Velluto blu

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Un film di David Lynch. Con Isabella Rossellini, Kyle MacLachlan, Dennis Hopper, Laura Dern, Hope Lange.
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Titolo originale Blue Velvet. Thriller, durata 120 min. - USA 1986. - Cineteca di Bologna MYMONETRO Velluto blu * * * 1/2 - valutazione media: 3,77 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La discesa vellutata verso gli inferi di Lynch Valutazione 4 stelle su cinque

di capitan_gian


Feedback: 729 | altri commenti e recensioni di capitan_gian
martedì 15 febbraio 2011

 Cinema e sogno, sogno e realtà, realtà e finzione, finzione e incubo. Il cinema di Lynch è pittura ad olio, ed è inconfondibile. 
"Velluto blu" è stoffa ed è discesa verso gli inferi. Il velluto blu è l'Acheronte, fiume di morte della divina commedia, ed è aggrappato alla vita e alla morte. La vita viene tirata verso il fondo, in un vortice di oscenità, perdizione, violenza, angoscia, agonìa.
Il film si apre con un'atmosfera di tranquillità, di sereno e quieto vivere, in un dipinto americano di perfezione e fascino. Erba tagliata, verde e lussuoreggiante, case perfette, un camion dei pompieri che passa in una sorta di dimensione intoccabile e un agente ci saluta prontamente con la mano, come in un automatismo preintenzionato che dura da sempre. L'America alla superficie. 
Sotto l'erba rigogliosa, c'è un mondo, ci sono insetti neri documentati da una telecamera sapiente e viscerale. 
E' il mondo che non si vede, il mondo che ci cammina dentro e fuori senza passarci davanti. 
Jeffrey è il ragazzo per bene, sorriso morbido e fascino giovanile. Il padre viene accidentalmente ricoverato in ospedale e Jeff prende il suo posto nel negozio di famiglia. 
Nel tragitto tra casa e l'ospedale, ecco un orecchio umano mozzato, lì, nell'erba. L'inizio della discesa, la porta degli inferi, sottolineata da un avvicinamento della telecamera, sempre più prepotentemente coinvolgente. 
Jeff vuole scoprire la verità, diventa investigatore del mondo e investigatore di sè stesso. Prima come spettatore, come lo siamo, davanti allo schermo. Poi come protagonista.
Con l'aiuto della figlia dell'investigatore capo, Sandy, Jeffrey si intromette nella casa di un'affascinante cantante (interpretata da Isabella Rossellini) che sembra avere qualcosa a che fare con l'orecchio tagliato. 
Da questo punto, ai nostri occhi appaiono visioni di violenza, droga, depravazione sessuale, brutalità, sadomasochismo in cui la donna è, a suo malgrado, costretta. E siamo lì insieme al ragazzo, impotenti, dietro alle ante di un armadio a muro, mentre la sua innocenza pian piano cade in una pulsione del tutto nuova, umana e viscerale, che lo spinge a voler sapere (ed essere) sempre di più. 
Entra così in un circolo vizioso e claustrofobico, in cui le regole sono infrante, in cui il corpo è un oggetto, in cui le pulsioni materiali e sessuali sono forti e meschine, brutali ed incalcolabili. 
Jeff torna alla dolcezza solo quando è con Sandy, s'innamora di lei ma allo stesso tempo s'innamora di quella cantante, s'innamora del fascino del mistero, della carnalità, ma allo stesso tempo della sua fragile femminilità, violata e segregata in quel velluto blu che rieccheggia insistentemente in tutto il film. 
Lynch utilizza la telecamera come un pennello, le inquadrature, i piani, le sequenze e lo stesso montaggio sembrano formare un quadro di colori, di tinte surrealistiche e affascinanti. Il blu, colore tematico e insistente, sembra quasi entrarci prepotentemente nell'animo, e il rosso, violento e pastoso, riempie stanze e tende, si appoggia sulle labbra della Rossellini e racconta il sangue ancora prima che esso sgorghi. 
Le luci si spengono, come ci dice Frank (un fantastico Dennis Hopper, allucinato e demoniaco), e poi si riaccendono alla presenza di Sandy (bionda ed etera Laura Dern), che ci ricorda, quasi come in una favola, "che il buio totale può scomparire solo con l'arrivo del pettirosso". 
Quel pettirosso che chiude il cerchio, che porta il sereno in un certo tono da spot pubblicitario, e che fa tornare l'equilibrio nella vita suburbana. 
Ed ecco la telecamera partire dal dettaglio dell'orecchio di Jeffrey, ecco di nuovo la porta, ma questa volta non è un ingresso ma un'uscita. L'incubo è finito, questo incubo è finito. E riecco le inquadrature di partenza, la perfezione, le staccionate, il pompiere che ci saluta di nuovo con la mano.
La decorazione si riaffida al sole e al verde, il rosso torna ai suoi tulipani in contrasto col cielo, e l'"amore trionfa". Anche se il tono di Lynch rimane una parodia di un happy ending prestabilito nella cultura americana. 
Film curatissimo, maniacale, in cui il sogno (in questo caso l'incubo) non è qualcosa da rincorrere ma qualcosa da sfuggire, un elemento presente e palpabile che ci fa sentire vivi ma pericolosamente in bilico su un filo inesistente. 
La colonna sonora, in parte firmata dal grandioso Badalamenti, gioca col film ed entra ed esce continuamente. Canzoni come "Blue Velvet" e "Love letters", prese dalla cultura pop anni 50/60, sembrano composte apposta per il film, perchè fanno parte di esso, sono inscindibili. 
Film come opera d'arte, di colore, di luce, di visioni.

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marilena monti martedì 30 ottobre 2012
bravo, caitan_gian!
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condivido ogni tua parola e trovo che avrei espresso i medesimi "sentimenti", riguardo a questo capolavoro. In poche parole, tu hai scritto ciò che io avrei voluto scrivere! Mi piace anche il tuo titolo al commento: la discesa 'vellutata' è soprattutto dentro di noi, in quegli angoli bui dell'inconscio, nelle stanze chiuse della rimozione. Lynch è stato straordinario a ricordarci che quel luogo dell'anima esiste, a dispetto dei paesaggi e dei volti "tirati a lucido"!Questo film mi ha seguita e mi segue, lo rivedo abbastanza di frequente e tutte le volte scopro qualcosa di nuovo. Mi è molto piaciuta la tua sottolineatura rispetto ai colori del film: sul blu avevo riflettuto, ma il rosso, come ulteriore , forte inchiostro di scrittura cinematografica, mi era sfuggito. [+]

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