gabriella
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martedì 24 settembre 2024
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il coraggio di affrontare i propri sentimenti
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Il film di Kore'eda è un caleidoscopio di immagini, di emozioni multiformi e variegate, di pensieri puri e deformati, è lo specchio in cui si riflette ciò che siamo o vogliamo diventare, e dove invece le convenzioni sociali vorrebbero rinchiuderci. Minato è un undicenne di quinta elementare, il cui insolito comportamento insospettisce la madre Saori , alla quale il figlio rivela di essere stato oggetto di vessazioni da parte del maestro Hori. L’ incontro con il corpo docente si rivela una serie prolungata di scuse a una madre attonita e in rivolta, ma ben presto le versioni si sovrappongono, emergono punti di vista diversi, da una parte la scuola che cerca di salvare l’immagine senza esaminare , o cercare confronti, dall’altra genitori apprensivi che a loro volta giudicano senza indagare.
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Il film di Kore'eda è un caleidoscopio di immagini, di emozioni multiformi e variegate, di pensieri puri e deformati, è lo specchio in cui si riflette ciò che siamo o vogliamo diventare, e dove invece le convenzioni sociali vorrebbero rinchiuderci. Minato è un undicenne di quinta elementare, il cui insolito comportamento insospettisce la madre Saori , alla quale il figlio rivela di essere stato oggetto di vessazioni da parte del maestro Hori. L’ incontro con il corpo docente si rivela una serie prolungata di scuse a una madre attonita e in rivolta, ma ben presto le versioni si sovrappongono, emergono punti di vista diversi, da una parte la scuola che cerca di salvare l’immagine senza esaminare , o cercare confronti, dall’altra genitori apprensivi che a loro volta giudicano senza indagare. Si evidenzia una società, in questo caso quella giapponese, miope , bugiarda e soffocante, noncurante delle esigenze del singolo individuo, ma tesa a inglobare sentimenti e in uno spazio preciso e definito, deformando così la libertà che è propria di ogni essere umano . Questa la prima parte, molto articolata, a tratti complessa, si illumina nella seconda, dall’amicizia tra Minato e Yori, dal loro percorso di crescita e maturazione, un rapporto deriso dai compagni, proprio perché non rispetta le regole, diventa alieno ed esposto al giudizio, ( come non pensare a Leon e Remièdi Close?)Allora bisogna trovare una via d’uscita, una zona franca dove trovare il proprio respiro, e la trovano, nel vagone dismesso di un treno, che per raggiungerlo bisogna attraversare una foresta piena di sterpi e fango, un luogo sospeso, dove può accadere di tutto, dove si può liberare l’immaginazione fino a farla esplodere, un luogo dell’anima, che lacera i confini del muro del pregiudizio , il vero mostro ( Il titolo originale infatti è The monster), trovare riparo dalle pressioni del mondo degli adulti, che si aspettano sempre qualcosa, tranne l’accettazione di essere quello che si è. Non esistono sentimenti sbagliati, ma semplicemente sentimenti, e che la purezza non è nient’altro che la ricerca della felicità, anche se la furia della tempesta fa franare il terreno, perché ci si può ritrovare ed abbracciarsi dopo aver percorso un tunnel buio e umido, uscire dall’utero materno verso la luce che ci attende fuori, con la gioia di non essere cambiati, ma gli stessi di prima.
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domenica 8 settembre 2024
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chi è il mostro?
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La mano del cinema giapponese è sempre stata molto felice nel descrivere i turbamenti dei piccoli uomini, sia che si tratti di “anime” che di cinema per “grandi”, da Ozu ad Akira Kurosawa, fino a Takeshi Kitano : l’ottimo Kore'da aveva già messo in scena i piccoli ed il loro rapporto con la famiglia, in maniera drammaticamente doppia, in "Un Affare di Famiglia", dove sotto l’occhio del regista c’erano l’indifferenza della famiglia originaria dei due ragazzini e la ben diversa accoglienza di quella “malavitosa” che li sottrae alla prima : qui i due giovanissimi alunni delle elementari che si trovano ad essere lontani e sostanzialmente incompresi dal mondo degli adulti, nonostante i loro affannosi e goffi tentativi - ma anche dalla chiassosa e crudele normalità dei loro coetanei- si prendono progressivamente il centro della delicata e raffinata affabulazione visiva, in cui il gioco delle rifrazioni temporali e dei cambi di punto di vista serve ad alimentare una narrazione abilissima, che svela i suoi nodi essenziali a poco a poco, cambiando le carte in tavola completamente riguardo la storia e il ruolo dei personaggi, tanto quello degli adulti come quello dei bambini stessi.
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La mano del cinema giapponese è sempre stata molto felice nel descrivere i turbamenti dei piccoli uomini, sia che si tratti di “anime” che di cinema per “grandi”, da Ozu ad Akira Kurosawa, fino a Takeshi Kitano : l’ottimo Kore'da aveva già messo in scena i piccoli ed il loro rapporto con la famiglia, in maniera drammaticamente doppia, in "Un Affare di Famiglia", dove sotto l’occhio del regista c’erano l’indifferenza della famiglia originaria dei due ragazzini e la ben diversa accoglienza di quella “malavitosa” che li sottrae alla prima : qui i due giovanissimi alunni delle elementari che si trovano ad essere lontani e sostanzialmente incompresi dal mondo degli adulti, nonostante i loro affannosi e goffi tentativi - ma anche dalla chiassosa e crudele normalità dei loro coetanei- si prendono progressivamente il centro della delicata e raffinata affabulazione visiva, in cui il gioco delle rifrazioni temporali e dei cambi di punto di vista serve ad alimentare una narrazione abilissima, che svela i suoi nodi essenziali a poco a poco, cambiando le carte in tavola completamente riguardo la storia e il ruolo dei personaggi, tanto quello degli adulti come quello dei bambini stessi. La mano di Kore’da segue amorevolmente i personaggi, alternando false soggettive, riprese dall’alto, improvvisi totali del paesaggio naturale ai cui bordi si trova la città in cui è ambientata la vicenda, mentre gli sguardi e le azioni vengono sottolineate dalle ultime note scritte in vita da Ryuichi Sakamoto . Come spesso capita negli ultimi decenni, la profondità dello sguardo e dell’indagine emotiva del cinema orientale mette in imbarazzo, al confronto, la pochezza nella poetica e nell’esplorazione dei sentimenti di gran parte del cinema occidentale, specialmente di quello italiano, che forse si vendica di ciò col solito titolo inappropriato, abbandonando il ben più azzeccato "Monster", titolo internazionale (vedere il film per capire).
Chi è il mostro?
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