dandy
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mercoledì 3 luglio 2024
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figli dei fiori,o fiori dei figli.
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Horror sui generis che guarda alla fantascienza anni'50 per la paranoia e l'isolamento progressivo della protagonista man mano che chi la circonda "cambia" e oltre che sul classico tema dei limiti della scienza riflette sull'incapacità di rapportarsi e la ricerca impossibile della gioia.I protagonisti sono già "vuoti" prima del cambiamento che paradossalmente si limita ad amplificarne l'esile facciata ed evidenziarne i difetti.La regista fa del tutto a meno di effetti speciali o scene forti optando per un'ambientazione claustrofobica e minimalista(quasi completamente in interni)una fotografia color pastello e musiche essenziali dalle sonorità nipponiche.
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Horror sui generis che guarda alla fantascienza anni'50 per la paranoia e l'isolamento progressivo della protagonista man mano che chi la circonda "cambia" e oltre che sul classico tema dei limiti della scienza riflette sull'incapacità di rapportarsi e la ricerca impossibile della gioia.I protagonisti sono già "vuoti" prima del cambiamento che paradossalmente si limita ad amplificarne l'esile facciata ed evidenziarne i difetti.La regista fa del tutto a meno di effetti speciali o scene forti optando per un'ambientazione claustrofobica e minimalista(quasi completamente in interni)una fotografia color pastello e musiche essenziali dalle sonorità nipponiche.Il senso di straniamento accentuato dalla prova volutamente monocorde degli attori è innegabile,l'idea ha il suo fascino e il finale pessimista in questi casi è sempre apprezzabile ma i punti di forza risultano anche debolezze:lroppa staticità e nessuna tensione nè senso di paura o inquietudine,un pò come se il fiore avesse effetto sullo spettatore stesso.Apprezzabile più come tentativo in parte riuscito di parlare di cose arcinote tentando strade inedite e coraggiosamente alla larga da commercialità facili.
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luca scialo
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mercoledì 28 giugno 2023
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una pianta che migliora l'umore delle persone
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Alice, separata dal marito e con un figlio adolescente, è completamente assorbita dal suo lavoro in un laboratorio botanico, da mancare tutto il giorno a casa e da far mangiare a quest'ultimo quasi sempre cibo da asporto. E' particolarmente presa dalla creazione di una nuova pianta, che ha chiamato come suo figlio: Little Joe. Della quale ben presto se ne scoprirà un particolare potere: quello di migliorare il carattere delle persone. Di qui un conflitto con l'etica. Un film che ti culla, che ti accompagna lentamente verso il finale, che si svela gradualmente, con colori accesi e contrastanti, importanti affinché l'attenzione non cali. Le caratteristiche sono in linea col tema delle piante, della pazienza che ci vuole con loro.
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Alice, separata dal marito e con un figlio adolescente, è completamente assorbita dal suo lavoro in un laboratorio botanico, da mancare tutto il giorno a casa e da far mangiare a quest'ultimo quasi sempre cibo da asporto. E' particolarmente presa dalla creazione di una nuova pianta, che ha chiamato come suo figlio: Little Joe. Della quale ben presto se ne scoprirà un particolare potere: quello di migliorare il carattere delle persone. Di qui un conflitto con l'etica. Un film che ti culla, che ti accompagna lentamente verso il finale, che si svela gradualmente, con colori accesi e contrastanti, importanti affinché l'attenzione non cali. Le caratteristiche sono in linea col tema delle piante, della pazienza che ci vuole con loro. Per un lungometraggio che riflette la paura contemporanea per la disumanizzazione e la fine dei sentimenti umani. Un film alla Yorgos Lanthimos, se si pensa a pellicole come The Lobster o a Il sacrificio del cervo sacro.
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dreamers
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venerdì 16 settembre 2022
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profumo di genio
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Tempi duri per il cinema d'autore! Capita che all'antica difficoltà di raggiungere il pubblico più vasto si aggiunga anche la serie di inciampi creati da piattaforme dove una segnaletica dissennata può far sì che un vero gioiello come Little Joe rischi di non arrivare nemmeno a quella platea cinefila più ristretta magari capace (per pazienza, non certo per altre doti speciali...) di riconoscerne l'eccezionalità. Su Netflix, per non fare nomi, Little Joe è annunciato come "fantascienza" - "horror". Classificazione del tutto idiota che non può che contribuire a produrre reazioni come quelle che qui è dato leggere.
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Tempi duri per il cinema d'autore! Capita che all'antica difficoltà di raggiungere il pubblico più vasto si aggiunga anche la serie di inciampi creati da piattaforme dove una segnaletica dissennata può far sì che un vero gioiello come Little Joe rischi di non arrivare nemmeno a quella platea cinefila più ristretta magari capace (per pazienza, non certo per altre doti speciali...) di riconoscerne l'eccezionalità. Su Netflix, per non fare nomi, Little Joe è annunciato come "fantascienza" - "horror". Classificazione del tutto idiota che non può che contribuire a produrre reazioni come quelle che qui è dato leggere. Il film non è affatto fantascientifico e tanto meno horror. Rispetto ai generi gioca piuttosto a posarsi, risalire, svolazzare proprio come il profumo protagonista del film. E il risultato, per chi ne sa cogliere la finezza, è di effettiva, pura felicità spettatoriale. Vero tema di Little Joe è la nostra ineffabile fragilità mascherata da sequenze numeriche, improbabili messe in piega, sedute psicanalitiche, week end in campagna e take away... Una fragilità tragica quanto comica, una fragilità che si lascia intravedere proprio quando impollina i nostri rappporti più stretti, primo fra tutti quello tra genitore e figlio. Più facile dare alla luce un fiore mai visto, unico al mondo, che una creatura sulla quale non riversare ansie, frustrazioni, ataviche paure... Già, perché il vero dilemma non è se un fiore concepito in laboratorio possa davvero renderci felice o piuttosto attacare il nostro equilibrio mentale. La vera questione è che cosa sia la felicità e se l'equilibrio ne sia l'effettivo custode. Un film che dunque volteggia tra humor, arte e filosofia, ben distante da tutti i titoli che alcuni spettatori si sono qui premurati di riesumare quali consumati modelli di riferimento. Non c'entrano nulla. Qui il mistero non è un prodotto di laboratorio ma l'essere umano. Little Joe è davvero tra i titoli più originali che il cinema degli ultimi vent'anni ci abbia regalato, non confondiamoci! E grazie a Roberto Manassero per averci aiutati nell'individuarne il profumo.
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venerdì 16 settembre 2022
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profumo di genio
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Tempi duri per il cinema d'autore! Capita che all'antica difficoltà di raggiungere il pubblico più vasto si aggiunga anche la serie di inciampi creati da piattaforme dove una segnaletica dissennata può far sì che un vero gioiello come Little Joe rischi di non arrivare nemmeno a quella platea cinefila più ristretta magari capace (per pazienza, non certo per altre doti speciali...) di riconoscerne l'eccezionalità. Su Netflix, per non fare nomi, Little Joe è annunciato come "fantascienza" - "horror". Classificazione del tutto idiota che non può che contribuire a produrre reazioni come quelle che qui è dato leggere.
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Tempi duri per il cinema d'autore! Capita che all'antica difficoltà di raggiungere il pubblico più vasto si aggiunga anche la serie di inciampi creati da piattaforme dove una segnaletica dissennata può far sì che un vero gioiello come Little Joe rischi di non arrivare nemmeno a quella platea cinefila più ristretta magari capace (per pazienza, non certo per altre doti speciali...) di riconoscerne l'eccezionalità. Su Netflix, per non fare nomi, Little Joe è annunciato come "fantascienza" - "horror". Classificazione del tutto idiota che non può che contribuire a produrre reazioni come quelle che qui è dato leggere. Il film non è affatto fantascientifico e tanto meno horror. Rispetto ai generi gioca piuttosto a posarsi, risalire, svolazzare proprio come il profumo protagonista del film. E il risultato, per chi ne sa cogliere la finezza, è di effettiva, pura felicità spettatoriale. Vero tema di Little Joe è la nostra ineffabile fragilità mascherata da sequenze numeriche, improbabili messe in piega, sedute psicanalitiche, week end in campagna e take away... Una fragilità tragica quanto comica, una fragilità che si lascia intravedere proprio quando impollina i nostri rappporti più stretti, primo fra tutti quello tra genitore e figlio. Più facile dare alla luce un fiore mai visto, unico al mondo, che una creatura sulla quale non riversare ansie, frustrazioni, ataviche paure... Già, perché il vero dilemma non è se un fiore concepito in laboratorio possa davvero renderci felice o piuttosto attacare il nostro equilibrio mentale. La vera questione è che cosa sia la felicità e se l'equilibrio ne sia l'effettivo custode. Un film che dunque volteggia tra humor, arte e filosofia, ben distante da tutti i titoli che alcuni spettatori si sono qui premurati di riesumare quali consumati modelli di riferimento. Non c'entrano nulla. Qui il mistero non è un prodotto di laboratorio ma l'essere umano. Little Joe è davvero tra i titoli più originali che il cinema degli ultimi vent'anni ci abbia regalato, non confondiamoci! E grazie a Roberto Manassero per averci aiutati nell'individuarne il profumo.
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il cinefilo
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mercoledì 18 agosto 2021
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in tono minore?
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non direi, questo film vale almeno dieci volte quella porcata con Nicole Kidman la quale, per inciso, con quel film si è riconfermata un attrice assolutamente sopravvalutata.
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alessandro de felice
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sabato 10 luglio 2021
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fantascienza 2.0
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Un piccolo cult! Come piccoli erano i film da cui trae,probabilmente,ispirazione. Da " l' invasione degli ultracorpi " a "la piccola bottega degli orrori " questo film si colloca in mezzo ai due, anche se del secondo prende solo lo spunto della pianta come invasore della Terra, mentre dal primo prende sicuramente molto di più..dall' ambientazione fredda e distaccata all' idea della sostituzione degli esseri umani. Qui in effetti nessuno viene sostituito ma solo "modificato" in maniera,però, irreversibile e dannatamente pericolosa...anche se tutti son convinti di fare, dopo l'esposizione alla pianta, la cosa giusta al momento giusto.
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Un piccolo cult! Come piccoli erano i film da cui trae,probabilmente,ispirazione. Da " l' invasione degli ultracorpi " a "la piccola bottega degli orrori " questo film si colloca in mezzo ai due, anche se del secondo prende solo lo spunto della pianta come invasore della Terra, mentre dal primo prende sicuramente molto di più..dall' ambientazione fredda e distaccata all' idea della sostituzione degli esseri umani. Qui in effetti nessuno viene sostituito ma solo "modificato" in maniera,però, irreversibile e dannatamente pericolosa...anche se tutti son convinti di fare, dopo l'esposizione alla pianta, la cosa giusta al momento giusto.
In definitiva..come costruire un film con pochissimi elementi ( il film è disturbante proprio per la sua asetticità) e con una trama semplicissima ma agghiacciante. Il vedere morire le speranze dell'umanità in una serra di fiori mette i brividi.
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tiziana stanzani
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sabato 12 giugno 2021
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little joe - l'idea è stata rubata
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Un buon film, niente da dire. E un'altra cosa va detta: gli Autori avrebbero dovuto porgere, nei titoli di testa, un ringraziamento e un omaggio al genio di Gene Roddenberry, ideatore della saga di Star Trek. Infatti, l'episodio 24 della prima stagione, uscito nel 1967 ("Al di qua del Paradiso"), tratta di una pianta trovata sul pianeta Omicron Ceti III: il suo polline, spruzzato dalla pianta in faccia alla "vittima" e quindi inalato, provoca la felicità e la fine di ogni preoccupazione.
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tiziana stanzani
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little joe - l'idea è stata rubata
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Un buon film, niente da dire. E un'altra cosa va detta: gli Autori avrebbero dovuto porgere, nei titoli di testa, un ringraziamento e un omaggio al genio di Gene Roddenberry, ideatore della saga di Star Trek. Infatti, l'episodio 24 della prima stagione, uscito nel 1967 ("Al di qua del Paradiso"), tratta di una pianta trovata sul pianeta Omicron Ceti III: il suo polline, spruzzato dalla pianta in faccia alla "vittima" e quindi inalato, provoca la felicità e la fine di ogni preoccupazione.
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carloalberto
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sabato 2 gennaio 2021
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versione in tono minore di invasion
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Little Joe di Jessica Hausner è quasi un sequel del “L'invasione degli ultracorpi” di Don Siegel ed “Invasion” di Hirschbiegel con Nicole Kidman, quest’ultimo già considerato un remake del primo. La differenza con gli illustri precedenti sta nell’origine non aliena del virus, che infetta le menti degli esseri umani rendendoli felici e robotizzati.
Visto l’uso che la maggioranza degli uomini e delle donne fa del proprio cervello, la diffusione pandemica di un tale virus dovrebbe essere non soltanto auspicabile ma accolta entusiasticamente come una manna dal cielo, perché almeno così si eliminerebbero conflitti e guerre e si vivrebbe serenamente nella universale adorazione del feticcio, in questo caso un magnifico fiore rosso dai poteri straordinari.
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Little Joe di Jessica Hausner è quasi un sequel del “L'invasione degli ultracorpi” di Don Siegel ed “Invasion” di Hirschbiegel con Nicole Kidman, quest’ultimo già considerato un remake del primo. La differenza con gli illustri precedenti sta nell’origine non aliena del virus, che infetta le menti degli esseri umani rendendoli felici e robotizzati.
Visto l’uso che la maggioranza degli uomini e delle donne fa del proprio cervello, la diffusione pandemica di un tale virus dovrebbe essere non soltanto auspicabile ma accolta entusiasticamente come una manna dal cielo, perché almeno così si eliminerebbero conflitti e guerre e si vivrebbe serenamente nella universale adorazione del feticcio, in questo caso un magnifico fiore rosso dai poteri straordinari.
Il film è girato in pochi ambienti e sempre al chiuso, nella casa della protagonista, nello studio della psicoterapeuta che la ha in cura, nella serra dove si sperimentano nuove specie di piante e negli uffici e nei laboratori dell’azienda. La sensazione di claustrofobia che ne deriva dovrebbe contribuire a trasmettere il senso di angoscia e di inquietudine, empaticamente, dalla protagonista allo spettatore, ma ciò non accade mai. Non si comprende come Emily Beecham abbia ricevuto il premio come migliore attrice a Cannes, per un’interpretazione che non colpisce particolarmente e seppur corretta ed efficace nella resa del personaggio, che si ritrova improvvisamente in un contesto distopico, non coinvolge e non emoziona, anzi si direbbe quasi predestinata al ruolo che assume, infine, nell’epilogo della vicenda, che non si rivela perché nelle intenzioni dell’autrice dovrebbe risultare sorprendente.
Il fascino del film è tutto nella scenografia, ovvero nei colori sgargianti delle pareti delle stanze e degli arredi ed in quelli pastello degli abiti e dei camici da lavoro degli impiegati di questa fabbrica impegnata nella produzione del monstrum vegetale, che evoca la pianta malefica del La piccola bottega degli orrori del 1960 di Corman. Suggestiva la colonna sonora, basata su sonorità del mondo orientale, in particolare di quello giapponese, che sottolinea i passaggi più drammaticamente stranianti della pellicola.
In definitiva, il film è una versione claustrofobica in tono minore estetizzante e molto colorata di Invasion, ma, a dispetto dei riconoscimenti festivalieri, la Beecham non è paragonabile nemmeno lontanamente alla Kidman.
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