Io capitano

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Un film di Matteo Garrone. Con Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 121 min. - Italia, Belgio 2023. - 01 Distribution uscita giovedì 7 settembre 2023. MYMONETRO Io capitano * * * 1/2 - valutazione media: 3,72 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

MA NON È UN’ODISSEA, NON È UNA ANABASI Valutazione 4 stelle su cinque

di carlo santoni


Feedback: 613 | altri commenti e recensioni di carlo santoni
mercoledì 20 settembre 2023

Sotto l’impulso di certe dichiarazioni dell’ottimo Garrone, ecco che nei loro commenti quasi tutti declinano la storia narrata nel film “come fosse un’odissea”. Ma non lo è, non lo è affatto: Seydou e Moussa non stanno cercando la strada per tornare a casa dopo tante peripezie, anche se sul finale Moussa parrebbe incline a farlo, al contrario, stanno cercando di fuggire quanto più lontano da casa, di scappare in un mondo sconosciuto e certissimamente diverso da quello natale, per lo meno nella loro immaginazione. Lo si può definire “Odissea” per via che le avventure vissute sono tante, alcune dolci, la maggior parte dolorose, a volte terribili, proprio come capitò a Ulisse, ma il senso del viaggio dei due senegalesi è assolutamente opposto: nessuna anabasi dopo tante peripezie, nessun ritorno a, invece fuggire comunque da. Ad ogni costo. Il film lo direi più simile ad una Via Crucis, con tutte le sue terribili stazioni, che non ad una Odissea, anche se alla fine nessuno sarà messo in croce, tantomeni i ladroni.
È poi con ogni evidenza la trasposizione filmica di una sceneggiatura che funziona come romanzo di formazione, che attraverso le peripezie e la crescita di due giovani ragazzi, mostra gli orrori di un’epoca e di un mondo: esattamente il nostro, “democratico”, occidentale e, ça va sans dire, proprio per questo profondamente spietato, razzista.
Massimo merito di questo film di Garrone, a mio parere, il funzionare come lucida denuncia. La denuncia dell’inferno che devono attraversare i migranti sub-sahariani, per raggiungere l’inferno italiano: il tutto senz’alcun Virgilio che gli dia una dritta; messaggio potentissimo, che scuote le coscienze: quando da Minniti in poi l’estrema destra razzista e neocolonialista chiede, come allora e come oggi, che i traffici dei migranti debbano essere fermati in terra d’Africa, specificamente in Libia, cioè prima di urtare con le loro avventure marinare destinate al naufragio le nostre delicate coscienze mentre siamo seduti a cena, ecco, dovremmo essere consapevoli che ciò significherebbe dirottare fiumane di esseri umani nelle mani dei carnefici spietati e degli schiavisti che il film ci mostra.
Ottime la fotografia e la colonna sonora, magari entrambe un po’ troppo patinate. Bravi i giovani interpreti.
Se c’è un difetto, sta proprio nel suo nitore. Le splendide immagini del deserto, a metà tra un documentario “National Geographic” e “Lawrence d’Arabia”, possono far perdere di vista il cuore tragico del problema; così come l’ottimismo sempre presente, nonostante tutte le peripezie, potrebbe far pensare ad una intonazione edificante da romanzo dickensiano o d’appendice. I toni più scabri alla “Dogman” non avrebbero guastato.
Ma, insomma, ancora una volta complimenti Garrone!
Sotto l’impulso di certe dichiarazioni dell’ottimo Garrone, ecco che nei loro commenti quasi tutti declinano la storia narrata nel film “come fosse un’odissea”. Ma non lo è, non lo è affatto: Seydou e Moussa non stanno cercando la strada per tornare a casa dopo tante peripezie, anche se sul finale Moussa parrebbe incline a farlo, al contrario, stanno cercando di fuggire quanto più lontano da casa, di scappare in un mondo sconosciuto e certissimamente diverso da quello natale, per lo meno nella loro immaginazione. Lo si può definire “Odissea” per via che le avventure vissute sono tante, alcune dolci, la maggior parte dolorose, a volte terribili, proprio come capitò a Ulisse, ma il senso del viaggio dei due senegalesi è assolutamente opposto: nessuna anabasi dopo tante peripezie, nessun ritorno a, invece fuggire comunque da. Ad ogni costo. Il film lo direi più simile ad una Via Crucis, con tutte le sue terribili stazioni, che non ad una Odissea, anche se alla fine nessuno sarà messo in croce, tantomeni i ladroni.
È poi con ogni evidenza la trasposizione filmica di una sceneggiatura che funziona come romanzo di formazione, che attraverso le peripezie e la crescita di due giovani ragazzi, mostra gli orrori di un’epoca e di un mondo: esattamente il nostro, “democratico”, occidentale e, ça va sans dire, proprio per questo profondamente spietato, razzista.
Massimo merito di questo film di Garrone, a mio parere, il funzionare come lucida denuncia. La denuncia dell’inferno che devono attraversare i migranti sub-sahariani, per raggiungere l’inferno italiano: il tutto senz’alcun Virgilio che gli dia una dritta; messaggio potentissimo, che scuote le coscienze: quando da Minniti in poi l’estrema destra razzista e neocolonialista chiede, come allora e come oggi, che i traffici dei migranti debbano essere fermati in terra d’Africa, specificamente in Libia, cioè prima di urtare con le loro avventure marinare destinate al naufragio le nostre delicate coscienze mentre siamo seduti a cena, ecco, dovremmo essere consapevoli che ciò significherebbe dirottare fiumane di esseri umani nelle mani dei carnefici spietati e degli schiavisti che il film ci mostra.
Ottime la fotografia e la colonna sonora, magari entrambe un po’ troppo patinate. Bravi i giovani interpreti.
Se c’è un difetto, sta proprio nel suo nitore. Le splendide immagini del deserto, a metà tra un documentario “National Geographic” e “Lawrence d’Arabia”, possono far perdere di vista il cuore tragico del problema; così come l’ottimismo sempre presente, nonostante tutte le peripezie, potrebbe far pensare ad una intonazione edificante da romanzo dickensiano o d’appendice. I toni più scabri alla “Dogman” non avrebbero guastato.
Ma, insomma, ancora una volta complimenti Garrone!

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