jaylee
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domenica 25 luglio 2021
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lockdown, zeitgeist e altri demoni
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M. Night Shyamalan, il regista che nel 1999 aveva fatto gridare al nuovo Spielberg, e si era abbondamente perso nella secoda decade del 2000, per poi parzialmente ritrovarsi. Discontinuo, ma con un marchio di fabbrica, il cd. “Shyamalan Twist” ovvero il colpo di scena finale che ribalta tutte le convinzioni raggiunte fino a quel momento della narrativa.
M. Night Shyamalan è anche il regista di Old, film integralmente girato in periodo di pandemia Covid, ma anche, per stessa ammissione del regista, permeato del mood di questo periodo di isolamento. E’ così? Vediamo.
Guy e Prisca Capa (occhio al nome di lei, che significa “antico”, “vetusto”, o semplicemente “vecchio”) sono una coppia con figli in doppia crisi: di relazione e di salute; lei, infatti, è malata di cancro.
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M. Night Shyamalan, il regista che nel 1999 aveva fatto gridare al nuovo Spielberg, e si era abbondamente perso nella secoda decade del 2000, per poi parzialmente ritrovarsi. Discontinuo, ma con un marchio di fabbrica, il cd. “Shyamalan Twist” ovvero il colpo di scena finale che ribalta tutte le convinzioni raggiunte fino a quel momento della narrativa.
M. Night Shyamalan è anche il regista di Old, film integralmente girato in periodo di pandemia Covid, ma anche, per stessa ammissione del regista, permeato del mood di questo periodo di isolamento. E’ così? Vediamo.
Guy e Prisca Capa (occhio al nome di lei, che significa “antico”, “vetusto”, o semplicemente “vecchio”) sono una coppia con figli in doppia crisi: di relazione e di salute; lei, infatti, è malata di cancro. Vanno in vacanza tutti e quattro in un resort da sogno per passare del tempo assieme. Un giorno, vengono invitati dal direttore dell' Hotel a visitare una spiaggia spettacolare in una riserva naturale, destinata a pochi. Si troveranno in 13 (per tacer del cane) assieme in questa spiaggia da sogno fino a che il cadavere di una ragazza arriva sul bagnasciuga… e il sogno diventa un incubo: tutti iniziano ad invecchiare precocemente; prima i bambini diventano teen ager e poi adulti, e gli adulti decadono verso l’inevitabile. In più, uno strano fenomeno magnetico impedisce loro di andarsene senza sentirsi male… E Il Tempo passa, è tutta una Questione di Tempo come suggerisce il pay-off del film.
Raro vedere un film girato completamente all’aperto (o quasi) e che dà il senso di claustrofobia, ma è proprio così: e forse proprio questo è il mood che ha indicato il regista come causa o conseguenza del Lock-Down, persone che a volte si sono scelte, a volte no, con un’alternativa terribile: stare “rinchiusi” e sentirsi scivolare via la vita, o affrontare un male invisibile e mortale là fuori. Molto bravi il gruppo di attori che ovviamente devono dare vita ad un vero e proprio teatro dell’isteria senza perdere credibilità, Soprattuitto ci convincono Gael Garcia Bernal e Rufus Sewell, i due “leader” del gruppo; così così Vicky Krieps, inespressiva cronica (vedi pure il Filo Nascosto). Da tanti punti di vista, Old ci ha ricordato la versione aggiornata e sintetizzata (come nello spirito del film, ci verrebbe da dire!) della serie Tv Lost.
Le metafore sono sempre state uno dei punti di forza di Shyamalan, oltre al suddetto “twist”; ma questo Old dobbiamo dire ha una maturità e una profondità di pensiero, che va oltre i suoi standard abituali e che aveva raggiunto solo in un paio di occasioni, e agisce su tanti piani di lettura: il vivere nel presente (infatti le accuse reciproche dei coniugi Capa sono quelle di lei che vive troppo nel passato e lui troppo nel futuro); l’importanza e l’essenza dei legami familiari, la cura reciproca; e l’importanza della prospettiva di quello che facciamo e sentiamo nell’arco di una vita.
I fan si chiederanno: c’è il “twist”? Risposta: si, ma meno evidente delle altre volte, siamo quasi sicuri che sia stata una scelta del regista di esserne meno dipendente, quasi a rinunciarci parzialmente. Così come il fatto che spesso si scelga di non mostrare tutte le morti, e neanche di esagerare sugli effetti di invecchiamento stile Benjamin Button.
E, ad esser sinceri, il film non ne soffre affatto, la trama si sviluppa naturale e non banale, senza stratagemmi narrativi particolari e senza la solita barcata di effetti digitali. È più il concetto di fondo, con la paura dell’invecchiamento, della malattia, del Tempo che uccide, ma cura anche (e non solo le malattie del corpo) che tiene incollato lo spettatore, più che il cliff-hanger. Il vedere quello che succede dopo. Forse la pandemia ci ha resi tutti più sensibili a queste tematiche, ma di certo questo è un film che coglie lo Spirito dei Tempi. Zeitgeist. (www.versionekowalski.it)
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peppy86
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venerdì 30 luglio 2021
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la vecchiaia non e'' l''ultima spiaggia
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Nel pieno di una pandemia mondiale, M. Night Shyamalan racconta una storia che getta luci e ombre sulla ricerca scientifica e sulle implicazioni etiche che questa comporta.
I personaggi di questa pellicola sono dei naufraghi. Esseri umani dispersi nella tempesta della vita. Delle pedine che il regista colloca in un contesto idilliaco ma, allo stesso tempo, inquietante.
Ad una prima visione Old potrebbe apparire didascalico ma personalmente lo reputo ben organizzato.
Ci sono due location: il resort e la spiaggia. La prima è reale mentre la seconda ci porta in un contesto fantastico.
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Nel pieno di una pandemia mondiale, M. Night Shyamalan racconta una storia che getta luci e ombre sulla ricerca scientifica e sulle implicazioni etiche che questa comporta.
I personaggi di questa pellicola sono dei naufraghi. Esseri umani dispersi nella tempesta della vita. Delle pedine che il regista colloca in un contesto idilliaco ma, allo stesso tempo, inquietante.
Ad una prima visione Old potrebbe apparire didascalico ma personalmente lo reputo ben organizzato.
Ci sono due location: il resort e la spiaggia. La prima è reale mentre la seconda ci porta in un contesto fantastico.
Shyamalan separa nettamente le due location: nella prima la regia è posata e ci mette a nostro agio, mentre nella seconda è ansiosa e straniante. La dimensione temporale della spiaggia è distorta, così come i suoi spazi. I personaggi sono spesso a un passo l'uno dall'altro ma bastano pochi metri per percepire una distanza enorme fra di loro. Si pensi, ad esempio, alla scena dentro la tenda con i due ragazzini e i genitori che li perdono di vista come se fossero andati chissà dove. Oppure alla sequenza in cui una ragazza si arrampica sulla parete della spiaggia e in pochi attimi sembra aver raggiunto un'altezza estrema.
E' davvero curioso il contrasto fra l'estrema luminosita' ''caraibica'' del film e la cupezza del racconto di Shyamalan. In questo senso mi ha ricordato molto l'opera del regista Ari Aster, Midsommar, in cui i colori e la luce delle scenografie facevano da sarcofago alla trama tenebrosa.
Il finale fa parte di quella organizzazione di cui parlavo all'inizio. Sulla spiaggia regna il caos ma nel mondo reale tutto si fa più familiare e logico.
Una vera perla.
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