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“No wire hangers, ever!” La voce isterica e terrificante di Joan Crawford tiranneggia su noi pubblico e su sua figlia adottiva Christina come se anche noi ci sentissimo mortificati per aver appeso un vestito ad una gruccia di metallo anziché ad una di legno. Ma non è tutto, perché questo è uno dei tanti episodi che accadono in questo film sulla vita di una delle più famose dive hollywoodiane degli anni ’40, basato sul libro-vendetta scritto dalla figlia adottiva poco tempo dopo la sua morte. Joan Crawford era dunque solamente una donna nevrastenica, alcolizzata e tendente alla violenza, maniaca della pulizia? Questo non lo sapremo mai con verità, visto che Christina ha pubblicato il suo libro dopo che la madre non le aveva lasciato neanche un centesimo nel testamento; nonostante ciò, bisogna riconoscere che il regista ha fatto un grande sforzo per comprimere, in circa due ore, più di 30 anni di vita di una donna dalle mille sfaccettature e dalle mille occupazioni –come non ricordare la presidenza della Pepsi Cola- concentrandola esclusivamente sul rapporto con la figlia ed escludendo altri aspetti forse più interessanti.
F. Dunaway sottoposta ad un trucco allucinante ha dei momenti in cui sembra sia posseduta dalla vera Crawford tanto le assomiglia, e la sua bravura è notevole. Le due attrici che interpretano la figlia nelle diverse età forse riducono di molto il valore della sua prova.
Hollywood deve aver molto amato Miss Crawford, visto che il film non prese nemmeno una nomination agli Oscar per la performance della Dunaway ma vinse molti Razzie Award, tra cui anche quello per il peggior film del decennio.
Joan Crawford era una vera Diva con la D maiuscola e forse ha amato veramente sua figlia, forse troppo, al punto da non venire compresa, visto che voleva vedere in Christina la figlia perfetta in ogni situazione ma, si sa, la perfezione non è di questo mondo.
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