umberto
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martedì 21 agosto 2007
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il libro e il film
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Due capolavori assoluti, raro caso in cui il film vale l'opera letteraria (e che opera !).
Ford, spesso etichettato come maestro di genere (western),qui dimostra tutta la sua grandezza e tutta la sua arte.
Nonostante la censura dell'epoca ed il finale imposto dalla produzione, il regista affronta coraggiosamente un tema sociale scabroso e politicamente sgradito.
Da non perdere.
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alessandro rega
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sabato 8 giugno 2013
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memorabile
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Una pellicola leggendaria ! Era da molto che desideravo vedere il film…ne avevo sentito parlare molto bene, infatti, ammetto che prima di visionarlo ero già un po’ influenzato dalla nomea che aveva il film.
Però, detto questo, ho sempre pensato che un film debba essere giudicato da ognuno per ciò che sente dentro di se (ovviamente esprimendo pareri e motivandoli con giuste parole). La trama del film è tratta da un romanzo di John Steinbeck (di cui non ho mai letto un libro ma spero di farlo) che è un grandissimo scrittore americano, di sicuro le sue storie per il cinema sono state una manna dal cielo. Molte sceneggiature sono tratte dai suoi romanzi.
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Una pellicola leggendaria ! Era da molto che desideravo vedere il film…ne avevo sentito parlare molto bene, infatti, ammetto che prima di visionarlo ero già un po’ influenzato dalla nomea che aveva il film.
Però, detto questo, ho sempre pensato che un film debba essere giudicato da ognuno per ciò che sente dentro di se (ovviamente esprimendo pareri e motivandoli con giuste parole). La trama del film è tratta da un romanzo di John Steinbeck (di cui non ho mai letto un libro ma spero di farlo) che è un grandissimo scrittore americano, di sicuro le sue storie per il cinema sono state una manna dal cielo. Molte sceneggiature sono tratte dai suoi romanzi.
In questo film sono evidenti due cose importanti:
la sublime abilità di John Ford da regista e la miseria generale dei contadini americani negli anni ’30, quelli della grande depressione america.
John Ford è un grandissimo regista, forse il più grande.
Ci sono tantissime scene all’aperto e costantemente Ford ci delizia con le ampie inquadrature dei paesaggi sconfinati, tipiche dei suoi grandi film western.
Ma in questo film abbiamo la prova evidente che John Ford è bravo in tutto, non solo per i film sulla leggendaria frontiera (che sono già grandissimi di per loro).
La fotografia di Gregg Toland in Furore è fantastica !
Una tecnica usata è quella dello sfumare delle immagini l’una sull’altra, sicuramente ciò ha contribuito moltissimo alle emozioni che ho provato durante il film.
Ci sono dei monologhi e dei discorsi nel film veramente bellissimi, degno di nota è quello tra la madre e il figlio Tom Joad (interpretato da un Henry Fonda stratosferico).
La trama è molto profonda e toccante, perché parla di una famiglia (la famiglia Joad) dell’ Oklahoma che cerca fortuna in California ma trova la mala sorte più volte che la perseguiterà. Addirittura muoiono alcuni membri della famiglia che va sempre di più in rovina. Quindi il film è fatto benissimo, le immagini sono emozionanti quanto lo è la trama.
Davvero una pellicola memorabile sotto tutti i punti di vista ! Memorabile è anche la scena in cui il personaggio di Henry Fonda è costretto suo malgrado ad allontanarsi dalla famiglia.
È probabilmente diventato uno dei miei 10 film preferiti ed è una pellicola del 1940 (pochi anni dopo a quelli in cui la vicenda si svolge).
Con questa ultima frase concludo la recensione di un film magnifico…
consiglio assolutamente di guardarlo.
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barrister
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lunedì 20 agosto 2007
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film e libro
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Uno dei pochissimi film che vale il libro al quale si è ispirato.
Modificato il finale rispetto a quello del libro, uno dei più belli di tutta la letteratura mondiale(un vero peccato, ma non è certo colpa del regista).
Ford, etichettato come il più grande maestro del genere western, ha dato il meglio di se in un film "sociale", assolutamente da non perdere.
Non v'è dubbio che il western abbia trovato in Ford la sua massima espressione cinematografica, ma altrettanto vero è che l'etichetta di "maestro di genere" sta un pò stretta a questo grande regista che, passando da Furore a Un uomo tranquillo, ha dato prova di trovarsi sempre a suo agio dietro alla macchina da presa.
[+] ford e il west
(di bartolomeoaloia)
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paolo del ventoso est
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giovedì 13 settembre 2012
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l'epopea degli oakies
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Anche gli Stati Uniti conobbero la loro drammatica migrazione interna; la gente delle campagne dell'Oklahoma e dintorni (spregiativamente chiamati oakies), fu costretta a lasciare la propria terra, espropriata dalla speculazione agraria delle banche. Il quadro verrà magnificamente descritto da John Steinbeck nel suo The grapes of wrath, potente romanzo (di cui ancora manca una edizione italiana integrale) che ispirò questa pellicola. John Ford usa un linguaggio cinematografico semplice ma non povero, la sua camera cattura in preferenza le asperità dei luoghi e dei personaggi. i Joad sono perfetti - su tutti ovviamente Henry Fonda, ma superba anche l'interpretazione di Jane Darwell, col suo faccione da massaia.
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Anche gli Stati Uniti conobbero la loro drammatica migrazione interna; la gente delle campagne dell'Oklahoma e dintorni (spregiativamente chiamati oakies), fu costretta a lasciare la propria terra, espropriata dalla speculazione agraria delle banche. Il quadro verrà magnificamente descritto da John Steinbeck nel suo The grapes of wrath, potente romanzo (di cui ancora manca una edizione italiana integrale) che ispirò questa pellicola. John Ford usa un linguaggio cinematografico semplice ma non povero, la sua camera cattura in preferenza le asperità dei luoghi e dei personaggi. i Joad sono perfetti - su tutti ovviamente Henry Fonda, ma superba anche l'interpretazione di Jane Darwell, col suo faccione da massaia. Una delle tante perle di questa pellicola; le sequenze del racconto di Muley (interpretato da un John Qualen in stato di grazia), che introducono lo spettatore alle cause della tragedia.
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il cinefilo
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martedì 22 marzo 2011
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furore/1
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Il film si apre con l'inquadratura di una strada desolata avvolta dal clima arido dell'Oklahoma...ma su questa strada appare Tom Joad,da poco uscito di prigione(ha scontato quattro anni per un omicidio preterintenzionale)ed è deciso a raggiungere i suoi familiari...ma farà una terribile scoperta quando verrà a sapere che la sua famiglia si è dovuta trasferire altrove a causa della rapacità delle banche(tutto collegato alla grande crisi economica precedente al new deal del presidente Roosvelt)che si sono impadronite del terreno dei Joad.
Al regista John Ford bastano i primi 15 minuti per raccontare una realtà fatta di miseria e disperazione.
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Il film si apre con l'inquadratura di una strada desolata avvolta dal clima arido dell'Oklahoma...ma su questa strada appare Tom Joad,da poco uscito di prigione(ha scontato quattro anni per un omicidio preterintenzionale)ed è deciso a raggiungere i suoi familiari...ma farà una terribile scoperta quando verrà a sapere che la sua famiglia si è dovuta trasferire altrove a causa della rapacità delle banche(tutto collegato alla grande crisi economica precedente al new deal del presidente Roosvelt)che si sono impadronite del terreno dei Joad.
Al regista John Ford bastano i primi 15 minuti per raccontare una realtà fatta di miseria e disperazione...inizialmente non in maniera esplicita come in seguito ma attraverso il desolante frusciare del vento,dell'oscurità che avvolge la vecchia casa di Tom Joad e,infine,della narrazione dei tragici fatti da parte di un suo vecchio conoscente anch'egli sfrattato dalle macchine agricole(guidate da altri uomini decisi a guadagnare abbastanza per sopravvivere,proprio come nel romanzo di John Steinbeck)da lui definite come delle"tigri"d'acciaio in quanto responsabili della distruzione di numerose case e dell'esistenza di innumerevoli famiglie...e in questo suo racconto si annida uno dei concetti più importanti del film in quanto riferito alla terra coltivata per anni"dai padri e dai nonni"(e quindi dalla famiglia ovvero l'epicentro etico della vicenda)e per la quale appare doveroso battersi...anche se,in questo caso,si tratta di una battaglia perduta come si evince dalla distruzione della casa,rasa al suolo dai trattori.
Il narratore sventurato definisce se stesso come un"fantasma"...la perdita improvvisa di tutto ciò che si è legittimamente posseduto per una vita(riferendosi alla grande quantità di"diseredati"causati dal perdurare della crisi economica)trasforma gli uomini in"fantasmi"...in quanto la ragione della propria intera vita risiedeva nella proprietà della"terra"sopra citata.
Oltre alle ragioni dei contadini l'inaudita"bestialità" dell'eterna"notte"della povertà e della miseria riesce a fare scempio anche della fede come dimostra il curioso personaggio del vecchio predicatore ormai,malgrado possieda ancora una notevole"lucidità",filosofica precipitato nella spirale dell'alcolismo.
Tom Joad,in seguito(e dopo aver brevemente espresso il suo disgusto per ritrovarsi a nascondersi dalla polizia nella sua stessa proprietà)si riallaccia alla famiglia e,insieme,partono per un lungo viaggio la cui meta presumibilmente"miracolosa" (in quanto dispensatrice di lavoro agricolo per l'intera famiglia)è la California.
Poco prima di lasciare la loro zona natia si può ammirare la sequenza in cui la madre di Tom si ferma davanti a uno specchio ad osservare emozionata le"reliquie"di un era passata quali,tra tutti,un paio di orecchini.
Il camion pateticamente scassato su cui viaggiano Tom e famiglia(il nonno,che non voleva saperne di andarsene,muore durante il viaggio)assume,a ogni livello,la piena connotazione metaforica di una nazione inevitabilmente stritolata dal pessimismo e dalla violenza della disperazione...e nel primo campo in cui approdano(poco prima della morte della nonna e per la quale mamma Joad dice,non senza rimpianti:"almeno sarà riuscita ad arrivare in California")appare chiaro il dolore esistenziale fisico e psicologico del popolo dei"diseredati"ulteriormente rappresentato da un gruppo di bambini affamati e in cerca di cibo...nel momento forse più drammatico e commovente nella triste"odissea"della famiglia Joad.
In seguito,ritrovandosi a dover fuggire dal campo per finire in un altro in cui le paghe dei braccianti finiscono inaspettatamente per essere ridotte,Tom finisce per segnare definitivamente il suo destino colpendo a morte la guardia responsabile a sua volta dell'uccisione del suo amico predicatore...quest'azione lo porterà però,oltre agli ovvi sensi di colpa,a riflettere sull'importanza di una società giusta ed egualitarista nei diritti(malgrado tutto appaia da subito come una feroce utopia)e in cui non ci si dovrebbe mai ridurre nelle loro condizioni...e fuggirà nella notte,mentre la madre,il padre,la ragazza incinta e gli altri partono pronti ad affrontare il futuro con forza perchè,come dice mamma joad"il popolo è come il fiume e non si arrende"...ma questo finale è diverso da quello del romanzo pur dimostrando ugualmente una forza magistrale...e come disse Franklin Delano Roosvelt:"l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa".
P.S:il numero che ho assegnato al titolo si riferisce al fatto che scriverò un altra recensione in cui tenterò di elencare le profonde e le piccole differenze tra il film di Ford e il libro di Steinbeck.
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tomdoniphon
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sabato 30 maggio 2015
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ford - steinbeck: l'incontro tra due poeti
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“Non ci vuole coraggio a fare qualcosa che bisogna fare per forza”.
Inizi anni ’30. Grande depressione. Ridotta in miseria, una famiglia di agricoltori dell’Oklahoma si mette viaggio con un camion verso la California.
Tratto dall’omonimo romanzo di Steinbeck, si tratta di uno dei capolavori di John Ford, considerato politicamente un conservatore, ma che qui “diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywwod” (Morandini): un’opera singolarmente dura nel panorama fordiano, una denuncia lancinante del disastro sociale e degli scenari della miseria indotti dalla grande depressione.
Rispetto al romanzo, Ford – se da un lato non ha paura di mostrare la sofferenza patita dalla gente – dall’altro modifica il finale senza speranza del romanzo, in perfetta linea con la poetica più ottimistica del regista (anche se, va detto, il finale del film – indimenticabile e che non sveliamo – è comunque tutt’altro che consolatorio).
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“Non ci vuole coraggio a fare qualcosa che bisogna fare per forza”.
Inizi anni ’30. Grande depressione. Ridotta in miseria, una famiglia di agricoltori dell’Oklahoma si mette viaggio con un camion verso la California.
Tratto dall’omonimo romanzo di Steinbeck, si tratta di uno dei capolavori di John Ford, considerato politicamente un conservatore, ma che qui “diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywwod” (Morandini): un’opera singolarmente dura nel panorama fordiano, una denuncia lancinante del disastro sociale e degli scenari della miseria indotti dalla grande depressione.
Rispetto al romanzo, Ford – se da un lato non ha paura di mostrare la sofferenza patita dalla gente – dall’altro modifica il finale senza speranza del romanzo, in perfetta linea con la poetica più ottimistica del regista (anche se, va detto, il finale del film – indimenticabile e che non sveliamo – è comunque tutt’altro che consolatorio).
Come al solito perfetta la prova del protagonista Henry Fonda, eroe “democratico” per eccellenza del cinema americano (si veda, tra gli altri, anche “Sfida infernale” dello stesso Ford e “La parola ai giurati” di Lumet), fino a quando Sergio Leone non gli farà interpretare (genialmente) la parte del cattivo in “C’era una volta il west”.
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cinephile 62
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sabato 27 ottobre 2007
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sublime
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Raramente capita di vedere un film così intenso nei contenuti e tanto bello esteticamente.Spesso infatti i film di carattere sociale trascurano(volutamente?)
la forma.Invece il capolavoro del maestro John Ford riesce a coniugare alla perfezione l'incanto plastico di ogni singola scena con la profondità del tema trattato.Poco importa se il finale fu imposto al regista,ciò ke conta è ke nelle
mani del regista,tutto si trasforma in oro.Pochi registi americani si sono espressi a livelli tanto elevati in ogni film:tanta grazia vè concessa solo ai più grandi e Ford grande lo è stato davvero!
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mondolariano
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sabato 18 giugno 2011
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un'america disincantata
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C’è da dubitare che la nazione più potente del mondo abbia avuto momenti di crisi come questi. Eppure ci sono stati, anzi, erano il lato nascosto dell’opulenza. I grandi latifondisti sostenuti dalle banche espropriavano la terra dei piccoli proprietari, almeno fino a quando la Seconda guerra mondiale non avrebbe risollevato le sorti dell’economia. C’è anche da dubitare che un regista “classico” come John Ford abbia saputo raccontare un dramma sociale del tutto avulso dal mito americano, forse il più disincantato in assoluto. Molto sobrio, infatti, molto preciso nel cogliere i piccoli particolari, le piccole scene che grondano miseria da tutti i pori: il sibilo del vento, la notte, la solitudine.
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C’è da dubitare che la nazione più potente del mondo abbia avuto momenti di crisi come questi. Eppure ci sono stati, anzi, erano il lato nascosto dell’opulenza. I grandi latifondisti sostenuti dalle banche espropriavano la terra dei piccoli proprietari, almeno fino a quando la Seconda guerra mondiale non avrebbe risollevato le sorti dell’economia. C’è anche da dubitare che un regista “classico” come John Ford abbia saputo raccontare un dramma sociale del tutto avulso dal mito americano, forse il più disincantato in assoluto. Molto sobrio, infatti, molto preciso nel cogliere i piccoli particolari, le piccole scene che grondano miseria da tutti i pori: il sibilo del vento, la notte, la solitudine. Particolarmente toccante la scena in cui la madre conta i suoi soprammobili, la sera della partenza, accontentandosi di alcuni semplici ricordi. La stessa madre che però accetta troppo serenamente gli omicidi del figlio, come se la violenza facesse parte della lotta per la sopravvivenza. Il monologo finale di Henry Fonda è visibilmente ricercato ma è necessario per lanciare quel particolare messaggio di denuncia che è lo scopo stesso del film.
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luca scial�
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venerdì 23 novembre 2012
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una famiglia alle prese con le ingiustizie sociali
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Oklaoma, anni '30. Le continue tempeste di sabbia hanno ridotto in miseria gli agricoltori. Come non bastasse, i proprietari terrieri gliele espropriano, riducendoli così senza casa. Una famiglia numerosa si mette in viaggio verso la California dove pare ci sia lavoro. Ma il destino sembra sempre accanirsi contro di loro, anche quando le cose sembrano essersi aggiustate.
John Ford traspone un romanzo di John Steinbeck, ricostruendone il dramma sociale e il senso di ingiustizia che trasuda dalle sue pagine. Un capolavoro che fa riflettere e che invoglia a non arrendersi mai. Nonostante tutto.
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