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Remake di un film muto del ’34 dello stesso Ozu, Erbe fluttuanti è un film a colori del ’59, non inserito nel database di Mymovies, che si discosta soltanto in modo apparente dalle tematiche ricorrenti, in modo quasi ossessivo, nelle sue opere maggiori.
Al centro c’è sempre la famiglia giapponese, colta nel drammatico passaggio da una millenaria civiltà contadina alla modernità imposta dagli occidentali ed i contrasti generazionali nascenti dalla nuova visione del mondo e delle relazioni sociali e familiari, importata dagli americani, che divide i figli dai padri.
Il faro, inquadrato nelle scene iniziali, ripetutamente e da diverse prospettive, non guida più i naviganti, gli uomini del suo tempo, alla deriva nel mare mosso della contemporaneità, in balia dei venti che muovono i loro animi, come erbe fluttuanti, privati delle radici che ancoravano il loro modo d’essere ai principi ed alle tradizioni di un epoca ormai al tramonto.
In questo caso è una famiglia atipica il fulcro della vicenda, quella di fatto formata da un anziano capocomico che gira il Giappone con una compagnia di guitti, cercando di portare il teatro Kabuki nelle periferie e nei piccoli paesi di provincia e la donna che sta crescendo il loro unico figlio, frutto di uno dei tanti amori giovanili dell’attore. I suoi spettacoli sebbene involgariti, per far presa sul pubblico e lontani dai fasti del teatro Kabuki, ormai fuori moda, non hanno successo perché il gusto della gente si è ormai imbarbarito completamente, a tal punto da preferire lo strip-teas, molto più popolare tra i maschi del paesello in cui approdano.
E’ un Ozu duro e privo del solito approccio gentile, forse perchè giunto al culmine dell’insofferenza per il suo Paese che si è prostituito all’invasore abbandonando le antiche tradizioni ed i valori del passato. Il declino della società giapponese è rappresentato icasticamente dal bordello e dalle meretrici che attirano i clienti in modo volgare nel locale. La reazione a tutto questo è, per la prima volta nella filmografia di Ozu, di una estrema violenza e si manifesta nei ripetuti ceffoni che il Maestro, l’attore di strada, in cui, almeno in quell’azione, si identifica Ozu, dà all’amante e alla sua amica per aver sedotto e quindi sporcato l’onorabilità del figlio.
Non ci sono, tuttavia, personaggi che rappresentano emblematicamente la virtù in Erbe fluttuanti ed anche l’appellativo di Maestro, con cui viene chiamato il vecchio guitto, appare più uno sberleffo che un segno di distinzione e di rispetto. Il tempo passa e le cose cambiano irrimediabilmente, è la considerazione melanconica e rassegnata che Ozu inserisce come battuta nel dialogo iniziale tra il vecchio attore ed il direttore del teatro locale, impersonato dal suo interprete preferito, Chishū Ryū, vero alter ego di Ozu. Il tempo ha cambiato non soltanto i costumi e la mentalità della gente comune e dei giovani ma ha travolto, corrompendone gli animi, anche i pochi che ancora si illudono di ergersi eroicamente a baluardo della tradizione.
Non ci sono più venerandi e saggi maestri in Patria, non ci sono più fari che possano illuminare le tenebre in cui è caduto il Paese ed indicare la giusta rotta alle nuove generazioni. Tutto è perduto e al vecchio attore non resta che abbandonarsi al viaggio, che è al contempo fuga dal presente e desiderio di raggiungere un impossibile riscatto morale, prendendo, in compagnia della sua concubina, l’ultimo treno, di cui vediamo i fanalini di coda allontanarsi, nell’inquadratura finale, nelle notte senza luna e senza fine del moderno Giappone.
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