I soliti sospetti

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Un film di Bryan Singer. Con Stephen Baldwin, Kevin Spacey, Chazz Palminteri, Gabriel Byrne, Benicio Del Toro.
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Titolo originale The Usual Suspects. Giallo, durata 106 min. - USA, Germania 1995. - Lucky Red uscita giovedì 30 novembre 1995. MYMONETRO I soliti sospetti * * * * - valutazione media: 4,07 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Diceva Umberto Eco a proposito di Casablanca che “quando la scelta del collaudato è limitata, si ha il film di maniera o di serie o addirittura il kitsch. Ma quando del già collaudato si mette proprio tutto, si ha un’architettura come la Sagrada Familia di Gaudì, che sfiora la genialità”. Insomma, uno stereotipo è uno stereotipo, cento (consapevoli?) possono fare un capolavoro. I soliti sospetti del giovane americano Bryan Singer, noir nerissimo accolto come una rivelazione e grande successo uscito dal Sundance Film Festival 1995, crede di fare la Sagrada Familia del mystery, e invece costruisce un piccolo tempio kitsch al genere. E non a caso il titolo cita la battuta del capitano Renault di Casablanca dopo l’assassinio di Strassner:
“Round up the usual suspects,” fermate i soliti sospetti. Non che il copione elaborato da Christopher Mc Quarne per Singer (di cui aveva scritto anche il film di debutto, Public Access, tanto interessante quanto sgangherato) difetti di ingegnosità e di soluzioni brillanti. Ma, per via del tono drammatico e serissimo, sfiora continuamente l’effetto contrario. Vorrebbe essere nero, molto nero, e fa sorridere.
La storia - complicatissima, ma, mi raccomando, non fidatevi fino in fondo di quello che vedete, il regista vi gioca alcuni tiri sleali e usa i flashback contro la deontologia misterica - comincia alla grande, con una grandiosa esplosione nel porto di “San Pedro, California, la notte scorsa”. Passa per un ospedale dove l’unico superstite della tragedia mormora roco e terrorizzato un nome fatale. E fa un balzo indietro di sei settimane, a New York, portandoci in una stazione di polizia dove cinque “sospetti”, arrestati e messi insieme in cella, trascorrono la notte agli arresti architettando un piano criminoso da loro ritenuto astutissimo. Quando si accingono a metterlo in atto, comincia però a interferire con il loro progetto un nome, una leggenda, un mito della crudeltà, che non compare mai se non attraverso figure di intermediani non meno feroci: Keyser Soze, il boss ungherese della malavita così spietato da aver ucciso i suoi stessi figli, pronto a far fuori chiunque, amico o nemico. E siccome c’è di mezzo una partita da novantun milioni di dollari di coca sparita, oltre al controllo dell’impero del male, si scatena una guerra senza quartiere tra i “soliti sospetti” (di cui fanno parte David Byrne, Stephen Baldwin e Kevin Spacey), il potere occulto di Soze e il suo clan (tra cui ritroviamo, inopinatamente ribattezzato Kobayashi e poco credibilmente abbronzato, l’irlandese Pete Postlethwaite, il padre di Nel nome del padre) e la polizia, incarnata da un flemmatico - e molto poco convinto - Chazz Palmintieri.
Mi dicono che chi non è del tutto impreparato ai trucchi del genere indovini ben presto, in base all’aureo principio della massima improbabilità (o della banalità del male), l’identità del terrificante Keyser Soze. Nonostante qualche familiarità con i mysteries devo confessare che la scoperta mi ha colto impreparata - ma forse semplicemente perché trovo il film nel complesso un’esercitazione non proprio eccitante e generalmente forzata. Quasi che il giovane Singer - indubbiamente dotato di talento - avesse voluto strafare, rimpinzando il film di trappole, inganni, figure retoriche, “ralenti”, falsi flashback. Così che I soliti sospetti finisce per rasentare la parodia senza averne il coraggio, e ci lascia con una Sagrada Familia senza pinnacoli e con la sensazione di essere stati un po’ presi in giro.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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