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                Il treno dei bambini è un film che racconta una epoca e farà epoca. Perché rammenta la necessità di risalire alle nostre radici per capire la storia d'Italia. La vicenda, ripresa dal bel romanzo con lo stesso titolodi Viola Ardone, si riferisce ad una iniziativa del secondo dopoguerra quando più di 70 mila bambini furono mandati in colonia dalla grande capitale del sud, Napoli, alla campagna del Nord, l'Emilia. La povertà imperava ovunque, ma il tessuto sociale era ben più solido nel Settentrione. Chi organizzò l'iniziativa non furono le parrocchie, bensì il Partito comunista, che con queste iniziative si proponeva come forza politica nazionale desiderosa di realizzare l'egemonia gramsciana.I Quartieri spagnoli di Napoli erano già stati descritti da Elsa Morante nell'Isola di Arturo. La campagna emiliana da Bernardo Bertolucci in Novecento. Ma la narrazione consente un serrato confronto tra le due realtà.
 Ma la vicenda narrata dalla Comencini ha un valore assai più grande, quasi universale. E ci impone di chiederci: di chi sono i figli? Di chi li procrea oppure di chi ha la voglia e i mezzi di realizzare i loro sogni?
 Due attrici protagoniste assai efficaci. Ma soprattutto emerge una unica capacità di dirigere i bambini - i veri protagonisti. Non solo Amerigo, ma tutti gli altri. Con la capacità di cogliere le sfumature dell'infanzia nei Quartieri spagnoli di Napoli e in quella della campagna emiliana.
 La narrazione è essenziale, e la fine arriva in un attimo, senza bisogno di ripetere quel che lo spettatore ha già compreso.
 Del film sorprendeno i colori, con una tavolozza che anch'essa contribuisce a distinguere le differenze che esistevano - e ancora esistono - in Italia.
 
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