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Dunque, un’altra storia la femminile di donne che lottano contro una società che le e ci opprime, e poco importa se la protagonista è una ragazzina di terza media. Come anche la protagonista di “Lanterne rosse” nel suo tempio, (dove tutto, anche i colori delle stesse lanterne, aveva un preciso significato), si trova ad operare in un mondo chiuso (Questa è una parziale differenza, all’inizio, con Qiu Ju, che compirà un viaggio). Se la protagonista dell’opera che ha reso Zhang famoso lottava per diventare favorita di un potente, questa deve entrare nel cuore dei “semplici”, di ragazzini che vivono in un contesto (materialmente) tanto misero che, quando un uomo si appoggia ad un banco, questo cade nell’ilarità generale. Il regista è attento a non idealizzarla, quantomeno in una fase iniziale: nel descrivere i suoi sforzi non perde di vista che gli intenti iniziali sono anche egoistici ( Non vuole che i bambini lascino la scuola nel timore di perdere quanto le spetta). Siamo comunque dalle parti di un "Realismo" ingenuo, lontano dai primi Dardenne, che catturavano i travagli di "Rosetta" con una semplice cinepresa, tagliente come un rasoio per il benestante spettatore occidentale. Ove però Zhang fa (Parzialmente) centro è nel descrivere, non senza le lungaggini tipiche di (Certo) cinema orientale, i paradossi a cui si va incontro in quelle situazioni, non solo ironizando sull'elefantiaco stato cinese (Già o ancora nel'99 il bambino doveva diventare atleta per servire la nazione),ma anche mostrando situazioni in cui i ragazzini erano costetti a lavorare duramente per esercitare diritti universali come lo studio: quei lavori improvvisati che rischiavano di creare più danni che altro, di non venir neppur pagati, e in cui la maestrina si auto-restituiva alla sua età, autoinserendosi nel corpo della classe invece di esercitare un ruolo formativo.
Quest'atmosfera un pò tenera un pò ironica, la cui carenza di tutto (Tranne che di affetto) mi ha ricordato l’iraniano “Djomeh”, subisce una svolta quando uno dei piccoli protagonisti si perde. E’ allora che la ragazzina somiglia sempre meno alla protagonista di “Lanterne rosse “ e sempre più a “Qiu Ju”, costretta com’è ad affrontare la Cina della fine anni ’90, dove comincia ad affiorare l’egoismo per volersi –Giustamente- linerare dalla miseria dell’utopia comunista. Dove nessuno legge di più un volantino appeso per strada, ed in cui una funzionaria, forse per eccesso di solerzia forse per insensibilità, rifiuta di farla parlare col presidente della televisione locale, che aveva trovato con tanta fatica. IL ragazzino, però, alla fine assiste all’appello tanto strenuamente ottenuto , ed i due possono tornare alla loro dimensione semplice ma ancora incontaminata, con in più un premio corrisposto dallo Stato alla coraggiosa protagonista .Ma già questa, secondo chi scrive, è una differenza con !Qiu Ju”, dove non ci si preoccupava assolutamente di garantire il lieto fine. Dove la donna andava in giro per riparare un torto subito, quel viaggio diventava una metafora della Cina contemporanea (si pensi alla scena della Coca-Cola), e per trovare la commozione dello spettatore si mostrava la sua fatica in un Paese ancora aun bivio (Più di questo, dove sette anni dopo una certa realtà si è forse consolidata, come dimostrava con maggior ironia il pur imperfetto “Keep Cool!”).
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