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domenica 16 maggio 2021
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commovente
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Ottima recensione. Brava. Perfettamente d’accordo. Grandi spazi,grande solitudine,grande solidarietà,grande coraggio,tenerezza e amore per la vita, per gli altri, per l’incontro. Commuove ed emoziona
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taty23
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mercoledì 12 maggio 2021
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nomadland –nella terra dei nomadi moderni
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Il film Nomadland segue la storia di Fern(Frances McDormand) nella Grande recessione.
La donna è una vedova sessantenne che è stata obbligata a lasciare la cittadina industriale di Empire, in Nevada, perché la fabbrica a cui faceva riferimento e in cui lavorava il marito, viene chiusa. Da quel momento, ormai senza una dimora fissa, gira per gli Stati Uniti vivendo alla giornata nel suo furgone che ormai chiama casa. Incontrerà varie persone sul suo cammino, che per necessità o per scelta hanno intrapreso lo stesso percorso.
“Non ci sono addii. Ci vediamo lungo la strada”
Nomadland – Approfondimenti
Il film Nomadland ha conquistato vari premi, tra cui tre premi Oscar come miglior film, miglior regia, miglior attrice e miglior film al Festival di Venezia dov’è stato presentato.
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Il film Nomadland segue la storia di Fern(Frances McDormand) nella Grande recessione.
La donna è una vedova sessantenne che è stata obbligata a lasciare la cittadina industriale di Empire, in Nevada, perché la fabbrica a cui faceva riferimento e in cui lavorava il marito, viene chiusa. Da quel momento, ormai senza una dimora fissa, gira per gli Stati Uniti vivendo alla giornata nel suo furgone che ormai chiama casa. Incontrerà varie persone sul suo cammino, che per necessità o per scelta hanno intrapreso lo stesso percorso.
“Non ci sono addii. Ci vediamo lungo la strada”
Nomadland – Approfondimenti
Il film Nomadland ha conquistato vari premi, tra cui tre premi Oscar come miglior film, miglior regia, miglior attrice e miglior film al Festival di Venezia dov’è stato presentato.
La pellicola è un adattamento del libro Nomadland - Un racconto d'inchiesta della giornalista Jessica Bruder.
La regista Chloe Zhao si inspira al libro in maniera molto personale, tra documentario e storia di finzione sviluppa la narrazione su due livelli.
Il primo livello segue la protagonista attraverso un’America in un contesto estremo, ai margini della società in un periodo molto difficile.
Lei che si considera più una nomade che una senza tetto, vive un’esistenza fatta di lavori saltuari, piazzole di camperisti, campeggi, luoghi di fortuna dove poter parcheggiare per passare la notte.
Il secondo segue il percorso interiore di Fern, con una rielaborazione del lutto e di perdita che la porta in un circolo vizioso, ancorata ad un passato che non riesce a lasciare andare, pieno di solitudine, ricordi, qualche rimpianto. L’incontro e la condivisione delle esperienze con gli altri “nomadi” la aiuteranno a ritrovare sé stessa.
La sceneggiatura e la fotografia sono essenziali, senza essere troppo ridondanti la maggior parte delle volte. La regista propende per una ricerca di un quadro insieme piuttosto che analizzare un determinato particolare, soprattutto per quanto riguarda la fotografia, con l’utilizzo di campi lunghi o totali e con pochi inserimenti di primi piani.
Frances McDordand si cala in un personaggio a lei congeniale, non lontano da molti altri che ha interpretato nella sua carriera, che riesce a trasmettere un disagio continuo che cerca di gestire.
In conclusione
Nomadland porta sullo schermo una storia interiore, intima, di riflessione, a tratti emozionale; un road movie non solo legato alla protagonista, ma fortemente connesso con le persone e le loro esperienze di vita.
Un film che potrebbe dividere il pubblico data la tematica trattata, visto che la regista poteva approfondire ed essere un po’ più incisiva nel raccontare un determinato periodo sociopolitico.
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[+] la scelta è solo del regista
(di alberto antonelli)
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luciano
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lunedì 10 maggio 2021
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unico limite il cielo
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#NomadLand. Spettacolare movie 'on the road'.Qui la strada fa parte integrante di quell'immaginario americano dove c'è sempre 'un oltre la frontiera' da raggiungere. Ma quest'oltre non è mai un punto d'arrivo ma solo un altro luogo da cui ripartire. Mentre la strada si srotola come un nastro di fronte a Fern,la protagonista senza casa ma non senzatetto,che macina km con il suo van malconcio,un altro nastro si riavvolge attraverso una ricerca che supera la prospettiva di una vita costruita solo per stratificazione di ricordi ma,con la sottrazione di tutto ciò che è superfluo,le lascia la benedizione di una vita ridotta all'essenziale.
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#NomadLand. Spettacolare movie 'on the road'.Qui la strada fa parte integrante di quell'immaginario americano dove c'è sempre 'un oltre la frontiera' da raggiungere. Ma quest'oltre non è mai un punto d'arrivo ma solo un altro luogo da cui ripartire. Mentre la strada si srotola come un nastro di fronte a Fern,la protagonista senza casa ma non senzatetto,che macina km con il suo van malconcio,un altro nastro si riavvolge attraverso una ricerca che supera la prospettiva di una vita costruita solo per stratificazione di ricordi ma,con la sottrazione di tutto ciò che è superfluo,le lascia la benedizione di una vita ridotta all'essenziale. Echi di ricordi di affetti ritrovati affiorano lungo la strada come pietre pazienti che diventano sabbia di una miniera dimenticata se le strofini una contro l'altra. Un cuore nomade incontra un'anima scartavetrata dai sentimenti, dai ricordi e dalle emozioni.Chi fa un tratto di strada assieme a Fern impara a non andare mai oltre la rassegnazione e a vivere la giornata come orizzonte minimo indispensabile. Fern non vuole più cercare niente, non intende neppure immaginare un’altra vita che non sia quella del viaggio in solitario dove "l'unico limite è il cielo".
Sulla strada di Fern disillusione e speranza non s'incontrano mai. La riappropriazione dei grandi spazi americani della frontiera dell'ovest fa da sfondo al tentativo più intimista del recupero di un'identità che oltrepassa i confini angusti di un sogno americano diventato improvvisamente troppo piccolo.
(una magistrale e commovente Frances McDormand assolutamente da vedere)
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paperinik
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domenica 9 maggio 2021
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compitino senza infamia e senza lode
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Davvero nulla da segnalare. Forse la cosa più apprezzabile è la colonna sonora. Per carità: i film brutti sono altri. Ma solo in un anno in cui basta fare un film per essere candidato all'oscar una pellicola del genere meriterebbe una mezza candidatura. Il fatto che abbia vinto, anche al netto del desolante precedente di Shakespeare in love, lascia davvero perplessi. Certo: per quanto ci hanno speso in attori e macchinari è un affare commerciale notevole, a prescindere dal pubblico.
Se si vuole competere con le serie tv occorre far molto, molto, molto meglio.
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jaylee
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domenica 9 maggio 2021
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il sogno americano, 50 anni dopo
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Il vincitore dell'Oscar 2021, scritto e diretto da una regista cinese (Chloe Zhao), simbolo di una Hollywood che bene o male si rinnova e si apre al mondo esterno: seconda donna a vincere la statuetta, prima donna asiatica. Non come il coreano Parasite di Bong Joon-Ho del 2019, Nomadland, però è girato in USA (in ben 7 stati) con attori americani, in cima a tutti la magnifica Frances McDormand.
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Il vincitore dell'Oscar 2021, scritto e diretto da una regista cinese (Chloe Zhao), simbolo di una Hollywood che bene o male si rinnova e si apre al mondo esterno: seconda donna a vincere la statuetta, prima donna asiatica. Non come il coreano Parasite di Bong Joon-Ho del 2019, Nomadland, però è girato in USA (in ben 7 stati) con attori americani, in cima a tutti la magnifica Frances McDormand. Anzi, a dire la verità, la McDormand, insieme a David Strathairn, è l'unica professionista, essendo gli altri che appaiono nel film vera gente di strada (con il loro vero nome), in stile quasi neo-realista alla Rossellini.
Sì, perchè come il titolo suggerisce, il film fa riferimento ad una vera e propria comunità di nomadi, un insieme di persone che vivono in un camper o in un furgone, e che si incrociano lungo le tante strade degli Stati Uniti, qualcuno per scelta (reminiscenza della cultura hippie), qualcuno come viaggio della vita, qualcuno perchè costretto da un'economia ormai disumana (siamo nel post-disatro economico tra il 2011-13) a spostarsi continuamente in cerca di lavori stagionali.
In questa cornice si muove Fern, ultrasessantenne rimasta vedova e senza una casa dopo che ha perso il marito e la compagnia mineraria che dava loro alloggio e impiego, chiude i battenti. Così, inizia a viaggiare sul suo van scassato, in giro per vari Amazon, Parchi naturali, raccolte di barbabietole e ortaggi vari, chiunque le dia da vivere. Fern ci vive sul quel van, ci mangia, ci dorme; si incrocia e scambia idee con altre persone, spesso a più riprese come con la sua amica Linda May (ultrasettantenne nella sua condizione) e altri come lei; e si sposta sulle strade e paesaggi di Stati Uniti (dall'Arizona al Nebraska, dal Michigan al Nevada) che sembrano lunari, così come ci appaiono aliene le condizioni di questi esseri umani in un Paese così ricco, peraltro non immigrati, ma bianchi e anche di buona educazione.
Quasi neo-realista come approccio, dicevamo, quello scelto dalla Zhao. Film fatto tutto di dialoghi e paesaggi a volte meravigliosi a volte terribili, e di musiche sempre sospese, non per ultimo il nostro Ludovico Einaudi. E ovviamente molto basato sulla performance della protagonista, presente in ogni scena del film (letteralmente): peraltro, la McDormand, in pieno metodo Strasberg, ha vissuto per mesi sul furgone, provando l'esperienza e soprattuto la spossatezza continua e di restrizioni di chi vive in quelle condizioni, incluso una scena (ripresa nella realtà) dove deve defecare in un secchio (sic... per decisione della stessa McDormand) .
Per tanti versi Nomadland, con la sua apparente destrutturazione e le musiche pervadenti, ricorda un altro film "On The Road" made in USA, ovvero Easy Rider del 1969, che però ne sembra l'antitesi: di là, una quel'inquietudine imperfetta interrotta bruscamente, ma carica di promesse che erano gli Stati Uniti di 50 anni fa, adesso una mera sensazione di sentirsi fuori posto ovunque, ciclica e infinita, ogni anno che si sussegue rispetto al precedente. Non più l'energia selvaggia e la spudorata bellezza dei tuoi vent'anni (rappresentata dalla moto e dai capelli al vento), ma con la stanchezza inquieta dei tuoi 60, dentro un furgone scassato, sempre con il timore che qualcuno ti bussi sullo sportello per mandarti via; con in comune tra i due il conforto dei tuoi simili, ma senza mai sentire appartenenza e "radici", solo un temporaneo sollievo prima del prossimo tratto di strada.
In definitiva, il film ci è piaciuto, anche se ci è sembrato vincere l'Oscar più per opportunità politica (ormai è una regola) che per meriti effettivi: un buon film, non un capolavoro, di sicuro non un film che rivedremmo una seconda volta, se non per la strepitosa performance della protagonista. Un po' Carver, un po' Kerouac, ma senza la stessa scintilla. (www.versionekowalski.it)
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writer58
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domenica 9 maggio 2021
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questa terra è la mia terra
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"Nomadland" è una proposta che coniuga un approccio sobrio, quasi da documentario, con un afflato poetico che illumina i paesaggi e i gesti quotidiani. Giocato sul contrasto tra radici, identità stanziale e ricerca di nuovi orizzonti, tra meccanismi espulsivi e strategie di sopravvivenza, appare come un'opera bella e coinvolgente, premiata per i suoi meriti intrinseci.
La vicenda narrata è semplice nella sua essenzialità: Fern, donna che si avvicina ai 60 anni, ha perso nel giro di breve tempo, il lavoro a causa della crisi economica del 2008 e il marito, stroncato da una malattia.
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"Nomadland" è una proposta che coniuga un approccio sobrio, quasi da documentario, con un afflato poetico che illumina i paesaggi e i gesti quotidiani. Giocato sul contrasto tra radici, identità stanziale e ricerca di nuovi orizzonti, tra meccanismi espulsivi e strategie di sopravvivenza, appare come un'opera bella e coinvolgente, premiata per i suoi meriti intrinseci.
La vicenda narrata è semplice nella sua essenzialità: Fern, donna che si avvicina ai 60 anni, ha perso nel giro di breve tempo, il lavoro a causa della crisi economica del 2008 e il marito, stroncato da una malattia. Trasforma il suo furgone in una casa su ruote e si mette a viaggiare per gli stati del midwest alla ricerca di un suo spazio di libertà fatto di aree di sosta, lavori precari e rapporti umani con un insieme di nomadi che condividono con lei spostamenti e filosofia di vita.
Le tappe del viaggio toccano il black rock desert in Nevada, il Badlands National Park, nel sud Dakota. i campi del Nebraska, le coste del nord della California, l'Arizona, luoghi che ci parlano di un'altra America, percorsa da persone che sono sono collocate ai margini del sistema di produzione e consumo proprio delle società avanzate. Nel suo girovagare, Fern svolge molteplici attività: dagli incarichi a tempo presso Amazon, alla pulizia delle aree di parcheggio per i camper, alla raccolta delle barbabietole. Ritrova spesso nei suoi spostamenti alcune persone con cui si stabiliscono vincoli di solidarietà e di appoggio reciproco. Dave, Linda May, Swankie, Cat, Emily, personaggi spesso interpretati da "veri" nomadi che rappresentano la loro condizione.
Colpisce il senso di comunità e di vicinanza che queste persone, apparentemente marginali, esprimono, come se fossero la riedizione degli antichi pionieri in una terra che ha smarrito il suo desiderio orginale di esplorazione e conoscenza, di rapporto con luoghi incantevoli e maestosi, dagli orizzonti sconfinati.
La regista Cloé Zhao, cinese maturata professionalmente negli Stati Uniti, dimostra un'eccellente maturità artistica, confezionando un'opera che ha il respiro di un'elegia, insieme sobria e intensa. La performance della McDormand è notevole, come pure quella dell'intero cast, composto in buona parte da attori non professionisti. La recitazione è sempre misurata, per nulla enfatica: a volte pare di trovarsi davanti a un documentario sui nuovi nomadi.
Fedele al principio "show, don't tell", il film si dipana tra paesaggi splendidi, incombenze quotidiane, aggregazioni mosse dalla vicinanza e da percorsi comuni, rivolte individuali ai meccanismi di emarginazione e di esclusione, ricerca di senso e di nuovi significati nel terzo tempo della vita.
Un'opera che scorre e fluisce come un veicolo che percorre una strada in mezzo a un territorio senza confini.
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luca scialo
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sabato 8 maggio 2021
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l'altra america
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La regista cinese Chloé Zhao, al suo terzo lungometraggio, traspone l'omonimo libro della giornalista Jessica Bruder Nomadland - Un racconto d'inchiesta, pubblicato nel 2017. La scelta della Zhao è però quella di svuotare la storia del taglio politico che c'è sul libro, cercando invece una matrice più ottimistica. La protagonista Fern, interpretata da una sempre straordinaria Frances McDormand, si adatta con straordinaria resilienza agli eventi negativi che la vita continua a riservarle. Dalla perdita del marito a quella del lavoro, e, di conseguenza della casa. Dato che viveva ad Empire, un quartiere dotato di tutto, ideato per i dipendenti della fabbrica per cui lavorava, che ha chiuso nel 2011.
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La regista cinese Chloé Zhao, al suo terzo lungometraggio, traspone l'omonimo libro della giornalista Jessica Bruder Nomadland - Un racconto d'inchiesta, pubblicato nel 2017. La scelta della Zhao è però quella di svuotare la storia del taglio politico che c'è sul libro, cercando invece una matrice più ottimistica. La protagonista Fern, interpretata da una sempre straordinaria Frances McDormand, si adatta con straordinaria resilienza agli eventi negativi che la vita continua a riservarle. Dalla perdita del marito a quella del lavoro, e, di conseguenza della casa. Dato che viveva ad Empire, un quartiere dotato di tutto, ideato per i dipendenti della fabbrica per cui lavorava, che ha chiuso nel 2011. Fern diventa così una homeless, più che una senza tetto, dato che vive in un camper. Conosce così un autentico Guru in materia, e si aggrega di tanto in tanto ad altri "nomadi del 2000" come lei. Vincitore di un Leone d'oro a Venezia e di 3 Oscar, si presenta a tratti come un documentario, quando alcuni homeless reali vengono intervistati. Bella la fotografia degli sterminati paesaggi americani, lontani dai grattacieli che hanno preso, purtroppo, il loro posto nel rappresentare il Paese. Alla distanza, però, sembra qualcosa di già visto. Uno dei soliti film sull'altra faccia dell'America. Quella che incarna i guasti del sistema capitalista americana. Paradossalmente, a criticare tale sistema è proprio una cinese.
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dereoel
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sabato 8 maggio 2021
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nomadland, un on the road poco ampio.
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Ho appena finito di vedere il pluripremiato titolo di Chloé Zaho, Nomadland e sono rimasto piacevolmente colpito dal film ma anche un po' dubbioso su alcuni aspetti.
il film è fatto bene, la Mcdornand è strepitosa e mette a segno un'altra prestazione spaziale dopo quella di Mildred Heyes in " Tre manifesti ad Ebbing, Missouri " . La regia della Zaho è impeccabile, anche se forse i continui e minuscoli stacchi di camera ad un certo punto mi sono risultati un po' indigesti, così come ho trovato poca profondità a discapito di paesaggi che avrebbero meritato più coinvolgimento. Forse il problema che questo film mi ha dato è stato proprio questo: in un on the road mi aspetto di godermi ciò che il viaggio mi offre, di immergermi negli spazi che mi circondano ed ammirare dei paesaggi che come quelli statunitensi off town, meritano di essere visti.
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Ho appena finito di vedere il pluripremiato titolo di Chloé Zaho, Nomadland e sono rimasto piacevolmente colpito dal film ma anche un po' dubbioso su alcuni aspetti.
il film è fatto bene, la Mcdornand è strepitosa e mette a segno un'altra prestazione spaziale dopo quella di Mildred Heyes in " Tre manifesti ad Ebbing, Missouri " . La regia della Zaho è impeccabile, anche se forse i continui e minuscoli stacchi di camera ad un certo punto mi sono risultati un po' indigesti, così come ho trovato poca profondità a discapito di paesaggi che avrebbero meritato più coinvolgimento. Forse il problema che questo film mi ha dato è stato proprio questo: in un on the road mi aspetto di godermi ciò che il viaggio mi offre, di immergermi negli spazi che mi circondano ed ammirare dei paesaggi che come quelli statunitensi off town, meritano di essere visti. Qui la Zaho invece ci fa concentrare su tantissimi primi piani, spesso in spazi piccoli come roulotte o il van in cui Fern ( Frances Mcdormand ) vive e gira per il paese. Per il resto il film è veramente gradevole, oltre che coinvolgente. Ci racconta in maniera precisa e corretta il disagio di una donna che nell'era del capitalismo più sfrenato si ritrova a fare i conti con il precariato e la crisi economica, dopo aver perso il lavoro ed il marito e senza più riuscire ad adattarsi a quella società che l'ha calpestata e lasciata per terra. Da questo punto di vista la Zaho è bravissima a raccontarci una storia che è una storia comune, come tante altre, fotografando la contemporaneità in maniera disarmante. Forse la colonna sonora non aiuta ad immergerci perfettamente, molto minimale e poco variegata, distante dall'atmosfera che un on the road negli Stati Uniti può darci.
Per il resto credo che sia un film che valga la pena di essere visto e che tutto sommato si sia meritato i numerosi premi ricevuti .
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writer58
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sabato 8 maggio 2021
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born in usa...
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Dopo 14 mesi di assenza dalle sale e una moltitudine di film visti su Netflix e in streaming, ho varcato con qualche emozione la soglia di un cinema. Contento di aver scelto per questo nuovo inizio "Nomadland", mi è parso che una pellicola su un'esistenza girovaga e liberata dalle consuetudini abituali fosse un buon contrappasso per il periodo di restrizioni e limitazioni imposte dalla pandemia.
La vicenda narrata è semplice nella sua essenzialità: Fern, donna che si avvicina ai 60 anni, ha perso nel giro di breve tempo, il lavoro a causa della crisi economica del 2008 e il marito, stroncato da una malattia. Trasforma il suo furgone in una casa su ruote e si mette a viaggiare per gli stati del midwest alla ricerca di un suo spazio di libertà fatto di aree di sosta, lavori precari e rapporti umani con un insieme di nomadi che condividono con lei spostamenti e filosofia di vita.
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Dopo 14 mesi di assenza dalle sale e una moltitudine di film visti su Netflix e in streaming, ho varcato con qualche emozione la soglia di un cinema. Contento di aver scelto per questo nuovo inizio "Nomadland", mi è parso che una pellicola su un'esistenza girovaga e liberata dalle consuetudini abituali fosse un buon contrappasso per il periodo di restrizioni e limitazioni imposte dalla pandemia.
La vicenda narrata è semplice nella sua essenzialità: Fern, donna che si avvicina ai 60 anni, ha perso nel giro di breve tempo, il lavoro a causa della crisi economica del 2008 e il marito, stroncato da una malattia. Trasforma il suo furgone in una casa su ruote e si mette a viaggiare per gli stati del midwest alla ricerca di un suo spazio di libertà fatto di aree di sosta, lavori precari e rapporti umani con un insieme di nomadi che condividono con lei spostamenti e filosofia di vita.
Le tappe del viaggio toccano il black rock desert in Nevada, il Badlands National Park, nel sud Dakota. i campi del Nebraska, le coste del nord della California, l'Arizona, luoghi che ci parlano di un'altra America, percorsa da persone che sono sono collocate ai margini del sistema di produzione e consumo proprio delle società avanzate. Nel suo girovagare, Fern svolge molteplici attività: dagli incarichi a tempo presso Amazon, alla pulizia delle aree di parcheggio per i camper, alla raccolta delle barbabietole. Ritrova spesso nei suoi spostamenti alcune persone con cui si stabiliscono vincoli di solidarietà e di appoggio reciproco. Dave, Linda May, Swankie, Cat, Emily, personaggi spesso interpretati da "veri" nomadi che rappresentano la loro condizione.
Colpisce il senso di comunità e di vicinanza che queste persone, apparentemente marginali, esprimono, come se fossero la riedizione degli antichi pionieri in una terra che ha smarrito il suo desiderio orginale di esplorazione e conoscenza, di rapporto con luoghi incantevoli e maestosi, dagli orizzonti sconfinati.
La regista Cloé Zhao, cinese maturata professionalmente negli Stati Uniti, dimostra un'eccellente maturità artistica, confezionando un'opera che ha il respiro di un'elegia, insieme sobria e intensa. La performance della McDormand è notevole, come pure quella dell'intero cast, composto in buona parte da attori non professionisti. La recitazione è sempre misurata, per nulla enfatica: a volte pare di trovarsi davanti a un documentario sui nuovi nomadi.
Fedele al principio "show, don't tell", il film si dipana tra paesaggi splendidi, incombenze quotidiane, aggregazioni mosse dalla vicinanza e da percorsi comuni, rivolte individuali ai meccanismi di emarginazione e di esclusione, ricerca di senso e di nuovi significati nel terzo tempo della vita.
Un'opera che scorre e fluisce come un veicolo che percorre una strada in mezzo a un territorio senza confini.
W.
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cardclau
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venerdì 7 maggio 2021
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libertà e condivisione dopo che hai tutto perduto
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese.
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Questo film di Chloé Zhao è il benvenuto perché ben condotto, con un’attrice protagonista in un ruolo molto difficile, dagli elementi di pensiero piuttosto articolati, clamorosamente privo di effetti speciali, in un cinema (americano) dove negli ultimi anni, spesso, questi tendono a sostituirsi all’impoverimento delle idee. La prima protagonista è la natura, bellissima, sorprendente, di un immensamente grande. Apparentemente imperturbabile accoglie sempre anche l’antropizzazione di un capitalismo all’ultimo stadio, dove la dimensione della povertà, del lavoro precario, delle risicate risorse sociali, delle ferite irrisolte delle generazioni portate alle guerre, fanno meglio comprendere la Rivoluzione Francese. In questa atmosfera dove sogno e incubo si mescolano in modo solo in apparenza surreale, si inserisce la storia di Fern. Lei ha lavorato molti anni con l’amato marito Bo all’Empire, entrambi con dedizione, una industria di carton gesso del Nevada. Poi il marito muore di cancro, da lei assistito fino alla fine. Non hanno avuto figli. L’Empire chiude per sempre nel’88. Fern ha perso tutto, tutto troppo presto. Comincia una vita randagia fatta di un camioncino, di continui spostamenti, di lavori saltuari, di relazioni con altri simili a lei. Riguadagna, aiutata in questo dalla natura, una dimensione di libertà. Ma forse non c’è più spazio per la condivisione, forse c’è il timore di legarsi per poi tutto perdere, ancora. L’apparente componente anaffettiva di Fern suggerisce solo un grande dolore. «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria …
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