orson
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martedì 20 febbraio 2007
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opera prima per roberto dordit
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E' uscito nelle sale italiane, un pò per miracolo, un ottimo esordio cinematografico: "Apnea". Roberto Dordit esordisce al lungometraggio con uno strano giallo sociale ambientato nel profondo nord est, tra le contraddizioni d'una realtà imprenditoriale afflitta da esasperate pressioni del mercato internazionale.
La storia produttiva del film è illuminante sullo stato dell'arte cinematografica nel nostro paese: dichiarato nel 2004 di interesse culturale e nazionale dal Ministero per i Beni Culturali ha avuto accesso ai fondi destinati alle opere prime e seconde (art. 8) consistente in un contributo di 250 mila euro come aiuto alla distribuzione, contributo però tagliato dal celeberrimo Decreto Urbani.
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E' uscito nelle sale italiane, un pò per miracolo, un ottimo esordio cinematografico: "Apnea". Roberto Dordit esordisce al lungometraggio con uno strano giallo sociale ambientato nel profondo nord est, tra le contraddizioni d'una realtà imprenditoriale afflitta da esasperate pressioni del mercato internazionale.
La storia produttiva del film è illuminante sullo stato dell'arte cinematografica nel nostro paese: dichiarato nel 2004 di interesse culturale e nazionale dal Ministero per i Beni Culturali ha avuto accesso ai fondi destinati alle opere prime e seconde (art. 8) consistente in un contributo di 250 mila euro come aiuto alla distribuzione, contributo però tagliato dal celeberrimo Decreto Urbani.
Un film pensato nel 2001, concluso nel 2004 e nelle sale a febbraio del 2007.
Una mattina, nel parcheggio di un pronto soccorso, Franz viene trovato morto sul sedile della sua automobile. Paolo intanto lo aspetta alla palestra dove sono soliti trovarsi per tirare di scherma. Siamo nella ricca provincia del Nord Est, fatta di case belle costruite con i soldi.
Paolo scoprirà che l'amico appena scomparso non era la persona che lui credeva, scoprirà lo spietato mondo delle concerie, scoprirà come ascoltare un bambino autistico.
Dordit dichiara in un'intervista di aver sentito parlare per la prima volta dei frequenti incidenti che accadono nelle concerie venete nel bel “Schei” (Soldi) di Gian Antonio Stella. “Schei” significa soldi. “Schei” significa, applicato all'industria, che ogni cosa ha un prezzo e che il potere è nelle mani di chi possiede più “schei”, e che tutto il resto sono solo chiacchere.
In Italia la questione delle morti bianche registra cifre preoccupanti, costantemente richiamate dalle istituzioni incapaci di porre rimedio ad una realtà produttiva che produce – appunto – poco più di tre incidenti mortali al giorno sul posto di lavoro. Spesso le vittime sono stranieri. Gli extracomunitari che lavorano silenziosi senza mai aprir bocca, disposti a sopportare qualsiasi umiliazione pur di ottenere quei due soldi necessari alla propria dignità sono esseri invisibili in questi nostri paesi ospitanti, che di ospitale non hanno nemmeno più la fantasia. Loro fanno quei lavori che oggi nessuno più vorrebbe fare. Gli “ospiti” sono persone a metà, costrette in condizioni dove non è nemmeno prevista la possibilità di avere una prole, sotto-proletari ai quali sono negati i diritti di cittadinanza più elementari. Esseri umani la cui vita vale meno di niente. Lo sfruttamento della manodopera a basso costo, fuori da ogni legge ed al di là d'ogni principio legato alla sicurezza è la chiave attorno alla quale è costruito il freddo giallo sociale allestito da Roberto Dordit.
Le concerie sono luoghi pericolosi dove lavorare. Le vasche all'interno delle quali la pelle subisce i trattamenti per la colorazione sono contenitori di gas pericolosi per l'organismo e la loro pulizia è un'operazione rischiosa perchè da svolgersi in completa apnea. Se si respira quell'aria si muore, si muore intossicati nel giro di pochi minuti. Questo tipo di lavoro è una delle classiche mansioni che gli italiani non vogliono fare più, perchè troppo pericolose e troppo mal pagate.
...continua su http://kulturadimazza.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1371411
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gianleo67
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mercoledì 19 dicembre 2012
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dietro la maschera, il nemico
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Giornalista sportivo, già campione di scherma, si mette ad indagare sulla strana morte del suo amico e compagno di allenamenti Franz, dovuta in apparenza ad un infarto. Emerge una torbida storia di lavoro nero e morti bianche legate al mondo delle concerie del ricco Nord Est, in cui Franz aveva investito dopo la fine della sua carriera sportiva. Lo attendono avversari insospettabili e un tragico epilogo.
Giallo dalla dichiarata vocazione sociale (il ricco Nord Est delle aziende di concia tra manovalanza di extracomunitari neri e misconosciute morti bianche), l'opera prima di Roberto Dordit è un esempio interessante (anche se non originalissimo) di una certa deriva recente (ultimo decennio?) del cinema nostrano impegnato a misurarsi con le brutture della realtà sociale filtrate attraverso l'estetica di una fiction intimista (qui i rovelli di un giornalista sportivo che intraprende un percorso di conoscenza e riscoperta della insospettabile doppia vita dell'amico che credeva di conoscere) risolta nella ridondanza dei dialoghi e dei rapporti psicologici , senza alcuna vocazione al realismo o al naturalismo (esempi piu' qualificanti sono certe opere si Sorrentino come 'L'amico di famiglia' e 'Le conseguenze dell'amore') dove il tema sociale, benchè scottante è solo lo sfondo scenografico su cui far interagire i personaggi in gioco tra dubbi etici e dilemmi personali.
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Giornalista sportivo, già campione di scherma, si mette ad indagare sulla strana morte del suo amico e compagno di allenamenti Franz, dovuta in apparenza ad un infarto. Emerge una torbida storia di lavoro nero e morti bianche legate al mondo delle concerie del ricco Nord Est, in cui Franz aveva investito dopo la fine della sua carriera sportiva. Lo attendono avversari insospettabili e un tragico epilogo.
Giallo dalla dichiarata vocazione sociale (il ricco Nord Est delle aziende di concia tra manovalanza di extracomunitari neri e misconosciute morti bianche), l'opera prima di Roberto Dordit è un esempio interessante (anche se non originalissimo) di una certa deriva recente (ultimo decennio?) del cinema nostrano impegnato a misurarsi con le brutture della realtà sociale filtrate attraverso l'estetica di una fiction intimista (qui i rovelli di un giornalista sportivo che intraprende un percorso di conoscenza e riscoperta della insospettabile doppia vita dell'amico che credeva di conoscere) risolta nella ridondanza dei dialoghi e dei rapporti psicologici , senza alcuna vocazione al realismo o al naturalismo (esempi piu' qualificanti sono certe opere si Sorrentino come 'L'amico di famiglia' e 'Le conseguenze dell'amore') dove il tema sociale, benchè scottante è solo lo sfondo scenografico su cui far interagire i personaggi in gioco tra dubbi etici e dilemmi personali. Pur riconoscendovi una buona chiarezza di intenti ed una comprensibile (intelleggibile) ricostruzione del mosaico narrativo (una dolorosa consapevolezza che con fatica e difficoltà si fa lentamente strada tra i pregiudizi e gli ingenui convincimenti del protagonista) il film di Dordit soffre per gli scompensi di una messa in scena eccessivamente televisiva (potremmo definirlo 'effetto fiction') e la discutibile propensione alla costruzione della suspence attraverso l'uso insistito, quasi calligrafico, della ellissi ( l'immagine del nostro che affonda lentamente nelle acque che si tingono del rosso artificiale dell'industria e di quello reale del suo sangue, il bimbo autistico che lancia messaggi in codice per rivelare la sua tragica soperta di morte, le scene di una singolar tenzone tra gli amici schermidori), un gioco di rimandi e suggestioni che finisce per intorbidare le acque e ridurre il gradiente di una tensione narrativa che si esaurisce in un climax finale, certo tragico e non consolatorio, ma privo di reale mordente. Nel quadro di una costruzione narrativa così articolata poi, non sempre i personaggi e le loro motivazioni appaiono del tutto a fuoco, risultando deboli e marginali figure di contorno (l'amico giornalista Battiston che si presume rivelerà pubblicamente il misfatto, l'indeciso spirito anticonformista della anglofone figlia del torbido industriale delle pelli, il comportamento ambiguo e contraddittorio della maltrattata fidanzata di Franz) quando sembrerebbero avre un peso rilevante per una migliore comprensibilità della vicenda. Ma è soprattutto la figura di Franz (il classico convitato di pietra in tutte le rievocazioni filmiche che si rispettino) che non emerge con sufficiente esattezza, lasciandoci l'impressione che egli sia più vittima che colpevole di un sistema imprenditoriale malato e disumano, la cui vita e la cui morte appaiono sospese in un limbo confuso tra il dramma patetico di una triste vicenda umana e l'infausto castigo di una giusta nemesi. Discreti gli interpreti principali tra cui un efficace e credibile Elio De Capitani che surclassa la giovane (ex) promessa del cinema italiano Claudio Santamaria, aitante giovanotto dal buon istinto e dagli scarsi fondamentali (non solo come schermidore). Dietro la maschera, il nemico.
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