Il signore delle formiche

"Il Signore delle formiche", di Gianni Amelio, è uno dei peggiori film visti a Venezia '22.
Come da peccato quasi originario del cinema italiano dagli anni '90 in poi, sbrodola addosso allo spettatore una specie di mega fiction, di quelle che vanno in prima serata su Rai Uno, a competere con Don matteo.
Quello che infastidisce è che pur avendo tra le mani un soggetto davvero importante, il caso Braibanti che di fatto segnò un cambio nella morale dell'Italia nella metà degli anni '60, Amelio ne abbia prodotto un lungometraggio così piatto, così moralistico, con personaggi al limite del caricaturale.
La recitazione dello stesso Germano è totalmente piatta, quasi fastidiosa nella sua artificiosità.
Lo Cascio, nella parte di Braibanti, sembra la caricatura di Willem Dafoe che interpreta Pasolini nel film di Abel Ferrara.
Ci sono personaggi che rasentano il ridicolo, eccessivi ma monocorde, perché quando non sei in grado di dare spessore, punti sulla ripetitività.
Manca qualsiasi analisi della società del tempo, che non sia una bozza macchiettistica e puramente moralistica.
In alcuni casi, per esempio nella rappresentazione delle proteste di piazza, che rasenta il ridicolo, si ha proprio l'impressione che sia mancata la voglia di costruire qualcosa di credibile, perché tanto il film punta tutto sulla ruffianeria di provare a commuovere lo spettatore sfruttando un tema che "va di moda" di questi tempi.
E infatti alla proiezione per il pubblico, alla mostra del Cinema, ha ottenuto applausi scroscianti: da un pubblico abituato alle fiction, che non aspetta altro che di commuoversi per una bella storia sentimental-progressista in cui possa facilmente riconoscere i buoni e i cattivi, il bene e il male, senza doversi troppo spremere le meningi.
Non è cinema, di fatto.