Assassini nati - Natural Born Killers

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Un film di Oliver Stone. Con Woody Harrelson, Juliette Lewis, Tom Sizemore, Rodney Dangerfield, Everett Quinton.
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Titolo originale Natural Born Killers. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 120 min. - USA 1994. - Warner Bros Italia uscita sabato 10 settembre 1994. MYMONETRO Assassini nati - Natural Born Killers * * * - - valutazione media: 3,24 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Tra le cose sicure, la più sicura è il dubbio, diceva Bertolt Brecht. E non v’è dubbio che bisogna avere un egogranitico per non modificare mai il proprio punto di vista e non lasciarsi sfiorare da quello altrui. Per un grande film come è, che piaccia o no, Natural Born Kiliers (Assassini nati) di Oliver Stone, le opinioni critiche si sono divise verticalmente come la faglia di Sant’Andrea durante un terremoto, addirittura sullo stesso organo di informazione (è il caso di “Newsweek”, i cui due critici, David Ansen e Jack Croll, si sono sfidati a singolar tenzone di parole) e in generale su tutta la stampa, da quella americana a quella internazionale.
Ma, appunto, la lettura delle opinioni altrui e la possibilità di ritornare sull’argomento, prendendo le distanze dalle reazioni a caldo della presentazione veneziana e dalle orride discussioni che ne sono nate, incoraggiano il dubbop e la revisione dei punti di vista.
Come la critica non è una scienza esatta? Le opinioni possono modificarsi? Certo. In un clima surriscaldato come quello di un festival, le cose le si guarda con più passione minor distacco. E, sulla distanza, il ricordo fissa le cose che di un film restano maggiormente - anche se sempre soggettivamente. Questo per dire che, pensando e ripensando al film di Oliver Stone (ormai chiamato in America NBK, sul modello di JFK, a cui assomiglia per struttura come un incubo psichedelico assomiglia a un reportage sulla stessa realtà) mi sento sempre più portata, contro l’ironia e la sopraccigliosità di molti, ad ammirarne l’aspetto formale, la continua invenzione, la ricchezza delle soluzioni, la mai ripetitiva giustapposizione di forme e di immagini. NBK è, con la sua aggressività, sgradevolezza, barocchismo, eccessi espressivi, una festa di creatività. Certo, la parola festa suona male, visto il soggetto raccapricciante.
Natural Born Killers racconta dunque della fuga attraverso il Sud degli Stati Uniti di una coppia di amanti assassini (cinquantadue sono i cadaveri che si lasceranno alle spalle), moderni Bonnie & Clyde, star dei media, esibizionisti (oltre che killer) nati. Li inseguono la polizia, sotto forma di uno sgradevole poliziotto appena meno bacato di loro, e, in mezzo alla canea dei media impazziti, un giornalista che li vuole alla sua trasmissione in diretta. Sono catturati, finiscono in penitenziario, scatenano una rivolta devastante. E, mentre il mondo attorno a loro va in fiamme, e l’odioso anchorman muore in diretta dopo aver scoperto il gusto del sangue, ripartono insieme verso un futuro in cui, ironicamente, li ritroviamo felici, perenne-mente in fuga, carichi di bambini.
Festa, dunque, suona male. Ma è questa l’impressione paradossale che, dopo due visioni di NBK e ogni discussione spenta, mi lascia il film di Stone. L’impressione che la forma - la miscela visivamente esplosiva di videoclip, colore, bianco e nero, fumetto, 16 mm gonfiati, effetti speciali, memorie di trip psichedelici, scorci di realtà virtuale, sit-com, satira, decibel impazziti, canzoni usate a contrasto sia diventata nei fatti il messaggio del film molto di più di quello che Stone si è proposto, e cioè la condanna dell’uso che i media fanno (la televisione made in Usa insegna) della violenza, della morte, del sangue, del voyeurismo tv. Che l’invenzione prevalga sulla critica. Che il gioco scenico travalichi le intenzioni ideologiche. Che il sospetto da me avvertito nella seconda parte del film, dove ogni valore si azzera nel calderone della generale imbecillità, malafede, violenza, non abbia in realtà grande peso di fronte al trionfo barocco di una fantasia tale da appiattire anche il suo potenziale di denuncia.
In altre parole? Che NBK sia un film per chi ha il gusto e il piacere delle immagini, ma non aggiunga nulla, in termini di analisi o di comprensione, al suo enunciato e alle sue intenzioni. Che abbia probabilmente ragione il “New Yorker” quando definisce il film poco inquietante. È inquietante la realtà di cui parla (ma che non riesce a farci vedere con occhi diversi da sempre). Ed è elettrizzante, faticoso, lussureggiante, sorprendente il modo con cui ce la racconta: un paradossale monumento alla follia della cultura che vuole attaccare, fatto dei suoi stessi detriti.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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