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Rec. di Maria Cristina NASCOSI SANDRI -
Come accadde a Mario Martone con il suo lontano ma rimasto sempre un unicum nella storia del cinema, Morte di un matematico napoletano, forse anche per Asaph Polonsky questa opera prima, meritatamente pluripremiata, rimarrà la sua migliore.
Perché in essa è riuscito a trasfondere tutta la sua fresca e grande giovane cultura a tutto tondo, e la sua follia altrettanto giovane che gli ha fatto interpretare - anche grazie alle performances dei protagonisti, il padre, la madre ed il figlio dei vicini odiosamati - l'elaborazione di uno dei lutti, forse il peggiore che possa capitare ad essere umano, la perdita di un figlio - in un modo del tutto originale e surreale, ma quanto umano ed affettuoso, nei confronti dell'umanità intera, con un pizzico di ironia ed autoironia che sono il sale e la salvezza dell'esistenza.
Un'autentica lezione di vita, di amore, di speranza che posson provenire dalla persona che meno pare meritare la tua fiducia, solo perché, in realtà, non la conosci, è giovane, senza esperienza - è il figlio di quei vicini che facendo l'amore tutti i giorni a due passi dalla tua camera sembrano celebrare la vita, quella vita da cui tu ormai hai preso distanze e, forse, hai già dato l'addio, anzitempo.
E invece questo giovane, che fuma spinelli, che t'insegna a fumarli e s'inventa un incidente per rimanerti vicino ed alleggerire il tuo fardello di dolore infinito, è una persona forse più adulta, che pure amava l'amico morto, pur non partecipando in diretta al periodo di lutto previsto dalla religione ebraica, lo shivà, ma che, come vuole Eli - Dio, non vuole che il tuo lutto sia eterno, la vita deve andare avanti, proseguire, perché altri ci sono ad amarti, ad esserti vicino, quando meno te l'aspetti.
Nessun uomo è un'isola e ridere o, almeno, sorridere, in questo film, è un tabu' assolutamente da superare, anche in sala, specie da parte degli spettatori, disarmati ed imbarazzati a fronte di questo nuovo e così vero meaning of life - senso della vita.
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