commovente. Uno dei migliori Spielberg degli ultimi 14 anni.
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killbillvol2
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mercoledì 16 maggio 2012
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a.i. artificial intelligence
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Classico esempio di film straziante, che da un'idea bella la rovina nel corso del film, in particolare nella terza parte. Infatti, come ha detto il Morandini, il film è divisibile in tre parti:
1. La prima è la migliore, comunque triste, ma avvincente, e basata sulla bella idea di un robot capace di amare, che viene dato a due coniugi che hanno un figlio in coma. Quando quest'ultimo si risveglia, loro sono costretti ad abbandonare il piccolo robot.
2. Inferiore alla prima parte, ma comunque ABBASTANZA godibile, nella quale il piccolo robot va in cerca della Fata Turchina in mezzo ad un mondo tanto futuristico quanto barbaro e crudele.
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Classico esempio di film straziante, che da un'idea bella la rovina nel corso del film, in particolare nella terza parte. Infatti, come ha detto il Morandini, il film è divisibile in tre parti:
1. La prima è la migliore, comunque triste, ma avvincente, e basata sulla bella idea di un robot capace di amare, che viene dato a due coniugi che hanno un figlio in coma. Quando quest'ultimo si risveglia, loro sono costretti ad abbandonare il piccolo robot.
2. Inferiore alla prima parte, ma comunque ABBASTANZA godibile, nella quale il piccolo robot va in cerca della Fata Turchina in mezzo ad un mondo tanto futuristico quanto barbaro e crudele.
3. La più brutta, noisa, e per fortuna corta delle tre, nella quale il film si perde completamente, mentre il povero robot "trova" la Fata Turchina.
Superata la metà si ha la netta sensazione che il film non sappia dove andare a parare (infatti alla fine compaiono addirittura gli alieni!!!), e delude le grandi aspettative che si erano via via formate nella prima parte. Certamente è girato in modo sublime da Spielberg, che lo ha anche scritto basadosi su un soggetto di Brian Aldiss, ma non è tutto. Il progetto era stato inizialmente ideato per Stanley Kubrick, che purtroppo morì prima di realizzarlo, e il film passò nelle mani del grande amico. Nel finale, sembra quasi che il regista abbia avuto un attacco di sadismo nei confronti del povero protagonista, che è per altro l'emblema della sfiga umana (la statua della fata turchina che gli si frantuma davanti agli occhi). Gli unici motivi validi per vedere questo film sono l'uso delle luci, e l'irresistibile orsacchiotto meccanico Teddy, che accompagna il robot per tuttee sue peripezie. Carina e divertente l'interpretazione di Jude Law nei panni di un gigolò meccanico ideato solo per il piacere femminile. Non è un granchè, nonostante le belle riprese della città futuristica e della New York allagata dalle acque. E poi 140 minuti sono davvero troppi.
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armilio
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sabato 29 dicembre 2012
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aggiungo una cosa alla mia rece:
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La seconda parte, con il viaggio del bambino alla ricerca della fata Turchina, poteva diventare - con un occhio più freddo e Kubrickiano - una metafora della ricerca della verità, che si arenava nell'oceano. E invece Spielberg ha voluto mantenere in piedi il sogno, non deludere lo spettatore non smaliziato, a costo di resuscitare - letteralmente - i morti.
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