antonio bianchi
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domenica 24 ottobre 2021
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confortevoli distanze da ripensare
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Di solito uscendo dalla sala del cinema e nei giorni successivi non mi soffermo sulle musiche o sulla fotografia o altri particolari tecnici, ma ripenso e ritorno su ciò che il film mi ha trasmesso, cosa mi ha emozionato, quali pensieri mi ha suscitato e quali mi ha costretto a rivedere.
Non perché i particolari tecnici non siano essenziali nel determinare quel coinvolgimento complessivo, ma semplicemente perché non ho gli strumenti per considerarli separatamente, soprattutto per la colonna sonora.
Ariaferma è una delle eccezioni. Anche per il fatto che l’ho rivisto a distanza di una settimana e il piacere e l’emozione di stare dentro quella storia non sono diminuiti.
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Di solito uscendo dalla sala del cinema e nei giorni successivi non mi soffermo sulle musiche o sulla fotografia o altri particolari tecnici, ma ripenso e ritorno su ciò che il film mi ha trasmesso, cosa mi ha emozionato, quali pensieri mi ha suscitato e quali mi ha costretto a rivedere.
Non perché i particolari tecnici non siano essenziali nel determinare quel coinvolgimento complessivo, ma semplicemente perché non ho gli strumenti per considerarli separatamente, soprattutto per la colonna sonora.
Ariaferma è una delle eccezioni. Anche per il fatto che l’ho rivisto a distanza di una settimana e il piacere e l’emozione di stare dentro quella storia non sono diminuiti.
I canti corali, i silenzi, le parole anche poco comprensibili a volte, perchè sussurrate in dialetti e prosodie a me non familiari, la scena con il crescendo di clapping music, restano nell’orecchio e nello spazio di elaborazione di ciò che di significativo e interrogante accade intorno.
Insieme ai dialoghi fra agenti e detenuti. Una distanza che si vuole affermare come necessaria e che con leggeri slittamenti invocati dallo spazio di relazione si riduce. A partire da una domanda sui rispettivi padri. E da una cena al buio alla poca luce delle lampade recuperate, in cui è possibile scambiarsi confidenze, ascoltarsi.
Anche se il reietto deve comunque essere tenuto lontano. Schifoso. Noi non siamo come lui. Io non sono come te, ho la coscienza a posto.
Una distanza che sembra necessaria per definirsi. Ma che piccoli gesti quotidiani, un tavolo spostato di qualche centimetro, possono ridisegnare.
Gli spazi sono laceri, decadenti, lugubri. La luce entra a definirne l’abbandono.
E forse questo potrebbe essere l’auspicio. Che si possa abbandonare il carcere al passato.
Non a favore di spazi lindi e luminosi. Ma verso modalità nuove, più difficili e contemporaneamente più efficaci.
Neppure a favore di misure di lenimento del tempo del carcere, le attività che sono sospese nella situazione del film. Misure pregevoli in sè, ma che non cambiano la natura disumana della carcerazione, della gabbia.
Ma nel riconoscere una comune umanità, a livello sociale. Nel riuscire a stare a confronto anche con differenze stridenti, rinunciando sempre all’esercizio della violenza. Come argomenta da tempo Gherardo Colombo sull’inutilità del carcere.
Operazione complessa quella di superare il carcere. Da sviluppare anche a livello profondo, da parte di chi conosce bene questi temi.
Leggo una bella recensione a cura di De Blasis sul sito di Polizia penitenziaria che sembra dire che sia possibile immaginare questo superamento. Non sono queste le sue parole, ma il registro del suo commento sembra lasciare spazio all’utopia di regole che possono essere riconsiderate. Qualcuno certamente considererà queste ipotesi come buoniste. Si può sempre provare a renderle invece occasioni concrete.
I canti, le musiche e i suoni di Ariaferma, curate da Pasquale Scialò, Xavier Lavorel e Daniela Bassani entrano in risonanza mentre vedo il film e restano dentro nei giorni che seguono. Ho pensato per analogia ai pochi altri canti corali che conosco, come Szerelem, o a canti sardi, come quelli raccontati in Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni. E la clapping music, fare musica col nostro corpo umano. Una dimensione nuova per me, di apprezzamento per la sfera sonora, che mi fa dire grazie a tutto l’insieme di operatori che hanno concepito e prodotto questo lavoro.
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laura menesini
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sabato 23 ottobre 2021
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eccezionale
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Film bellissimo, sottolineato da una musica sempre appropriata ed eccezionale (Pasquale Scialò), girato in un ambiente lugubre e fatiscente, un bianco/nero, che ti tiene col fiato sospeso per quasi due ore, quando ti accorgi che tutti i tentativi di rivedere i rapporti detenuti-agenti di custodia non sono ammissibili e la routine riprenderà il sopravvento. Ma nel frattempo abbiamo avuto modo di vedere un tentativo di apertura, un rapporto di formazione in cui i due personaggi principali (l'agente Gargiulo e il detenuto Lagioia) si sono scambiati poche parole e tanti sguardi. Accanto a loro, altri casi dal giovane cresciuto in una struttura ricettiva e particolarmente sfortunato all'infame agli stranieri .
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Film bellissimo, sottolineato da una musica sempre appropriata ed eccezionale (Pasquale Scialò), girato in un ambiente lugubre e fatiscente, un bianco/nero, che ti tiene col fiato sospeso per quasi due ore, quando ti accorgi che tutti i tentativi di rivedere i rapporti detenuti-agenti di custodia non sono ammissibili e la routine riprenderà il sopravvento. Ma nel frattempo abbiamo avuto modo di vedere un tentativo di apertura, un rapporto di formazione in cui i due personaggi principali (l'agente Gargiulo e il detenuto Lagioia) si sono scambiati poche parole e tanti sguardi. Accanto a loro, altri casi dal giovane cresciuto in una struttura ricettiva e particolarmente sfortunato all'infame agli stranieri ... ma quello che ti tiene in ansia come fosse un thriller sono gli occhi dei due protagonisti. Bellissima la musica e la fotografia.
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thomas
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giovedì 21 ottobre 2021
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eccellente
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Tutti siamo uguali dinanzi alla legge perché abbiamo pari dignità in quanto esseri umani. E se qualcuno ha commesso errori nella vita ed è stato condannato al carcere, non per questo perde la sua dignità di persona e la sua umanità. Quello di Costanzo è un film che negli anni '60 si sarebbe definito di "formazione", che trasmette valori, cioè, e contribuisce a rafforzare il senso civico e morale. Ma il vero pregio sta nella qualità dei dialoghi, nella verosimiglianza delle situazioni, nella concretezza dei personaggi, nella precisione delle dinamiche, mai forzate, ma sempre coerenti e logiche. Non c'è nulla di artificioso nel film, tutto è "al suo posto", in una perfezione pressoché geometrica in cui persino le parole e i movimenti degli interpreti hanno un ruolo preciso, quello di raccontare come ci si comporta tra uomini veri, capaci di rispetto reciproco pur nei ruoli opposti di guardia/carcerato.
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Tutti siamo uguali dinanzi alla legge perché abbiamo pari dignità in quanto esseri umani. E se qualcuno ha commesso errori nella vita ed è stato condannato al carcere, non per questo perde la sua dignità di persona e la sua umanità. Quello di Costanzo è un film che negli anni '60 si sarebbe definito di "formazione", che trasmette valori, cioè, e contribuisce a rafforzare il senso civico e morale. Ma il vero pregio sta nella qualità dei dialoghi, nella verosimiglianza delle situazioni, nella concretezza dei personaggi, nella precisione delle dinamiche, mai forzate, ma sempre coerenti e logiche. Non c'è nulla di artificioso nel film, tutto è "al suo posto", in una perfezione pressoché geometrica in cui persino le parole e i movimenti degli interpreti hanno un ruolo preciso, quello di raccontare come ci si comporta tra uomini veri, capaci di rispetto reciproco pur nei ruoli opposti di guardia/carcerato. Perché dentro ognuno di noi continua a baluginare sempre in ogni frangente quel quid di vera umanità e, se ci si libera dalle ingessature dei livelli sociali o delle posizioni di potere, si sarà sempre capaci di riconoscere nell'altro la sua umanità e, su di essa, costruire un rapporto capace di garantire dialogo e arricchimento reciproco. La colonna sonora è perfettamente coerente con la filosofia del film: mai violini di sottofondo, ma tamburi, idonei a rappresentare la durezza delle situazioni e la difficoltà di superare le diffidenze reciproche. E poi le recitazioni sono eccezionali: Servillo e un ispettore carcerario attento e razionale, Orlando un carcerato talmente furbo da essere molto saggio; tutte le figure di contorno contribuiscono infine a creare quel chiaroscuro, quella mezzatinta che avvicina gli estremi, li rende cromaticamente compatibili, fino a farli perfettamente diventare addirittura complementari. Il film scorre lento ma mai noioso verso uno sviluppo che potrebbe essere inatteso, ma la lentezza a volte è precisione e profondità, consente la riflessione, che è un bene prezioso sempre più difficile da trovare, nonostante sia il nutrimento dell'intelligenza. "Ariaferma" è una pellicola eccellente, avvicina gli opposti, spiega le differenze, non fa divertire né svagare la mente, ma ci rende consapevoli che il vero superpotere che tutti noi abbiamo e possiamo usare, a prescindere da grado e posizione sociale, è la nostra umanità
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flaw54
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mercoledì 20 ottobre 2021
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monotono
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Film di recitazione e sotto questo aspetto sicuramente riuscito, ma la lentezza specie nella prima parte è esasperante e anche poco giustificata. Evidenti le influenze del Deserto dei Tartari, ma nell'opera di Buzzati e nel film di Zurliniil senso dell' attesa era giustificato e motivato da elementi chiaramente metaforici. Opera non completamente riuscita.
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(di luciano73)
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mauridal
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mercoledì 20 ottobre 2021
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ora d''aria immobile
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ORA D’ARIA IMMOBILE recensione mauridal del film ARIAFERMA di Leonardo Di Costanzo
Quando la guardia di sorveglianza dell’emiciclo interno al carcere ,urla ai detenuti nelle celle :” ARIA ”. ecco che si anima tutto il microcosmo del carcere ricostruito nel film, i detenuti possono uscire dalle celle per l’ora d’aria, concessa all’aperto in un cortile dove si ricreano le dinamiche dei rapporti umani , sempre e ovunque esistenti, ovvero violenza, gerarchie di comando , come anche rispetto per i forti e sopraffazione verso i deboli.
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ORA D’ARIA IMMOBILE recensione mauridal del film ARIAFERMA di Leonardo Di Costanzo
Quando la guardia di sorveglianza dell’emiciclo interno al carcere ,urla ai detenuti nelle celle :” ARIA ”. ecco che si anima tutto il microcosmo del carcere ricostruito nel film, i detenuti possono uscire dalle celle per l’ora d’aria, concessa all’aperto in un cortile dove si ricreano le dinamiche dei rapporti umani , sempre e ovunque esistenti, ovvero violenza, gerarchie di comando , come anche rispetto per i forti e sopraffazione verso i deboli. L’aria ferma che si respira all’interno delle celle diventa appena più mossa al di fuori , ma tutto il resto , rimane immobile come le esistenze dei carcerati che devono espiare la pena ,e la vita degli agenti di custodia , guardie, secondini, ispettori e graduati in servizio.
Il merito del film , non privo dei difetti tipici del movie introspettivo, ovvero mancanza di azione e montaggio veloce, è dunque di sintetizzare i due elementi umani che si fronteggiano ma anche competono all’interno della storia , ovvero l’ispettore Gargiulo guardia carceraria e il detenuto Lagioia, capoclan ,della camorra. Intanto fuori da ogni interpretazione ideologico storica, qui nella buona sceneggiatura del film si tende a non sottovalutare la possibile intesa a debita distanza di due forze antagoniste che fanno leva sull’unico scopo possibile da raggiungere per tutti coloro che vivono una assoluta segregazione , ovvero la sopravvivenza. Dunque in questo carcere di isolamento in una sottintesa Sardegna, si avvera e si realizza uno di quei paventati scandali che hanno segnato una parte di storie della vita civile italiana. Per la umana ragione di sopravvivere a condizioni inumane e impossibili per la convivenza , senza rivolte e guerra cruenta , Gargiulo ispettore e Lagioia mafioso, vengono ad un patto di tolleranza e di collaborazione per aiutare la comunità tutta , carcerati e non, ad uscire dalla sospensione della vita e del tempo che in quel carcere per tanti motivi si viene a creare. Non si tratta di un film di fantascienza o thriller spionaggio o altro, qui si parla di trattativa per preparare i pranzi nella cucina del carcere , di consumare i pasti in ambiente comune di poter lasciare la cella per alcuni e di ricreare una parvenza di vita civile per tutti, guardie comprese . Parte della storia si perde in motivazioni tra legge e burocrazia carceraria, ma al fondo prevale inevitabilmente, la intesa e la fiducia reciproca , tra poteri dominanti , per superare la fissità della situazione ovvero , un carcere dismesso con detenuti intrasferibili, che con tutto il personale di custodia deve aspettare un trasferimento irreale. Dunque una storia surreale ma al contempo di un realismo visionario ancorato a personaggi di una recente vicenda italiana molto più complessa dove le trattative sono avvenute ma subito negate , per evitare ulteriori stragi o per chiudere con uomini dal passato violento e omicida, con il potere di condizionare molti altri uomini alla rivolta malavitosa.Qui si ferma la vicenda umana descritta e ben interpretata dai due protagonisti gli attori Silvio Orlando e Toni Servillo, menzionando la regia attenta del Di Costanzo che ha reso la condizione di insopportabile vita carceraria al di fuori dagli stereotipi comuni , ma si direbbe quasi dall'interno di una esperienza vissuta. (Mauridal)
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lbavassano
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martedì 19 ottobre 2021
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l''eccellenza del cinema italiano
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Film ottimo, da tutti i punti di vista, il meglio del cinema italiano, in grado di confrontarsi con l'eccellenza internazionale. Da quello attoriale, ovviamente, innanzitutto, con il sempre straordinario Toni Servillo che incontra un Silvio Orlando perfettamente all'altezza (e forse addirittura qualcosa di più). Da quello della storia, dei modi e dei tempi narrativi, che riescono a coniugare tensione (eccellentemente sottolineata dalla colonna sonora, che pare suggerire ogni volta un crescendo drammatico, una svolta, che invece non avviene, almeno in apparenza) e profondità di introspezione umana (è lì, viceversa, nell'interiorità, che i capovolgimenti avvengono, tanto più autenticamente drammatici).
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Film ottimo, da tutti i punti di vista, il meglio del cinema italiano, in grado di confrontarsi con l'eccellenza internazionale. Da quello attoriale, ovviamente, innanzitutto, con il sempre straordinario Toni Servillo che incontra un Silvio Orlando perfettamente all'altezza (e forse addirittura qualcosa di più). Da quello della storia, dei modi e dei tempi narrativi, che riescono a coniugare tensione (eccellentemente sottolineata dalla colonna sonora, che pare suggerire ogni volta un crescendo drammatico, una svolta, che invece non avviene, almeno in apparenza) e profondità di introspezione umana (è lì, viceversa, nell'interiorità, che i capovolgimenti avvengono, tanto più autenticamente drammatici). Dell'ambientazione scenografica, di una bellezza degradata tanto realistica quanto metaforica, claustrofobica ma invasa dalla forza incoercibile della natura (le immagini degli interni in contrasto con quelle degli esterni, l'orto abbandonato come sintesi, manzoniana?).
Dodici detenuti in attesa di trasferimento, cui se ne aggiunge un tredicesimo, che (anche se il regista preferisce suggerire la casualità dei numeri, e sicuramente fa bene), nella scena centrale si incontrano per un'Ultima Cena con il Cristo, non innocente, destinato al sacrificio che abbraccia Giuda, l'escluso per una colpa irredimibile.
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(di luciano73)
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angio
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martedì 19 ottobre 2021
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"lento" non ha senso..
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Non sono d'accordo con carloalberto. A prescindere dal fatto che "lento" è un aggettivo che ha poco senso in generale, ma soprattutto ne ha poco per quei generi di film che parlano di sentimenti, di emozioni, i film che io definisco "intimisti", come si fa a velocizzarli? Se non sono film d'azione dove un folto gruppo di gente corre dietro ad una misteriosa valigetta, ma film che parlano di punti vista della vita, di situazioni di solitudine, di sensibilità umana, come appunto è "Aria ferma", come si può definirli lenti?
Io lo trovo splendidamente girato, ottimo cast, ottima musica e fotografia. Con un massaggio per niente banale: chi è fuori dalla galera non sempre è veramente libero, e comunque ogni essere umano deve avere la sua dignità, libero o recluso che sia.
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Non sono d'accordo con carloalberto. A prescindere dal fatto che "lento" è un aggettivo che ha poco senso in generale, ma soprattutto ne ha poco per quei generi di film che parlano di sentimenti, di emozioni, i film che io definisco "intimisti", come si fa a velocizzarli? Se non sono film d'azione dove un folto gruppo di gente corre dietro ad una misteriosa valigetta, ma film che parlano di punti vista della vita, di situazioni di solitudine, di sensibilità umana, come appunto è "Aria ferma", come si può definirli lenti?
Io lo trovo splendidamente girato, ottimo cast, ottima musica e fotografia. Con un massaggio per niente banale: chi è fuori dalla galera non sempre è veramente libero, e comunque ogni essere umano deve avere la sua dignità, libero o recluso che sia.
Io l'ho trovato un ottimo film.
Angela
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rosmersholm
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lunedì 18 ottobre 2021
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debole
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Ben realizzato e recitato con precisione millimetrica dai bravi interpreti. Soffre tuttavia di un male tipico di buona parte del cinema italiano contemporaneo; il minimalismo delle storie che sembrano non avere mai il coraggio di misurarsi con una drammaturgia compiuta e storie potenti. Si procede per esili metafore, allusioni e reticenze che, alla fine dei conti, svelano una forma di pavidità. E alla fine, tirando le somme, rimane soltanto un minimo di moralismo stantio, tipico dell'intellighenzia italiota.
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massimo gioli
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domenica 17 ottobre 2021
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film apprezzabile, senza essere eccezionale...
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Se lento è sinonimo di noioso (non è rock, direbbe qualcuno !!), se banale è un film che non ha colpi di scena, è ideologico se esprime un modo di immaginare i rapporti umani, e moraleggiante se ne approva chiaramente la visione, mi sa che non siamo messi bene… sommersi da un mare di spazzatura cinematografica (prevalentemente americana !!) penso sia un film, che senza essere un capolavoro, sia da apprezzare… se no, buon Avengers 12 a tutti !!!
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carloalberto
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venerdì 15 ottobre 2021
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servillo non può fare miracoli
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Film lento, noioso, banale, ideologico. Servillo ed Orlando, affiancati da un ottimo cast, non possono fare miracoli. Di Costanzo vuole farci la lezioncina moraleggiante alla Esopo o meglio il sermone cantato. A proposito, il commento sonoro è notevole, come pure si salva la fotografia e sarebbe stato il colmo fosse stato il contrario considerato che il regista di mestiere fa anche il direttore della fotografia. Il soggetto è originale. E’ una delle poche volte che un film ambientato in un carcere ha come protagonisti non soltanto i detenuti ma anche gli agenti della polizia penitenziaria. Tutto qui. Il plot si sviluppa con tempi biblici. Lunghe sequenze in cui non accade assolutamente nulla si alternano a qualche scena che dovrebbe essere, nelle intenzioni, drammatica, ma l’azione è talmente scontata e prevedibile da risultare altrettanto tediosa.
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Film lento, noioso, banale, ideologico. Servillo ed Orlando, affiancati da un ottimo cast, non possono fare miracoli. Di Costanzo vuole farci la lezioncina moraleggiante alla Esopo o meglio il sermone cantato. A proposito, il commento sonoro è notevole, come pure si salva la fotografia e sarebbe stato il colmo fosse stato il contrario considerato che il regista di mestiere fa anche il direttore della fotografia. Il soggetto è originale. E’ una delle poche volte che un film ambientato in un carcere ha come protagonisti non soltanto i detenuti ma anche gli agenti della polizia penitenziaria. Tutto qui. Il plot si sviluppa con tempi biblici. Lunghe sequenze in cui non accade assolutamente nulla si alternano a qualche scena che dovrebbe essere, nelle intenzioni, drammatica, ma l’azione è talmente scontata e prevedibile da risultare altrettanto tediosa.
Il messaggio è chiaro. Al di là dei ruoli e delle divise gli uomini sono tutti uguali e così emblematicamente nel finale i due anziani protagonisti, che hanno preso strade diverse, si ritrovano inquadrati da Di Costanzo mentre passeggiano insieme come due ragazzi.
La forzatura ideologica e l’artificio raggiungono l’apice nel voler suscitare nello spettatore empatia e pietà proprio per i due detenuti più odiosi. Un uomo che ha abusato della figlia, se non la ha addirittura uccisa, questo non è dato sapere, ed un ragazzo che ha riempito di pugni un vecchietto per scipparlo riducendolo in fin di vita. E’ chiaro che lo sceneggiatore ha scelto a bella posta i personaggi più detestabili ed esecrabili perché il concetto pseudo cristiano dell’amore per il prossimo, chiunque egli sia e qualsiasi cosa abbia fatto, anche la più abominevole, giunga allo spettatore nella sua originaria paradossalità. Silvio Orlando in una scena dice: qui non c’è niente da ridire. Questa è l’unica battuta che abbia un senso in tutti i dialoghi. Aggiungo che non c’è nemmeno niente da piangere o da commuoversi oppure da invitare genericamente carcerati e guardie a scorgere nell’altro un essere umano riscoprendo così la propria umanità. La situazione delle carceri in Italia, le pessime, tragiche condizioni di vita dei detenuti e specularmente le drammatiche condizioni di lavoro degli agenti di custodia meriterebbero di essere il soggetto di un docufilm di denuncia che susciti l’indignazione popolare e smuova il potere ad agire assumendosi le proprie responsabilità. Le parabole evangeliche lasciano il tempo che trovano. Certi temi possono essere affrontati o con la poesia o con la verità. In questo caso non c’è né l’una né l’altra.
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[+] ma che film hai visto?
(di no_data)
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[+] ok
(di flaw54)
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[+] ma che film hai visto 2
(di ganesh)
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[+] socialità che riabilita
(di stefano capasso)
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