Fabio Volo mette un pò di musica leggera, anzi leggerissima per dirla con le parole di Colapesce e di Martino. Da maschera di professore di filosofia di un liceo privato (si sa nella fiction tutto è possibile), si trasforma per amore della figlia in un influencer, fino a degenerare inesorabilmente non riuscendo più a distinguere il sottile confine tra analogico, lo studio su carta di cui era sostenitore e digitale, quei momenti di celebrità che Warlhol sosteneva essere solo quindici.
E di minuti, in realtà, la nuova commedia di Michela Andreozzi, Genitori vs influencer, dura ben di più, un’ora e mezza ma poco importa, perché, si, è vero, si tratta del “solito” conflitto generazionale visto decine di volte (come dimenticare Sconnessi, Figli?), della “solita” prosopopea macchiettistica (c’è pure il salotto di Rai uno, Frassica in testa come vicino di casa) del “solito” rapporto tra la generazione Z coi social; eppure, c’è qualcosa in questo film che convince e tutto sommato restituisce, al termine, giunti ai titoli di coda con la classica riappacificazione buonista quella sensazione, appunto di leggerezza, necessaria oggigiorno.
Fabio Volo interpreta un personaggio ancorato al passato (buffo ma così), tal professor Martinelli, vedovo con un figlia a cui badare (Ginevra Francesconi) la quale, crescendo, manifesta sempre più quell’assoluta dipendenza dai social tale da spingerla al desiderio di diventare influencer allo scopo di emulare il suo mito, Ele-O-Nora, interpretata da una ottima Giulia De Lellis che influencer di successo lo è davvero.
Il padre che chiaramente, da boomer (per usare un termine di moda oggigiorno), mal comprende questa “ansia” da cellulare della giovane figlia, un meccanismo psicologico di un like e hashtag a lui alieno, si scontra con la logica vanesia ma chiaramente speculatrice di chi, con questi video ci vive. E anche bene. Ecco quindi che nello scontro, che via via diviene confronto tra due modi di intendere i social, palestra di visi, sguardi, adolescenti e video, chat e dialoghi su hater, insomma, mare magnum di frustrazioni represse che oggigiorno divengono proprio per dirla alla Bauman “liquide”, prive di fondamento ben costituito su cui definire una chiara visione di esistenza futura e la dubbia resistenza di Martinelli che rimarrà invischiato nell’oscura trama sempre più, l’identità diviene costrutto astratto, avatar di una soddisfazione genitoriale da cui si esige più libertà ma al tempo stesso, da cui vorrebbe una maggiore presenza autoriale.
In questo contesto, Genitori vs influencer, nel virtuale ring tra social e riservatezza (leggasi condizione da sfigato), getta una luce interessante e abbastanza veritiera della situazione adolescenziale, dove gli stessi influencer sono mira di haters (la scena del video di Volo al supermercato, con diramazione sino alla sessualità senza nemmeno capire alla fine di cosa si sta litigando è ben esemplificativa) e coloro che li seguono (non tutti giovani) preda dei social, vengono da essi “abusati” nella degenerazione spinta di foto assai poco caste.
Si sa, questo è abbastanza noto di questi tempo e va dato atto al film dell’Andreozzi di rappresentare un onesto, talune volte superficiale ma riuscito social-film, uno spaccato di commedia generazionale, mai volgare, ma anzi capace di far riflettere, grazie all’empatia di Volo, sul difficile ruolo di essere genitori oggi. Senza la “fatica” (sic) di leggere duecento pagine di romanzo. Di Volo, s’intende.
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