cardclau
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venerdì 7 maggio 2021
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libertà e condivisione dopo che hai tutto perduto
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese.
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese. In questa atmosfera dove sogno e incubo si mescolano in modo solo in apparenza surreale, si inserisce la storia di Fern. Lei ha lavorato molti anni con l’amato marito Bo all’Empire, entrambi con dedizione, una industria di carton gesso del Nevada. Poi il marito muore di cancro, da lei assistito fino alla fine. Non hanno avuto figli. L’Empire chiude per sempre nel’88. Fern ha perso tutto, tutto troppo presto. Comincia una vita randagia fatta di un camioncino, di continui spostamenti, di lavori saltuari, di relazioni con altri simili a lei. Riguadagna, aiutata in questo dalla natura, una dimensione di libertà. Ma forse non c’è più spazio per la condivisione, forse c’è il timore di legarsi per poi tutto perdere, ancora. L’apparente componente anaffettiva di Fern suggerisce solo un grande dolore. «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria …
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cardclau
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venerdì 7 maggio 2021
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libertà e condivisione dopo che hai tutto perduto
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese.
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese. In questa atmosfera dove sogno e incubo si mescolano in modo solo in apparenza surreale, si inserisce la storia di Fern. Lei ha lavorato molti anni con l’amato marito Bo all’Empire, entrambi con dedizione, una industria di carton gesso del Nevada. Poi il marito muore di cancro, da lei assistito fino alla fine. Non hanno avuto figli. L’Empire chiude per sempre nel’88. Fern ha perso tutto, tutto troppo presto. Comincia una vita randagia fatta di un camioncino, di continui spostamenti, di lavori saltuari, di relazioni con altri simili a lei. Riguadagna, aiutata in questo dalla natura, una dimensione di libertà. Ma forse non c’è più spazio per la condivisione, forse c’è il timore di legarsi per poi tutto perdere, ancora. L’apparente componente anaffettiva di Fern suggerisce solo un grande dolore. «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria …
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giovedì 6 maggio 2021
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film che ti coinvolge e segna.
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Trovo la recensione chiara, ben scritta e soprattutto completamente esplicativa del film che con le sue parole mi ha fatto rivedere. Da Fabia Formicola.
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ghisi
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mercoledì 5 maggio 2021
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i nuovi nomadi
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Il film è tratto da un articolo di Jessica Bruder pubblicato su Harper’s Magazine nel 2014 - diventato libro tre anni dopo con il titolo Nomadland. Un racconto d’inchiesta - ed è reduce dall’aver ottenuto tre Oscar 2021 per il miglior film, per la migliore regia e per la migliore attrice protagonista. Aveva già vinto il Leone d’Oro alla della 77esima Mostra del Cinema di Venezia.
Per scrivere il libro la giornalista Jessica Bruder passò tre anni sul van a parlare e intervistare persone che vivono on the road. Sono i nuovi nomadi, le generazioni di chi ha più di cinquant’anni che hanno perso il lavoro; molti di loro a causa del crack innescato da Lehman Brothers nel 2008, che ha portato via loro casa, lavoro e risparmi trasformandoli in uomini e le donne dei van, delle roulotte e dei camper.
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Il film è tratto da un articolo di Jessica Bruder pubblicato su Harper’s Magazine nel 2014 - diventato libro tre anni dopo con il titolo Nomadland. Un racconto d’inchiesta - ed è reduce dall’aver ottenuto tre Oscar 2021 per il miglior film, per la migliore regia e per la migliore attrice protagonista. Aveva già vinto il Leone d’Oro alla della 77esima Mostra del Cinema di Venezia.
Per scrivere il libro la giornalista Jessica Bruder passò tre anni sul van a parlare e intervistare persone che vivono on the road. Sono i nuovi nomadi, le generazioni di chi ha più di cinquant’anni che hanno perso il lavoro; molti di loro a causa del crack innescato da Lehman Brothers nel 2008, che ha portato via loro casa, lavoro e risparmi trasformandoli in uomini e le donne dei van, delle roulotte e dei camper.
Al libro si interessò Frances McDormand che, insieme all’attore e produttore Peter Spears, ne acquisì i diritti per il cinema nel 2017 e scoprì la regista che ne è anche sceneggiatrice.
“Nomadland” è una sorta di documentario empatico su quel tipo di nomadismo statunitense visto attraverso gli occhi di Fern (interpretata dalla stessa Frances McDormand): «Senza casa ma non senza tetto (houseless e non homeless)» specifica in uno dei suoi rari dialoghi a una sua ex studentessa incontrata casualmente.
Siamo a nord-ovest del Nevada nel deserto Black Rock che era il letto di un grande lago lungo più di 100 km prosciugatosi migliaia di anni fa. Fin dal XVIII secolo questa zona ha sempre ospitato una serie di attività minerarie. A un certo punto ad Empire, chiude lo stabilimento US Gypsum e Fen si mette in viaggio sul suo furgoncino chiamato Avant-garde, fermandosi qua e là a seconda dei lavori temporanei che trova.
Quello meglio remunerato è per Amazon, che all’epoca si stava affermando e aveva bisogno di personale extra nei picchi stagionali, come durante il periodo natalizio. Poiché occorreva trovare una nuova forza lavoro l’azienda nel 2008 si era rivolta con successo ai migranti, alle persone che viaggiavano e vivevano nei veicoli. È iniziato così il programma Camper Force che consiste in un’occupazione molto dura, con turni di 10-12 ore pagati tra gli 11 e i 15 dollari l’ora, ma che permette però di guadagnare il denaro sufficiente per mantenersi per il resto dell’anno in viaggio.
La vita di Fern quindi è fatta di lavori saltuari o stagionali, di inverni rigidi, e di serate solitarie. Su consiglio dell’amica Linda May (che interpreta se stessa), si mette in contatto con un’intera comunità di persone che vive come lei e che si spostano da un’area all’altra del paese con i loro camper, ma costituiscono una comunità con una base fissa dove riunirsi e creare legami. Molte persone rappresentate nel film non si possono permettere, di andare in pensione anche se hanno lavorato tutta la vita (mancanza di contributi, pensioni troppo basse ecc.). Qui tanti incontri con altrettante umanità sofferenti, ognuno con il proprio dramma e con le proprie memorie: lutti da superare, malattie, abbandoni e tutto il resto sono i ricordi che ogni van cela al suo interno. Tre delle persone che Fern incontra sono reali nomadi che hanno accettato di interpretare se stessi nel film: Linda May, Swankie, Bob Wells.
Durante il resto dell’anno, Fern si guadagna da vivere talvolta come responsabile del campo dove sostano i veicoli. È un’occupazione che non costituisce un guadagno vero e proprio ma permette la permanenza gratuita e consente di passare la giornata immersi nella natura, a contatto con le molte altre persone. Tra i vari lavori precari Fern trova anche una occupazione in un impianto di lavorazione della barbabietola da zucchero. Poi incontrerà David, (interpretato da David Strathairn) che lavora al Badlands National Park accompagnando i turisti nelle visite e poi come cuoco per Wall Drug, un ristorante vicino al parco. Il loro rapporto si trasformerà in una storia di tenera amicizia.
Fern non sa vivere tra quattro mura, si sente intrappolata in una casa che sia con la sorella e il marito o con la famiglia di Dave, che pur l’accoglie a braccia aperte in occasione della festa del thanks-giving. Così preferirà ritornare nel deserto per rincontrare Bob Wells e la comunità attorno a lui che va e viene. Aiutare gli altri dà un senso alla vita, la natura è vasta e noi ne facciamo o parte. Così il saluto di Bob Wells non è mai un addio: «I’ll see you down the road» (ci vedremo per la strada).
Il film sembra narrare contesti diversi da quello attuale, da un lato evoca un certo tipo di popolazione come quella raccontata all’inizio del Novecento da John Steinbek, ormai senza più miti americani, dall’altra richiama il mondo degli hippies anni ’60, una popolazione ormai anziana in cerca di natura e di pace. Alla continua ricerca di ciò che sta oltre l’orizzonte la nomade di Chloé Zhao attraversa vari Stati: Arizona, Nebraska, Nevada, California e South Dakota, tutti fotografati magistralmente da Joshua James Richards, il compagno della giornalista e scrittrice Jessica Bruder.
In un’intervista la regista Chloé Zhao ha raccontato di essere rimasta colpita da un brano del libro diEdward Abbey, Desert solitaire. Una stagione nella natura selvaggia: «Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono, intere civiltà scompaiono; la terra resta, solo leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia il cuore, dove non ci sono cuori da straziare... a volte penso, senz’altro in modo perverso, che l’uomo è un sogno, il pensiero un’illusione, e solo la roccia è reale».
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fabriziog
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mercoledì 5 maggio 2021
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film strepitoso on the road!
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Il cinema è tornato!
"Nomadland" (Premio Oscar 2021 come Miglior Film) diretto dalla cinese naturalizzata statunitense Chloé Zhao (Miglior Regia) è strepitoso!
La fotografia di Joshua James Richards è la vera trama, narrata lungo i solchi espressivi del volto intenso di una gigantesca Frances McDormand, Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista(vi ricordate il personaggio centrale di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"?): le rughe del suo viso raccontano una sofferenza tangibile, visiva, fisica, percepita dal pubblico, una sofferenza che permane anche quando un sorriso le compare sul volto e gli occhi brillano di una luce nuova.
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Il cinema è tornato!
"Nomadland" (Premio Oscar 2021 come Miglior Film) diretto dalla cinese naturalizzata statunitense Chloé Zhao (Miglior Regia) è strepitoso!
La fotografia di Joshua James Richards è la vera trama, narrata lungo i solchi espressivi del volto intenso di una gigantesca Frances McDormand, Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista(vi ricordate il personaggio centrale di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"?): le rughe del suo viso raccontano una sofferenza tangibile, visiva, fisica, percepita dal pubblico, una sofferenza che permane anche quando un sorriso le compare sul volto e gli occhi brillano di una luce nuova. È un film on the road, quasi schizofrenico, fra spostamenti dentro sconfinate cornici naturali e la stantia schiavitù del lavoro da Amazon. Una pellicola en plain air che si sviluppa nella tensione che ogni individuo prova nel cercare un abbraccio da una comunità, nello scansare una solitudine in cui troppi americani sono gettati.
Radici che non si dimenticano ma rimangono silenti, come malattie da nascondere, per poi riemergere prepotenti e sospingere Fern a tornare in una casa oramai vuota, disadorna, spoglia, senza più vita. E allora è tempo di andare come novella pioniera con il proprio van più in là, senza meta, salvo un lavoro da trovare, dentro spazi solo apparentemente geografici ma in realtà eterei come possono essere solo quelli dell'anima.
Ci vediamo lungo il viaggio
Fabrizio Giulimondi
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fabriziog
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mercoledì 5 maggio 2021
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film strepitoso on the road!
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Il cinema è tornato! "Nomadland" (Premio Oscar 2021 come Miglior Film) diretto dalla cinese naturalizzata statunitense Chloé Zhao (Miglior Regia) è strepitoso! La fotografia di Joshua James Richards è la vera trama, narrata lungo i solchi espressivi del volto intenso di una gigantesca Frances McDormand, Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista (vi ricordate il personaggio centrale di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"?): le rughe del suo viso raccontano una sofferenza tangibile, visiva, fisica, percepita dal pubblico, una sofferenza che permane anche quando un sorriso le compare sul volto e gli occhi brillano di una luce nuova. È un film on the road, quasi schizofrenico, fra spostamenti dentro sconfinate cornici naturali e la stantia schiavitù del lavoro da Amazon.
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Il cinema è tornato! "Nomadland" (Premio Oscar 2021 come Miglior Film) diretto dalla cinese naturalizzata statunitense Chloé Zhao (Miglior Regia) è strepitoso! La fotografia di Joshua James Richards è la vera trama, narrata lungo i solchi espressivi del volto intenso di una gigantesca Frances McDormand, Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista (vi ricordate il personaggio centrale di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"?): le rughe del suo viso raccontano una sofferenza tangibile, visiva, fisica, percepita dal pubblico, una sofferenza che permane anche quando un sorriso le compare sul volto e gli occhi brillano di una luce nuova. È un film on the road, quasi schizofrenico, fra spostamenti dentro sconfinate cornici naturali e la stantia schiavitù del lavoro da Amazon. Una pellicola en plain air che si sviluppa nella tensione che ogni individuo prova nel cercare un abbraccio da una comunità, nello scansare una solitudine in cui troppi americani sono gettati. Radici che non si dimenticano ma rimangono silenti, come malattie da nascondere, per poi riemergere prepotenti e sospingere Fern a tornare in una casa oramai vuota, disadorna, spoglia, senza più vita. E allora è tempo di andare come novella pioniera con il proprio van più in là, senza meta, salvo un lavoro da trovare, dentro spazi solo apparentemente geografici ma in realtà eterei come possono essere solo quelli dell'anima. Ci vediamo lungo il viaggio
Fabrizio Giulimondi
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fabrizio friuli
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mercoledì 5 maggio 2021
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una nomade chiamata fern
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Tutto ruota intorno ad una sessantenne americana che decide di attraversare gli Stati Uniti occidentali, avvalendosi del suo furgone/ dimora , dopo aver lasciato la città del Nevada chiamata Empire , avendo perso sia il lavoro sia il marito durante la crisi economica mondiale riconosciuta come Grande Recessione. Durante il suo percorso Fern ha modo di conoscere altre persone che , come lei , hanno deciso o sono state costrette a vivere come dei nomadi moderni , al di ruoli dei costumi sociali.
Una scena di questo film ricorda vagamente un' altra scena che appare in un film di Paolo Sorrentino intitolato Youth - la giovinezza di Paolo Sorrentino, ed è quella in cui l'attrice protagonista viene ripresa nel fiume senza indumenti, più o meno come viene ripresa Madalina Ghenea all'interno di una piscina , oppure, potrebbe trattarsi di una semplice impressione , un' altra scena degna di nota è quella dove si verifica un dialogo tra Fern ed un' altra residente della " comunità " che afferma di avere qualche mese di vita , ed anche di non voler fare ritorno all' ospedale e in un' altra scena mostra un altro dialogo tra lei e Bob , ed egli dice di aver perso suo figlio a trentatré anni a causa di un suicidio, per poi confessare che lui ha deciso di vivere come un nomade per il supporto morale dagli altri membri , in sostanza, Nomadland è provvisto di scene ben realizzate e dialoghi degni di nota , senza tralasciare igli attori che hanno dato il loro essere ai corrispettivi personaggi , tuttavia, il personaggio di Bob viene impersonato da un vandweller americano , famoso per essere diventato una fonte d' ispirazione per migliaia di persone che abbracciano uno stile di vita nomade ed anche minimalista basato sul vandwelling.
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Tutto ruota intorno ad una sessantenne americana che decide di attraversare gli Stati Uniti occidentali, avvalendosi del suo furgone/ dimora , dopo aver lasciato la città del Nevada chiamata Empire , avendo perso sia il lavoro sia il marito durante la crisi economica mondiale riconosciuta come Grande Recessione. Durante il suo percorso Fern ha modo di conoscere altre persone che , come lei , hanno deciso o sono state costrette a vivere come dei nomadi moderni , al di ruoli dei costumi sociali.
Una scena di questo film ricorda vagamente un' altra scena che appare in un film di Paolo Sorrentino intitolato Youth - la giovinezza di Paolo Sorrentino, ed è quella in cui l'attrice protagonista viene ripresa nel fiume senza indumenti, più o meno come viene ripresa Madalina Ghenea all'interno di una piscina , oppure, potrebbe trattarsi di una semplice impressione , un' altra scena degna di nota è quella dove si verifica un dialogo tra Fern ed un' altra residente della " comunità " che afferma di avere qualche mese di vita , ed anche di non voler fare ritorno all' ospedale e in un' altra scena mostra un altro dialogo tra lei e Bob , ed egli dice di aver perso suo figlio a trentatré anni a causa di un suicidio, per poi confessare che lui ha deciso di vivere come un nomade per il supporto morale dagli altri membri , in sostanza, Nomadland è provvisto di scene ben realizzate e dialoghi degni di nota , senza tralasciare igli attori che hanno dato il loro essere ai corrispettivi personaggi , tuttavia, il personaggio di Bob viene impersonato da un vandweller americano , famoso per essere diventato una fonte d' ispirazione per migliaia di persone che abbracciano uno stile di vita nomade ed anche minimalista basato sul vandwelling., ed un soggetto come Bob Wells è assolutamente idoneo per un film di questo tipo , esattamente come Frances Mcdormand si è rivelata una scelta idonea per questo lungometraggio che vanta una regia eccellente ed una sceneggiatura puramente professionale. Magari sarà munito di una lentezza "bradipale" ( come la Grande Bellezza ) , tuttavia, è giusto vedere Nomadland ed apprezzarlo , se si possiede la capacità di farlo , in caso contrario, Nomadland non è un film per tutti.
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miciu
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mercoledì 5 maggio 2021
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viva la banalità
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l'ho visto ieri ma l'ho trovato pesante e noioso nessuna novità banale
poi ben fatto ben recitato
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nexus
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lunedì 3 maggio 2021
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non è mai un vero addio
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La nazione dei grandi spazi e delle solitudini immense.
Persone che non hanno più una casa né un lavoro stabile.
Certezze spazzate via dalla crisi economica e dalla desertificazione industriale a seguito anche di fallimenti e/o processi aziendali di delocalizzazine delle produzioni.
Scheletri impolverati di capannoni ed aziende... insegne arrugginite.
Una soltitudine che può essere "curata" solamente dal viaggio... perenne, incessante, "senza sosta".
Per fuggire dalle proprie paure e dai propri fantasmi.
Quando Fern si ritrova ospite in casa dell'amico si percepisce che sta provando una solitudine più grande di quella che quotidianamente prova nel suo eterno peregrinare da un posto all'altro, da un impiego occasionale all'altro.
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La nazione dei grandi spazi e delle solitudini immense.
Persone che non hanno più una casa né un lavoro stabile.
Certezze spazzate via dalla crisi economica e dalla desertificazione industriale a seguito anche di fallimenti e/o processi aziendali di delocalizzazine delle produzioni.
Scheletri impolverati di capannoni ed aziende... insegne arrugginite.
Una soltitudine che può essere "curata" solamente dal viaggio... perenne, incessante, "senza sosta".
Per fuggire dalle proprie paure e dai propri fantasmi.
Quando Fern si ritrova ospite in casa dell'amico si percepisce che sta provando una solitudine più grande di quella che quotidianamente prova nel suo eterno peregrinare da un posto all'altro, da un impiego occasionale all'altro.
Meravigliosa l'osservazione del vecchio "guru" verso il termine del film: le persone alla fine le reincontri sempre... non è mai un vero addio.
Ritroveremo nel nostro viaggio anche le persone care che sono morte.
Un film molto bello che per certi versi mi ha ricordato un'altra meravigliosa pellicola: “Dersu Uzala” con cui il grande regista Akira Kurosawa vinse il premio Oscar.
Una vita itinerante trascorsa nella natura dal piccolo uomo delle grandi pianure: Dersu Uzala.
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francesca meneghetti
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domenica 2 maggio 2021
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'cause tramps like us, baby, we were born to run
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Molti dei capolavori del cinema (e della letteratura) traggono la loro forza dal nodo inestricabile tra grande storia e vicende personale che caratterizza le trame. Gli scenari storici appassionano chi ama la lettura sociologica dei film, e li legge come specchio di una certa epoca. Le storie individuali fanno presa su chi si apre emotivamente al racconto. E sono tanto più incisive quanto riescono ad essere universali, così che tutti possano riconoscersi. Nomadland si presta a entrambi le chiavi di lettura. Può essere visto come la denuncia del capitalismo americano, che spolpa le persone finché sono in grado di produrre, per poi rigettarle ai margini della società: un sistema ghiotto di profitto, incline ad alimentare bolle speculative come quella del 2008, che finisce per trasformare aziende, quartieri, città operose in relitti deserti, per non parlare delle persone, private di lavoro, dignità, tetto.
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Molti dei capolavori del cinema (e della letteratura) traggono la loro forza dal nodo inestricabile tra grande storia e vicende personale che caratterizza le trame. Gli scenari storici appassionano chi ama la lettura sociologica dei film, e li legge come specchio di una certa epoca. Le storie individuali fanno presa su chi si apre emotivamente al racconto. E sono tanto più incisive quanto riescono ad essere universali, così che tutti possano riconoscersi. Nomadland si presta a entrambi le chiavi di lettura. Può essere visto come la denuncia del capitalismo americano, che spolpa le persone finché sono in grado di produrre, per poi rigettarle ai margini della società: un sistema ghiotto di profitto, incline ad alimentare bolle speculative come quella del 2008, che finisce per trasformare aziende, quartieri, città operose in relitti deserti, per non parlare delle persone, private di lavoro, dignità, tetto. Ma può essere anche visto come storia di un lutto. Fern, impersonata da Francis McDormand (ormai diventata bandiera delle donne che combattono con le unghie e con i denti per battaglie fondamentali, estranee a obiettivi estetici), è una donna che in questo disastro ha perso il marito. E’ sola, senza figli. Il suo dolore e la scomparsa dell’azienda del marito, in cui anche lei lavorava, la portano a lasciare la casa e a decidere di guadagnarsi la vita qua e là, facendo del furgone la sua casa. Così lavora da Amazon sotto Natale, e passa le notti gelide del Nevada infagottata da giacche e coperte, poi si sposta a sud, fino a raggiungere una comunità di nomadi, illuminati da un santone molto umano e privo di fanatismi. Diventa insomma una vagabonda. Non è asociale. Anzi, è piuttosto gentile con il prossimo (costituito in questo caso da vagabondi come lei: ciascuno con la propria storia, ciascuno con il proprio dolore), ma ha paura di legarsi. Quando avverte un legame prendere corpo attorno a lei, fugge via, per ritrovare la sua libertà, per stare sola con i propri pensieri e i propri ricordi. La rincuora lo spettacolo della natura, specie quella più indomita, selvaggia, quasi inospitale. Non è una vita facile. Tutto ciò che caratterizza la vita quotidiana (bisogni fisiologici, malattie, rotture meccaniche) è amplificato. Insopportabile per molti. Ma molti altri si adattano e vi si adagiano, in cambio di una libertà quasi totale. Come contemplare un tramonto nel deserto. Al punto che un letto morbido al chiuso o un tinello borghese diventano insopportabili. Fern corre sul filo di lama: sospesa tra il bisogno di una spiritualità indipendente, non condivisa, e il piacere di condividere cibo, vino, gesti con altri esseri umani. Il finale è aperto. Ritornando nella casa coniugale, abbandonata, polverosa, sembra intenzionata a ripartire per un altro viaggio, forse meno drammatico, consapevole del fatto che per la strada si perdono persone care e se ne trovano altre. Francis McDormand è super, anche se rischia di restare imprigionata in ruoli come questo, che però portano alla luce le battaglie dure di donne che non si possono più dire fighette, anche se magari lo sono state. Intelligente e sensibile la regia. Funzionale la fotografia.
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