Prendi i soldi e scappa

Un film di Woody Allen. Con Woody Allen, Janet Margolin, Marcel Hillaire, Lonny Chapman, Jan Merlin Titolo originale Take the Money and Run. Commedia, durata 85 min. - USA 1969. MYMONETRO Prendi i soldi e scappa * * * 1/2 - valutazione media: 3,80 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Prendi i soldi e scappa. Valutazione 3 stelle su cinque

di Nicolas Bilchi


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domenica 11 dicembre 2011

In realtà sarebbero 3 stelle e mezzo. Dopo Che fai, rubi?, film molto sperimentale che già mostrava una certa attitudine molto singolare di Woody Allen nel suo rapportarsi alle possibilità d'uso del mezzo cinematografico, il regista debutta per la prima volta con un'opera completa con Prendi i soldi e scappa. La comicità si ricollega in modo molto evidente a quella della sua opera precedente, ma in quest'occasione Allen, potendo servirsi di una scenaggiatura autonoma, è in grado di arricchirla con tutta una serie di elementi che in Che fai, rubi? non potevano necessariamente essere presentati. In questo modo, se la sua prima fatica rappresentava il biglietto da visita di un giovane regista un po' strampalato, ma che aveva ancora tutto da dimostrare, Prendi i soldi e scappa permette già a Woody di imporsi come personalità estreamente creativa, intelligente, abile nel forzare i codici dei vari generi entro i quali si muove, ma soprattutto grande conoscitore della storia del cinema, che riusa rispettosamente in un procedimento che è al contempo di omaggio e di rivisitazione in chiave moderna di forme e tecniche del passato. Con questo film siamo ben lontani dalle commedia sofisticate cui Allen c'avrebbe abituato in seguito, ma tale considerazione non deve essere necessariamente interpretata come un male: ne risulta infatti uno stile comico più spontaneo, meno logorroico, diretto, quasi slapstick, e tuttavia mai volgare o raffazzonato. Ogni singola battuta è comunque frutto di un preciso lavoro formale: partendo infatti da una struttura documentaristica Allen pone idealmente nello spettatore un insieme di norme codificate che devono essere rispettate affinchè si possa parlare per quell'opera effettivamente di un documentario. Da questo assunto di base il regista si diverte a deformare dall'interno la struttura più superficiale della sua opera, producendo continuamente una netta frattura dialettica tra lo scheletro del film e le sue componenti interne. In termini pratici, non sarebbe accettabile in un documentario la presentazione di episodi, battute e situazioni talmente poco credibili da non essere considerabili come realmente accaduti; facendo proprio questo però Allen riesce a potenziare l'effetto comico enormemente di più di quanto avrebbe potuto presentando il film secondo una struttura narrativa tradizionale, ponendo semplicemente i contesti comici in sequenzialità logico-spaziale-temporale (è interessante notare che tale principio della dialettica come forma più matura del cinema volto a produrre un'emozione deriva addirittura dalla tradizione sovietica della "scuola del montaddio" degli anni '20, a testimonianza delle grandi conoscenze del regista). E poi mille citazioni: dai fratelli Marx a 2001: Odissea nello spazio, da Nick mano fredda agli studi sul montaggio di Kulesov, fino a Quarto potere e a Buster Keaton. Nel momento in cui tutta questa significativa conoscenza del cinema è presentata senza alcuna vanagloria, anzi in modo piuttosto celato e quindi non immediatamente evidente ad un occhio non esperto, essa va a costituire un importante valore aggiunto alla completezza di un'opera che così non risulta chiusa rigidamente in sè stessa ma, aprendosi agli apporti di una decennale tradizione artistica, vuol porsi orgogliosamente (ma anche con un senso di forte gratitudine) come risultato di un lavoro intenso di rielaborazione di contenuti e tecniche preesistenti che, proprio congiungendosi e compenetrandosi reciprocamente, finiscono per assumere, sia su di un piano individuale che collettivo, una forma definitiva completamente nuova. Possiamo dunque ancor parlare di un Woody Allen "parassitario", cioè volto a strutturare i propri film intorno ad una speficica manipolazione di elementi già dati a priori, ma anche in grado di destreggiarsi in modo completamente autonomo nell'ambito della sceneggiatura e della organizzazione compositiva dell'opera, nei confronti della quale non riveste più il ruolo solo di manipolatore (come avveniva in Che fai, rubi?), ma prima di tutto come creatore del materiale stesso che poi si divertirà a modellare a suo modo.

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