no_data
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domenica 27 febbraio 2022
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aria davvero ferma
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Due grandissimi attori si confrontano in un dramma che si muove lentamente e con poche parole. La pesantezza di un carcere in dismissione, un'umanità dolente, stanca, arrabbiata, impotente, bloccata. Atmosfera pesante che il regista rende molto bene. Il film non è dinamico, lascia che i pochi eventi essenziali creino situazioni in cui l'umanità dei personaggi esca fuori senza forzature. Il personaggio di Servillo si rivela poco a poco, quello di Silvio Orlando è fermo ed enigmatico, fino a rivelarsi nei pochi momenti in cui i due uomini riescono a confrontarsi. Ho trovato incongrua la musica che interviene come un disturbo più che un aggiunta in un film che non ha bisogno di commenti musicali.
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Due grandissimi attori si confrontano in un dramma che si muove lentamente e con poche parole. La pesantezza di un carcere in dismissione, un'umanità dolente, stanca, arrabbiata, impotente, bloccata. Atmosfera pesante che il regista rende molto bene. Il film non è dinamico, lascia che i pochi eventi essenziali creino situazioni in cui l'umanità dei personaggi esca fuori senza forzature. Il personaggio di Servillo si rivela poco a poco, quello di Silvio Orlando è fermo ed enigmatico, fino a rivelarsi nei pochi momenti in cui i due uomini riescono a confrontarsi. Ho trovato incongrua la musica che interviene come un disturbo più che un aggiunta in un film che non ha bisogno di commenti musicali. In ogni caso un film da vedere per entrare nel mondo del carcere e scoprire sfumature dell'essere umano che si mostrano solo in alcune occasioni.
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enzo70
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mercoledì 26 gennaio 2022
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due uomini e un vecchio carcere, consigliatissimo
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La burocrazia è burocrazia; e poco conta se 12 detenuti vengono lasciati in un carcere in disarmo, in attesa di un trasferimento che avverrà. Sono detenuti, figli di un dio minore, devono scontare non una pena, ma le pene, come quella di perdere il diritto alle visite e al cibo decente. Perché con la chiusura delle cucine sono costretti a mangiare solo cibi precotti. Dall’altra parte le guardie penitenziarie, uomini come i detenuti, con i loro pregi e i loro difetti. Al centro del film due uomini, l’ispettore Gaetano Gargiulo e il detenuto Carmine Lagioia. L’ispettore è ligio al dovere ma nel dovere riconosce i diritti dei detenuti, il rispetto che lo Stato gli deve; Lagioia non riconosce alcun diritto allo Stato, ma il valore degli uomini si.
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La burocrazia è burocrazia; e poco conta se 12 detenuti vengono lasciati in un carcere in disarmo, in attesa di un trasferimento che avverrà. Sono detenuti, figli di un dio minore, devono scontare non una pena, ma le pene, come quella di perdere il diritto alle visite e al cibo decente. Perché con la chiusura delle cucine sono costretti a mangiare solo cibi precotti. Dall’altra parte le guardie penitenziarie, uomini come i detenuti, con i loro pregi e i loro difetti. Al centro del film due uomini, l’ispettore Gaetano Gargiulo e il detenuto Carmine Lagioia. L’ispettore è ligio al dovere ma nel dovere riconosce i diritti dei detenuti, il rispetto che lo Stato gli deve; Lagioia non riconosce alcun diritto allo Stato, ma il valore degli uomini si. E inizia così in un’aria ferma, immobile, un percorso di avvicinamento tra i due estremi di due mondi idealmente contrapposti, guardie e ladri, anche se Gargiulo non è una guardia e Lagioia non è un ladro. Straordinari Servilli e Orlando nell’interpretare ruoli non semplici anche per il ritmo lento del film. Ma di Costanzo ci mette le testa e il risultato è un film che aiuta a riflettere non solo sull’incivile condizione delle carceri italiane ma sulla deriva della società moderna. Consigliatissimo.
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jonnylogan
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venerdì 21 gennaio 2022
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che ne sarà di noi
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In un carcere in via di dismissione, a un manipolo di guardie è ordinato di rimanere a sorvegliare l’ultima dozzina di detenuti che a breve, esattamente come loro, saranno spediti in altre strutture. Gaetano Gargiulo, agente che per motivi di anzianità assume il comando, ordina di radunare i detenuti nella parte centrale del carcere, ma i giorni passano senza ricevere nuove notizie e il malcontento inizia a serpeggiare fra tutti i presenti.
È facile cadere nell’idea di trovarsi davanti a una pellicola che denunci lo stato di degrado nel quale versano le carceri della penisola, causa un set rappresentato dall’ ex carcere di San Sebastiano, casa circondariale di Sassari, costruita con le logiche del Panoptismo e chiusa ormai da quasi dieci anni.
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In un carcere in via di dismissione, a un manipolo di guardie è ordinato di rimanere a sorvegliare l’ultima dozzina di detenuti che a breve, esattamente come loro, saranno spediti in altre strutture. Gaetano Gargiulo, agente che per motivi di anzianità assume il comando, ordina di radunare i detenuti nella parte centrale del carcere, ma i giorni passano senza ricevere nuove notizie e il malcontento inizia a serpeggiare fra tutti i presenti.
È facile cadere nell’idea di trovarsi davanti a una pellicola che denunci lo stato di degrado nel quale versano le carceri della penisola, causa un set rappresentato dall’ ex carcere di San Sebastiano, casa circondariale di Sassari, costruita con le logiche del Panoptismo e chiusa ormai da quasi dieci anni. Il macilento edificio che fa da sfondo alla narrazione dà l’idea di essere sì decadente ma al tempo stesso un carcere per tutti i presenti. Sia i prigionieri, ma anche per coloro che sono lì a sorvegliarli. Tutti uniti dalla medesima sorte fatta di una burocrazia bacata, un sistema probabilmente da riformulare, almeno nelle intenzioni del regista, e un destino percepito come escludente. Un luogo dal quale non riescono a scappare sia i prigionieri, capeggiati da un eccellente Silvio Orlando, nel ruolo di un camorrista di lungo corso e con ancora molti anni da scontare e al quale tutti offrono rispetto. Ma anche i pochi secondini rimasti a sorvegliarli, con Toni Servillo che ancora una volta si cala abilmente in un’interpretazione perfetta, in tal caso fatta di poche parole, molte pause di riflessione e gli inevitabili dubbi per un ordine di trasferimento che stenta ad arrivare.
Al quarto lungometraggio l’ischitano Di Costanzo fa ancora centro riuscendo a sovvertire le logiche dei film a sfondo carcerario, narrando le vite di persone sia ai limiti geografici, in tal caso sperduti nel centro di una valle e confinanti con l’immaginario paese di Mortana, ma anche di professione e condizione sociale. Fuori concorso all’ultimo festival del cinema di Venezia, dove il regista è tornato a nove anni dalla sua precedente partecipazione. Ariaferma, frase che lo stesso Di Costanzo ha trovato sulle pareti di uno dei numerosi carceri ove ha eseguito i sopralluoghi, è espressione di cosa possa accadere a un gruppo di persone che in cattività deve arrangiarsi per riuscire a coesistere e andare avanti, nell’attesa di qualche cosa di meglio per il futuro comune. Pellicola lenta e riflessiva, senza vincitori né vinti e alla quale i protagonisti, Orlando e Servillo, riescono ad aggiungere due interpretazioni superlative, nonostante la convinzione iniziale, da parte di entrambi, di dover recitare a ruoli invertiti.
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thomas_
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domenica 9 gennaio 2022
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bel film di buzzatiana memoria
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Il carcere è un non luogo buzzatiano dominato dall'attesa. Film cercerario di impronta esistenzialista. Bravissimo Silvio Orlando.
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eugenio
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sabato 8 gennaio 2022
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il deserto dei tartari carcerario
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Ricorda molto il Deserto dei Tartari, come impostazione e purezza, il film-documentario Ariaferma di Leonardo di Costanzo, interamente girato in un luogo chiuso e avulso come la prigione. Un luogo su cui tanta letteratura ha scritto e tanto cinema ha rappresentato in maniera più o meno consapevole e originale, dove detenuti espiano la propria pena, spesso in condizioni disumane.
Cosa succederebbe se per un rinvio di un ordine di trasferimento, un manipolo di agenti della polizia penitenziaria capitanati da un ispettore di polizia probo e taciturno, Gaetano Gargiulo (Toni Servillo), dovesse badare a dodici detenuti, di un carcere oramai prossimo alla chiusura?
Per poco tempo, suvvia necessario affinchè la struttura che li possa accogliere sia di nuovo disponibile.
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Ricorda molto il Deserto dei Tartari, come impostazione e purezza, il film-documentario Ariaferma di Leonardo di Costanzo, interamente girato in un luogo chiuso e avulso come la prigione. Un luogo su cui tanta letteratura ha scritto e tanto cinema ha rappresentato in maniera più o meno consapevole e originale, dove detenuti espiano la propria pena, spesso in condizioni disumane.
Cosa succederebbe se per un rinvio di un ordine di trasferimento, un manipolo di agenti della polizia penitenziaria capitanati da un ispettore di polizia probo e taciturno, Gaetano Gargiulo (Toni Servillo), dovesse badare a dodici detenuti, di un carcere oramai prossimo alla chiusura?
Per poco tempo, suvvia necessario affinchè la struttura che li possa accogliere sia di nuovo disponibile.
Poco tempo, sì considerando che tra quei detenuti ci sta anche Don Carmine Lagioia (Silvio Orlando), un boss camorrista a fine pena, di quelli silenti, pronti a aizzare le masse nell’ombra, sobillatori di rivolta.
Poco tempo, in cui occorre attendere in una situazione tesa anzi “sospesa”, ove le dinamiche carcerarie divengono quasi rarefatti dialoghi tra i due protagonisti, due attori in stato di grazia dalle pose teatrali, Toni Servillo e Silvio Orlando, magnifici nel loro dramma da camera anzi da galera ibseniano.
Poco tempo, appunto, che diviene quasi infinito, remoto, perso tra le sarde vallate, dentro un ottocentesco carcere in cui le cucine e tutti gli altri servizi sono stati dismessi, dove la direttrice viene inviata ad un'altra destinazione e i pochi agenti rimasti devono cercare di gestire l'imprevista situazione, un tempo saturo in cui si respira un’aria di condivisione, in cui il confine tra giusto e onesto, sfuma e il muro, invalicabile tra carcerati e carcerieri manda all'aria le regole del gioco, creando una palpabile tensione fra i personaggi costretti a vivere precariamente.
Il tempo, lui è protagonista di Ariaferma, che comprime e sintetizza le dinamiche carcerarie (e forse non solo), portando all'evidenza tutta la loro assurdità. Un tempo soggettivo, quasi relativistico, joyciano per dirla con l’Ulisse, dove i protagonisti vivono sospesi in una bolla, ermeticamente chiusi entro i loro sguardi, silenzi, rarefatti in un’aria ferma appunto.
Respirando il comune afflato, i due poli attorno a cui ruota la pellicola, si confrontano in duelli verbali, confronti pacati sul senso della giustizia oggi (Io e te non abbiamo nulla in comune si lascerà sfuggire la silente guardia), permeando di attesa qualcosa che sappiamo benissimo essere indefinito. All’interno di un luogo chiuso, sono più facili le rivolte, scoppiano casi problematici, come quello di Fantaccini (Pietro Giuliano), dall’istinto al suicidio per una rapina finita male, particolarmente “benvoluto” dalla guardia e in fondo anche dalla sua antifrasi.
Si percepisce, sotto una crosta di essenziale prova attoriale, umanità in questa pellicola di grande potenza stilistica, la capacità di prendersi cura del prossimo, anche violando regole, anche andando contro quella dura lex sed lex imprescindibile e disprezzata.
Non solo: la forza delle due ore di Ariaferma sta anche nella coralità, nei volti spigolosi e terrei dei detenuti, nell’equilibrio tra detto e celato, nelle grida che esplodono oltre quelle sbarre invisibili in una permeabilità liquida, un carcere psicologico e mentale, prigione e barriera di tensione latente. E in fondo, dentro quel mondo che conosciamo tutti noi, che viviamo giorno dopo giorno, arrocchiti dentro il nostro pensiero precostituito, tra scetticismo, paura e un bisogno rivoltante di un’umanità sofferta e negata.
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(di mrs hide)
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luciano73
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venerdì 7 gennaio 2022
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tutto, quasi, molto bene
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Sembra esserci tutto, in questo film, per attirare l'attenzione di semplici osservatori e amanti del cinema. A guardar bene però, si capisce che la presenza di due mostri sacri come Servillo e Orlando, e la discreta prova degli attori anche non professionisti, la buona fotografia e la location decisamente suggestiva, non bastano per dare alla pellicola un voto positivo nel complesso. C'è un meraviglioso irreale realismo per tutta la durata del film, senza però, giungere a nessuna destinazione certa. Lo si guarda fino alla fine, ma con la sensazione netta che non sia mai accaduto nulla di tante cose che sarebbero potute accadere. Peccato.
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maria f.
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martedì 9 novembre 2021
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evviva i buoni flim!
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Un film importante, attraverso il quale inevitabilmente si riflette sulla condizione di chi per giusta sentenza o per errore giudiziario è costretto a vivere in condizioni di segregazione.
C’è chi se ne fa una ragione e approfitta per considerare un cambiamento radicale e valutare di vivere un’esistenza anche se in cattività ma in maniera diametralmente opposta alla vita prima della detenzione, chi invece è sopraffatto e conta i giorni in attesa della propria liberazione.
Tutti però sono costretti a dipendere dal personale carcerario.
Anche il personale di guardia trascorre la vita dentro le mura della prigione, molti di loro proprio perché hanno il compito di custodire e osservare costantemente quelle vite spezzate, abbrutite, finiscono per mortificare e umiliare se stessi e molti arrivano al suicidio.
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Un film importante, attraverso il quale inevitabilmente si riflette sulla condizione di chi per giusta sentenza o per errore giudiziario è costretto a vivere in condizioni di segregazione.
C’è chi se ne fa una ragione e approfitta per considerare un cambiamento radicale e valutare di vivere un’esistenza anche se in cattività ma in maniera diametralmente opposta alla vita prima della detenzione, chi invece è sopraffatto e conta i giorni in attesa della propria liberazione.
Tutti però sono costretti a dipendere dal personale carcerario.
Anche il personale di guardia trascorre la vita dentro le mura della prigione, molti di loro proprio perché hanno il compito di custodire e osservare costantemente quelle vite spezzate, abbrutite, finiscono per mortificare e umiliare se stessi e molti arrivano al suicidio.
Certo anche un comune dipendente è soggetto e prigioniero del lavoro, dell’azienda per cui opera, del sistema, della famiglia, ma chi fa parte del personale di guardia, ritengo, molto più di altri lavoratori, è psicologicamente coinvolto e costretto a una continua pressione poiché affatto sottoposto al contatto complesso, impegnativo, perenne, con delinquenti o presunti tali.
Chi, quindi fra detenuti e secondini può vantare una maggiore libertà rispetto all’altro?
Gargiulo ha la certezza che con l’incarico di Ispettore, e quindi di là dalle sbarre, di potere godere appieno della sua libertà ma il camorrista Lagioia con un semplice:
“A sì?”, tenta di togliergli questa certezza cercando di inculcargli il dubbio che anche la sua posizione apparentemente libera, non lo mette al riparo dagli affanni, dai tormenti della vita ma lo ingabbia virtualmente trattenendolo inconsapevolmente in una angosciante morsa.
Un cast di attori magnifici, superbi!
Grazie.
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marta
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domenica 7 novembre 2021
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al di là dei ruoli di detenuti e guardie siamo tutti esseri umani!
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La delicatezza con cui Leonardo Di Costanzo tratta le relazioni tra detenuti e polizia penitenziaria facendo luce sul risvolto umano di ciascuno di loro è quello che mi ha conquistata in questo film. Ci si aspetta violenza, sangue e risse che lascio volentieri ad altri lungometraggi e serie tv. La vita è fatta anche di umanità, di compassione e di tolleranza! Il carcere rimane un luogo senza senso che non riabilita... a meno che non ci siano laboratori come nel caso del bravissimo Salvatore Striano che grazie al teatro in carcere ha trovato un'alternativa alla criminalità e oggi è un attore affermato che qui interpreta il compagno di cella di Silvio Orlando! E che dire di Fantaccini interpretato da Pietro Giuliano? Forse sta nascendo un altro talento che spero di vedere presto in altri film.
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angelo umana
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venerdì 5 novembre 2021
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aria o acquaferma
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Leggendo dei trascorsi del regista e degli attori di questo film và riconosciuto che si tratta di persone che hanno davvero “studiato” di cinema e teatro, gente che si è applicata con rigore alla settima arte. Da ciò deriva l'alta qualità del cast, nomi di lavoratori dello spettacolo leggendo i quali su una locandina non si può non voler andare a vedere l'opera (Che tempo che fa ha fatto per il film una buona intervista ai due maggiori protagonisti).
Qui l'ambientazione è in una specie di fortezza antica, ora carcere in disuso che và svuotato e i 12 reclusi trasferiti, e il paesaggio è quello montagnoso di un'isola mediterranea, con severe rocce squadrate e inospitali, incutono timore e mistero osservandole a inizio film.
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Leggendo dei trascorsi del regista e degli attori di questo film và riconosciuto che si tratta di persone che hanno davvero “studiato” di cinema e teatro, gente che si è applicata con rigore alla settima arte. Da ciò deriva l'alta qualità del cast, nomi di lavoratori dello spettacolo leggendo i quali su una locandina non si può non voler andare a vedere l'opera (Che tempo che fa ha fatto per il film una buona intervista ai due maggiori protagonisti).
Qui l'ambientazione è in una specie di fortezza antica, ora carcere in disuso che và svuotato e i 12 reclusi trasferiti, e il paesaggio è quello montagnoso di un'isola mediterranea, con severe rocce squadrate e inospitali, incutono timore e mistero osservandole a inizio film. Restano in mente i rumori del carcere, il fragore dei cancelli delle celle, gli ordini. Nei giorni in cui il film circolava sugli schermi è stata ascoltata in qualche canale radiofonico la testimonianza di Gaetano Murana, il palermitano che scontò 18 anni ingiustamente di prigione, accusato dal falso pentito Scarantino di aver partecipato alla strage di via d'Amelio nel '92. Murana dice della violenza degli agenti con cui fu prelevato a Palermo e portato proprio nell'isola di Pianosa, dei pugni calci sevizie e angherie subite: a questo fa pensare l'atteggiamento delle guardie carcerarie del film, che devono custodire questi ultimi reclusi in attesa del trasferimento ad altre prigioni. La piccola comunità, in assenza della direttrice del carcere, deve autogestirsi, ora agli ordini del più alto in grado degli agenti, l'”ispettore” Tony Servillo, quello più di buon senso. Altra figura memorabile è Fabrizio Ferracane, più impulsivo e uso alle coercizioni a cui i carcerati sono sottoposti, e poi … c'è il presunto boss Lagioia (Silvio Orlando), quello con più autorità tra i reclusi, esistono le gerarchie sia tra i militari che tra i detenuti. Risulta difficile però avere timore di un malvivente col viso di Orlando, più assimilabile a quel professore buono e timido del film La Scuola o a quel papà tenero de La variabile umana.
Ecco, il film e la sceneggiatura di Leonardo Di Costanzo – sempre attento alle relazioni tra esseri umani, preferibilmente classi sociali umili o “normali”, vedi L'intrusa - sembra essere un decalogo, un esempio istruttivo di cosa avviene nelle carceri e come sarebbe se … ! Se la convivenza fosse più umana - la sudditanza a cui sono sottoposti i reclusi, a volte violenti a volte casi umani, spesso trattati da “formiche”, cui rivolgersi nel modo più insolente e impositivo, quasi a non considerarli uomini ma “sottospecie”, però questo è un compito più adatto a psicologi o assistenti sociali. Invece nell'Ariaferma (o sospesa, in quei giorni che sembrano unire le due umanità) succede, il film realizza una convivenza ravvicinata tra persone: mangeranno assieme, il “boss” Lagioia farà da cuoco, qualche detenuto userà per necessità il bagno degli agenti, il più giovane tra loro si prenderà cura del prigioniero anziano reietto, rifiutato da tutti. Un quadro idilliaco, ottimista, da buoni sentimenti: si saluteranno i detenuti e le guardie come compagni dopo una colonia estiva, ognuno avrà capito i drammi dell'altro. Sarà smentito l'ispettore Servillo, aveva detto al “boss” che mentre lui lì faceva un lavoro e la notte dormiva tranquillo nel suo letto, senza peccati o debiti da pagare, l'altro era in prigione. Ma in fondo la loro condizione era molto simile.
Qualche riserva sul risultato di questo lavoro: sembra un bel compito, svolto bene, con le migliori intenzioni, teso a svegliare i buoni sentimenti nello spettatore, con gli sguardi sfingei di Servillo, ma il film sà un po' di Ariaferma.
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[+] il vangelo secondo di costanzo
(di gigi)
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[+] aria ferma scorrevole
(di rita)
[ - ] aria ferma scorrevole
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nzaiel
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lunedì 1 novembre 2021
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pessimo
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Film noioso e lento. Non esiste trama, non racconta nulla, non descrive nulla, non succede nulla. Cast non eccellente, Servillo in diversi film mi è piaciuto ma qui non aveva nulla da interpretare, chiunque al posto suo avrebbe avuto scarsi risultati. Non c'era nessun dialogo interessante, nemmeno un'inquadratura interesse, niente di niente. Due ore completamente buttate al vento mi dispiace
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