l''inquilinadelterzopiano
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sabato 28 ottobre 2017
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né guerra né amore nella questione dei taviani
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Si intitola Una questione privata l’ultimo film dei fratelli Taviani presentato il mese scorso al Toronto International Film Festival e ieri sera alla Festa del Cinema di Roma.
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Si intitola Una questione privata l’ultimo film dei fratelli Taviani presentato il mese scorso al Toronto International Film Festival e ieri sera alla Festa del Cinema di Roma. Tratta dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, la pellicola narra l’amore tormentato di un partigiano soprannominato Milton (Luca Marinelli) nei confronti di Fulvia (Valentina Bellè), ma alla ragazza piace civettare sia con lui che con il suo migliore amico Giorgio (Lorenzo Richelmy).
La storia comincia nella nebbia, metafora dell’incertezza e del dubbio che abitano e offuscano la mente di Milton. Siamo nell’estate del 1943 in piena Resistenza ma Una questione privata, come dice il titolo, non parla della guerra, e quando lo fa risulta vacillante e fuori luogo: si veda, ad esempio, la sequenza della fucilazione da parte dei fascisti o, ancora più esemplare, la scena di una bambina che si stende affianco al cadavere della madre, in mezzo ad altri cadaveri a terra, l’inquadratura è decentrata e il punto di vista interno a una casa vuota verte verso i cadaveri all’esterno. Sono immagini e ambientazioni molto tarkoskijane, si pensi a Lo specchio, a L’infanzia di Ivan, ma in altri momenti anche al vapore della grande vasca termale di Nostalghia e alle radure di Stalker.
Peccato che la storia di Una questione privata narri tutt’altro rispetto agli intendi filosofici di Andrej Tarkoskij, pur ostinandosi a mescolare la guerra e questi paesaggi rurali desolati a questa questione privata, questo amore e questa passione che mai si vedono né percepiscono, probabilmente più un’ossessione, o forse appunto solo una “questione”, la cui incertezza logora via via la sanità mentale di Milton. E forse starebbe qui l’unico, ahimè non sfruttato, legame con la guerra, anziché nelle sporadiche e decontestualizzate scene di fascisti e partigiani, difatti infinite comparse che si incontrano e scontrano, si inseguono, scappano e ogni tanto si ammazzano anche.
In realtà ci viene detto poco e niente anche su Milton, per non parlare di Fulvia e Giorgio, personaggi privi soprattutto di spessore psicologico. C’è solo questa questione che funge da motore d’azione per una pellicola che continua ad avanzare meccanicamente in una successione di sequenze appiccicate. Se è vero che non si parla veramente di guerra è vero anche che, per tutto il film, lo spettatore resta estraneo, letteralmente al di fuori, dalla “questione privata” di Milton. Neanche la musica (di Franco Brogi Taviani) riesce a dare pathos e omogeneità alla vicenda, compreso il leitmotiv di Over The Rainbow che risulta piuttosto ridondante e fastidioso.
Martina Cancellieri
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domenica 5 novembre 2017
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un'operazione culturale deprecabile
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il film intitolato al magnifico racconto di Bepe Fenoglio ne tradisce tutto: non solo l'intelligenza e la grazia, ma persino il contesto e significato storico e il senso narrativo. Partigiani piemontesi che parlano in romanesco, il ruolo dell'amico Giorgio totalmente travisato, il finale stravolto: il tutto si traduce in una trama sgangherata, in personaggi non credibili, nella totale perdita della sottile analisi storica e culturale che è tra i pregi del racconto di Fenoglio. Un'operazione - per di più finanziata con fondi pubblici- che si doveva evitare.
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angeloumana
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lunedì 6 novembre 2017
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senza guerra e senza amore
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E' Una questione privata quella di Milton – così lo soprannominò ai tempi della scuola la sua insegnante di inglese – privatissima, del tutto sua personale. Il giovane partigiano vede emergere, dalla nebbia della montagna che stà risalendo con un suo compagno, la sagoma di una villa dove anni prima frequentava la giovane amica Fulvia, di famiglia abbiente e al contempo attratta da lui e dall'amico d'infanzia di Milton, Giorgio. Questo era affascinante, divertente, sapeva ridere e far ridere, mentre da Milton più taciturno e osservativo la volitiva Fulvia aspettava le lettere, come solo lui sapeva scrivergliene. Una ragazza che attraeva i due giovani, un mix di qualità che la appagavano: dell'uno i balli e le uscite notturne, dell'altro le parole.
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E' Una questione privata quella di Milton – così lo soprannominò ai tempi della scuola la sua insegnante di inglese – privatissima, del tutto sua personale. Il giovane partigiano vede emergere, dalla nebbia della montagna che stà risalendo con un suo compagno, la sagoma di una villa dove anni prima frequentava la giovane amica Fulvia, di famiglia abbiente e al contempo attratta da lui e dall'amico d'infanzia di Milton, Giorgio. Questo era affascinante, divertente, sapeva ridere e far ridere, mentre da Milton più taciturno e osservativo la volitiva Fulvia aspettava le lettere, come solo lui sapeva scrivergliene. Una ragazza che attraeva i due giovani, un mix di qualità che la appagavano: dell'uno i balli e le uscite notturne, dell'altro le parole. I fratelli Taviani ambientano la vicenda nella seconda guerra mondiale traendola dal libro di Beppe Fenoglio. Ma non c'è guerra, essa è solo episodica, rappresentata da immagini circoscritte e romantiche: l'esecuzione di partigiani e anche di scarafaggi neri fascisti, giovani e loro ex vicini di casa; la bimba che si accoccola presso sua madre che giace morta insieme al resto della famiglia sterminata davanti a una casa rurale; qualche bomba che scoppia quà e là; il partigiano Milton che sceso in paese incontra e abbraccia furtivamente i suoi genitori. Non c'è nemmeno amore: il rapporto con Fulvia e Giorgio è confinato nei ricordi del personaggio protagonista, un'ossessione con origini lontane, forse causa di varie scene di stizza nelle quali egli ora tra le montagne belliche sembra impazzire, disperarsi.
Da partigiano vorrebbe salvare l'amico ed ex competitore Giorgio, preso dai fascisti, dando loro uno scarafaggio nero in cambio: non c'entra molto ma vengono in mente quelle parole di una canzone di Battisti, “conosci me, la mia lealtà, tu sai che oggi morirei per onestà”. Per lealtà ed amicizia si immolerebbe. Vorrebbe, inseguito dai fascisti, saltare sulle mine di un ponte ma si placherà, a momenti mi uccidevi, Fulvia, dice tra sé. Fulvia e la gelosia originavano le sue ossessioni pure se ha sperato in un dopo-guerra, che arrivasse in maggio, sarà interessante essere vivi dopo.
La rappresentazione dei Taviani è fatta di intimismo e di scene da set teatrale artefatto, pure se non mancano le montagne e l'aria aperta, che lasciano meglio respirare lo spettatore. Milton non lo abbiamo visto guerreggiare, solo seguire i suoi pensieri fumando voracemente e passando da una compagnia di partigiani all'altra per cercare l'amico o un fascista. Non so, i Taviani sono stati più coinvolgenti in altri film, in questo lo sono meno del loro circa coetaneo Ermanno Olmi.
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l''inquilinadelterzopiano
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sabato 28 ottobre 2017
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né guerra né amore nella questione privata dei taviani
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Si intitola Una questione privata l’ultimo film dei fratelli Taviani presentato il mese scorso al Toronto International Film Festival e ieri sera alla Festa del Cinema di Roma. Tratta dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, la pellicola narra l’amore tormentato di un partigiano soprannominato Milton (Luca Marinelli) nei confronti di Fulvia (Valentina Bellè), ma alla ragazza piace civettare sia con lui che con il suo migliore amico Giorgio (Lorenzo Richelmy).
La storia comincia nella nebbia, metafora dell’incertezza e del dubbio che abitano e offuscano la mente di Milton. Siamo nell’estate del 1943 in piena Resistenza ma Una questione privata, come dice il titolo, non parla della guerra, e quando lo fa risulta vacillante e fuori luogo: si veda, ad esempio, la sequenza della fucilazione da parte dei fascisti o, ancora più esemplare, la scena di una bambina che si stende affianco al cadavere della madre, in mezzo ad altri cadaveri a terra, l’inquadratura è decentrata e il punto di vista interno a una casa vuota verte verso i cadaveri all’esterno.
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Si intitola Una questione privata l’ultimo film dei fratelli Taviani presentato il mese scorso al Toronto International Film Festival e ieri sera alla Festa del Cinema di Roma. Tratta dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, la pellicola narra l’amore tormentato di un partigiano soprannominato Milton (Luca Marinelli) nei confronti di Fulvia (Valentina Bellè), ma alla ragazza piace civettare sia con lui che con il suo migliore amico Giorgio (Lorenzo Richelmy).
La storia comincia nella nebbia, metafora dell’incertezza e del dubbio che abitano e offuscano la mente di Milton. Siamo nell’estate del 1943 in piena Resistenza ma Una questione privata, come dice il titolo, non parla della guerra, e quando lo fa risulta vacillante e fuori luogo: si veda, ad esempio, la sequenza della fucilazione da parte dei fascisti o, ancora più esemplare, la scena di una bambina che si stende affianco al cadavere della madre, in mezzo ad altri cadaveri a terra, l’inquadratura è decentrata e il punto di vista interno a una casa vuota verte verso i cadaveri all’esterno. Sono immagini e ambientazioni molto tarkoskijane, si pensi a Lo specchio, a L’infanzia di Ivan, ma in altri momenti anche al vapore della grande vasca termale di Nostalghia e alle radure di Stalker.
Peccato che la storia di Una questione privata narri tutt’altro rispetto agli intendi filosofici di Andrej Tarkoskij, pur ostinandosi a mescolare la guerra e questi paesaggi rurali desolati a questa questione privata, questo amore e questa passione che mai si vedono né percepiscono, probabilmente più un’ossessione, o forse appunto solo una “questione”, la cui incertezza logora via via la sanità mentale di Milton. E forse starebbe qui l’unico, ahimè non sfruttato, legame con la guerra, anziché nelle sporadiche e decontestualizzate scene di fascisti e partigiani, difatti infinite comparse che si incontrano e scontrano, si inseguono, scappano e ogni tanto si ammazzano anche.
In realtà ci viene detto poco e niente anche su Milton, per non parlare di Fulvia e Giorgio, personaggi privi soprattutto di spessore psicologico. C’è solo questa questione che funge da motore d’azione per una pellicola che continua ad avanzare meccanicamente in una successione di sequenze appiccicate. Se è vero che non si parla veramente di guerra è vero anche che, per tutto il film, lo spettatore resta estraneo, letteralmente al di fuori, dalla “questione privata” di Milton. Neanche la musica (di Franco Brogi Taviani) riesce a dare pathos e omogeneità alla vicenda, compreso il leitmotiv di Over The Rainbow che risulta piuttosto ridondante e fastidioso.
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catapulta
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giovedì 2 novembre 2017
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sì per il tema, così-così per il resto
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Opportuno riportare sul grande schermo il tema della lotta partigiana e del riscatto morale degli italiani (una parte di essi) in una fase storica di accantomamento di quei valori. Apprezzabili alcune scene di spessore cinematografico come quelle della desolazione e la miseria delle campagne o dell'incontro fugace di Milton con i genitori. Ma è tutto qui, anche se per quanto scritto nella prima frase potrebbe essere già tanto. A questo punto del commento potrei dare 5 stelle al film. Tuttavia proseguo criticando una recitazione troppo scarsa e alcune scene patetiche come quella della bambina che dopo aver bevuto un bicchier d'acqua si accosta ai familiari uccisi, oppure la rappresentazione macchiettistica dei fascisti.
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Opportuno riportare sul grande schermo il tema della lotta partigiana e del riscatto morale degli italiani (una parte di essi) in una fase storica di accantomamento di quei valori. Apprezzabili alcune scene di spessore cinematografico come quelle della desolazione e la miseria delle campagne o dell'incontro fugace di Milton con i genitori. Ma è tutto qui, anche se per quanto scritto nella prima frase potrebbe essere già tanto. A questo punto del commento potrei dare 5 stelle al film. Tuttavia proseguo criticando una recitazione troppo scarsa e alcune scene patetiche come quella della bambina che dopo aver bevuto un bicchier d'acqua si accosta ai familiari uccisi, oppure la rappresentazione macchiettistica dei fascisti. Inoltre, il filone principale del film ( la ricerca della verità sulla relazione fra la ragazza cui Milton è innamorato e l'amico Giorgio) è sviluppata con una caratura di ossessione che un po' stanca la visione.
In fondo si è visto di molto peggio sul grande schermo anche da parte di "mostri sacri", ma ci si poteva aspettare di meglio. Così me la cavo con 3 stelle.
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eugenio
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mercoledì 21 marzo 2018
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i fratelli taviani e fenoglio
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Ottantaquattro minuti di ricerca che è anche scoperta di sé tra eventi ineluttabili, guerra e dolore.
Ottantaquattro minuti di rimandi continui all’innocenza perduta tra presente e passato.
Ottantaquattro minuti di scambio, inquietante furia amorosa, passioni e amore.
Ottantaquattro minuti di cinema “firmato” fratelli Paolo e Vittorio Taviani che dopo l’esperimento di Cesare deve morire, tornano a una dimensione cara alla loro produzione: la guerra e il ricordo (come dimenticare La notte di San Lorenzo, capolavoro del 1962?).
I due cineasti adattano nel loro percorso analitico di un’Italia rurale e nostalgica Una questione privata, del piemontese Beppe Fenoglio, pubblicato postumo nel 1963.
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Ottantaquattro minuti di ricerca che è anche scoperta di sé tra eventi ineluttabili, guerra e dolore.
Ottantaquattro minuti di rimandi continui all’innocenza perduta tra presente e passato.
Ottantaquattro minuti di scambio, inquietante furia amorosa, passioni e amore.
Ottantaquattro minuti di cinema “firmato” fratelli Paolo e Vittorio Taviani che dopo l’esperimento di Cesare deve morire, tornano a una dimensione cara alla loro produzione: la guerra e il ricordo (come dimenticare La notte di San Lorenzo, capolavoro del 1962?).
I due cineasti adattano nel loro percorso analitico di un’Italia rurale e nostalgica Una questione privata, del piemontese Beppe Fenoglio, pubblicato postumo nel 1963. E come nel romanzo, la storia di una passione che travalica sino alla lucida follia il male della guerra, si insinua nelle pieghe di una storia robusta, intensa e viva.
Tra le Langhe, quelle in cui lo scrittore visse, quelle in cui lottò come partigiano la resistenza della sua vita, si muove affamato il giovane Milton, innamorato della borghese Fulvia, conosciuta insieme al suo amico Giorgio, amico d’infanzia e compagno partigiano, nell’elegante casa di campagna di lei sopra Alba, paese natale di Fenoglio.
1943. Armistizio, Italia sotto scacco. Stacco improvviso. Milton si trascina in una proustiana researche, nei luoghi dell’idillio adolescenziale, tra le nebbie di un arcobaleno che sembra non vedere mai. Si inoltra nostalgicamente nei giorni del platonico amor vissuto ma il tarlo di un sospetto, quello della governante che tradisce una possibile relazione tra la sua “donna” e l’amico Giorgio, irretisce e trasforma completamente il partigiano.
Come un Orlando, in cerca del suo senno, Milton inizia a correre all’affannosa ricerca della verità, per cercare la brigata in cui il suo amico è arruolato, scoprendo poi che è stato catturato dai repubblichini.
E ancora corre Milton. Corre per cercare di catturare un fascista da “sfruttare” come ostaggio per una trattativa di scambio con l’amico in estremo pericolo di vita.
Intorno, ricordi sfumati metaforicamente rappresentati dalla nebbia che domina per tre quarti le magnifiche quanto essenziali scenografie e i panorami aperti di scabra essenzialità. Accampamenti su colli arroccati, rastrellamenti di massa operati da gruppi di “scarafaggi neri” (così vengono continuamente denominati i repubblichini) a danni di innocenti, sangue versato per una libertà sempre più precaria, sono la cornice di un dramma, La questione privata del titolo, che squassa Milton, lui proprio lui spirito timido, amante di letture e musiche americane.
L’Over the Rainbow che accompagna molti momenti del film è la chiave per interpretare la pellicola dei fratelli Taviani: non un esercizio storico o un rituale realistico come nelle pellicole di Ermanno Olmi, dell’epica resistenza appunto in montagna e dell’organizzazione partigiana agli assalti alle camice nere, bensì un poema epico-cavalleresco di ariostesca memoria, in cui il nemico assume la valenza di “merce di scambio” capace di far dipanare il turbamento del giovane Milton sino all’accettazione nel suo Paradiso perduto.
La researche proustiana del giovane si traduce proprio nella corsa sbrigativa, nei dialoghi e negli atteggiamenti forse troppo teatrali di Luca Marinelli (che interpreta all’altezza il ruolo forse con troppa enfasi), nella stilizzazione formale di una Fulvia (Valentina Bellè) ancorata ai clichè della ragazza agiata borghese
I fratelli Taviani, padri di un ottimo cinema, infondono al film rispetto al romanzo, epici momenti al servizio di un’esaltazione di una guerra che coinvolge tutto e tutti: inseriscono la figura di una bambina che scampata a una rappresaglia, dove la sua famiglia è stata barbaramente uccisa, resta accanto alla madre esangue oppure la morte di un ostaggio fascista fanatico della batteria.
Va bene, per carità. Non sia mai detto che il film debba essere copia spudorata di un libro.
Ma deve, nella sua lotta tra il privato e l’epico, restituire il senso della produzione fenogliana, il significato della resistenza, l’archetipo del partigiano reso “quasi” mito. Ed invece, la questione privata dei fratelli Taviani, è, pur se ottimo esercizio di stile, la caratterizzazione di una vertiginosa e affannosa ricerca di una vetta, una cima di una montagna oltre le nuvole della cecità di uno spudorato sospetto, nulla più.
E’ un bascular per monti, dove alla fine, non resta che scendere.
Scendere per crollare.
Scendere per tornare ancora dentro quelle nebbie che inglobano la nostra ferita non ancora rimarginata di un orrore che difficilmente troverà oblio.
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lbavassano
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domenica 12 novembre 2017
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fedele, troppo fedele
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Nulla aggiunge a quello che resta uno dei più bei romanzi di Beppe Fenoglio il film di Paolo e Vittorio Taviani, a quella che resta una delle più autentiche narrazioni degli anni terribili della guerra civile italiana, autentica proprio nell'intreccio fra vicende pubbliche e questioni private, nella capacità immutata di farci riflettere su come la "verità" della Storia risieda in tale intreccio. Nulla aggiunge, ma poco sottrae, grazie alla perizia nel tradurre in immagini la forza di quelle parole, riducendole al minimo indispensabile, rispettandone la sostanziale antiretorica, insistendo sui dettagli piuttosto, le mani e le unghie spezzate. Le sigarette.
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Nulla aggiunge a quello che resta uno dei più bei romanzi di Beppe Fenoglio il film di Paolo e Vittorio Taviani, a quella che resta una delle più autentiche narrazioni degli anni terribili della guerra civile italiana, autentica proprio nell'intreccio fra vicende pubbliche e questioni private, nella capacità immutata di farci riflettere su come la "verità" della Storia risieda in tale intreccio. Nulla aggiunge, ma poco sottrae, grazie alla perizia nel tradurre in immagini la forza di quelle parole, riducendole al minimo indispensabile, rispettandone la sostanziale antiretorica, insistendo sui dettagli piuttosto, le mani e le unghie spezzate. Le sigarette. La bellezza immutata dei paesaggi devastati dalla violenza umana. L'assurdità degli umani comportamenti. Rispetta il testo, il film dei Taviani, nella lettera e nello spirito, ed in ciò risiedono tutte le sue qualità ed i suoi limiti.
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fabiofeli
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martedì 14 novembre 2017
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il personale era (è) politico?
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Nell’autunno prima della Liberazione Milton (Luca Marinelli, in una nuova ottima prova) è un partigiano nelle brigate piemontesi: si arrampica in borghi sparsi sui monti immersi nella nebbia. Il pensiero di Fulvia (Valentina Bellè) non lo abbandona e lo riporta al casale dove passavano i pomeriggi con Giorgio (Lorenzo Richelmy). Tre amici cari: Giorgio e Fulvia impegnati in arrampicate sugli alberi o nell’ultimo ballo alla moda con perfetta armonia sulle note di un grammofono a tromba, che spesso permette l’ascolto di “Over the rainbow”, colonna sonora de “Il mago di Oz” di Victor Fleming; Milton li guarda e scrive poesie d’amore a Fulvia.
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Nell’autunno prima della Liberazione Milton (Luca Marinelli, in una nuova ottima prova) è un partigiano nelle brigate piemontesi: si arrampica in borghi sparsi sui monti immersi nella nebbia. Il pensiero di Fulvia (Valentina Bellè) non lo abbandona e lo riporta al casale dove passavano i pomeriggi con Giorgio (Lorenzo Richelmy). Tre amici cari: Giorgio e Fulvia impegnati in arrampicate sugli alberi o nell’ultimo ballo alla moda con perfetta armonia sulle note di un grammofono a tromba, che spesso permette l’ascolto di “Over the rainbow”, colonna sonora de “Il mago di Oz” di Victor Fleming; Milton li guarda e scrive poesie d’amore a Fulvia. Ora Fulvia è a Torino e Milton e Giorgio militano in due diverse brigate partigiane. Quell’intesa perfetta nel ballo significherà un’intesa più profonda tra i due, si chiede Milton. E quando gli dicono che Giorgio è stato catturato dagli “scarafaggi” (i fascisti in divisa nera) cerca di catturare uno di questi per scambiarlo con Giorgio e dissipare i suoi dubbi amorosi …
Tratto dall’omonimo romanzo di Fenoglio il film dei Taviani mantiene tutta la densa carica dello scritto. Il dilemma è: ha senso o no pensare al proprio personale domani nel momento che va vinta la guerra per salvare l’Italia e il mondo intero dall’abisso della barbarie e dell’oscurantismo? Per la sua questione privata Milton rischia la vita: per sfuggire alla cattura da parte degli scarafaggi ballando su un ponte minato. Si dice stupito: “Sono vivo! … Fulvia mi hai quasi ammazzato.”. Negli anni ’70 per giustificare la scelta di privilegiare la propria sfera privata all’impegno politico si era inventata la formula sbrigativa “il (l’interesse) personale è politico”. Ma allora, come ieri e oggi, è giusto girarsi dall’altra parte quando squadracce fasciste, con grande e consueto “coraggio”, massacrano un lavoratore bengalese indifeso solo perché è piccolo, “negro” e – così ha affermato un massacratore – “i bengalesi non si ribellano”? I fratelli Taviani sottolineano il loro No al fascismo, e cambiano il finale del libro lasciando vivere Milton. E con giusto motivo: continua a vivere chi non si piega alla barbarie dello sterminio di intere famiglie, donne vecchi e bambini compresi. Dopo uno di questi massacri una bimba sopravvissuta si leva dal gruppo dei morti, va a bere acqua nel casolare e poi torna ad accucciarsi vicino alla madre uccisa: forse spera che si tratti di un brutto sogno che si dileguerà col sole alto. Gli oggetti (le case bruciate e fumanti, i miseri giocattoli abbandonati, i borghi visti dall’alto) e il bel paesaggio immerso nelle nebbie, sia vere che simboliche dei dubbi personali di Milton, diventano veri personaggi. Una ottima prova, di nuovo, per i fratelli Taviani: un film da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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loland10
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giovedì 9 novembre 2017
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dietro la guerra
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“Una questione privata” (2017) è il diaciannovesimo lungometraggio dei registi di San Miniato Paolo e Vittorio Taviani.
I fratelli Taviani ancora in gioco e per niente domi raccontano ancora il loro cinema.
Paolo regista con il fratello (in difficoltà fisiche) sceneggiatore e aiutante nel montaggio...da quello che l'operatore dice nell'interviste.
Si deve dire che la forza con cui Paolo dice "questo è un film dei fratelli Tavani" denota la bontà dell'assunto e la lungimiranza delle riprese dell'uno mentre l'altro non è sul set fisicamente ma con le idee e il palmo della sua mano.
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“Una questione privata” (2017) è il diaciannovesimo lungometraggio dei registi di San Miniato Paolo e Vittorio Taviani.
I fratelli Taviani ancora in gioco e per niente domi raccontano ancora il loro cinema.
Paolo regista con il fratello (in difficoltà fisiche) sceneggiatore e aiutante nel montaggio...da quello che l'operatore dice nell'interviste.
Si deve dire che la forza con cui Paolo dice "questo è un film dei fratelli Tavani" denota la bontà dell'assunto e la lungimiranza delle riprese dell'uno mentre l'altro non è sul set fisicamente ma con le idee e il palmo della sua mano.
Ecco che il duo ritorna come ultimamente ha sempre fatto nonostante qualche mugugno e qualche facile critica (anche ironica).Incipit di sottrazione, offuscato dalla nebbia tra la natura collinare delle Langhe ridisegna in solo colpi lo schema narrativo dei due registi: pronti a farsi riconoscere con pochissime battute e giri di manovella. Un seguire la collina, le sue ombre scomparse, la vegetazione nascosta, i colpi vicini di una guerra, i destini immaturi di giovani e di anime sconosciute.
Dal libro di Beppe Fenoglio il film mantiene lo stesso titolo: un autore di grande intensità narrativa e da cui il cinema ha preso tutto o quasi il possibile da sviscerare.
Si deve dire che è difficilmente rappresentabile: forme, corpi, storia e storie sempre in conflitto con immagini e parole. E soprattutto di ricordi intimi.
Qui si narrano le vicende del ragazzo giovane partigiano Milton (nome dato al liceo, un nomignolo che per lui diventa emblema, nascondimento ma anche manifestazione della sua interiorità) e il rapporto amoroso verso Fulvia o meglio quello che è stato mentre sta sulla corda tesa come partigiano e il nemico nazi-fascista. Il suo ritorno all’indietro è verso un luogo conosciuto: nel suo cammino a ritroso ha di fronte la 'sua casa' che si colora di vivo mentre una domestica riapre le sue finestre e Milton ritrova sapori e odori di ieri. In un gioco malinconico i registi riaprono anche il loro cinema con luci soffuse, chiarori tenui, riflessioni antiche e guerra profonda dentro ogni uomo. Il partigiano e la sua storia privata come segno di allontanamento da ogni dove odierno come l’incontro con i genitori in un silenzio angosciante e assordante. Ineluttabili e rigati i volti dei due mentre il figlio fugge. Portici e soffio di vento che ammaestrano un volto sfinito.
Momenti di pausa tra un silenzio e degli spari, delle luci vive e un bianco che chiude il panorama delle Langhe per ricordare e rivedere un ballo. Milton seduto con una sigaretta mentre Giorgio e Fulvia ballano. 'Non si può ballare...c'è la guerra' ammonisce la custode mentre si affaccia da una porta. Ed ecco l'inquadratura verso un bottone del grammofono che abbassa il volume. Quasi zero. Anzi zero. Il silenzio ammonisce il partigiano e lo spettatore. La guerra e la lotta con il nazifascismo sono dentro, lascia vuoti privati e lascia fughe senza ripensamenti. Milton è solo, un ragazzo tra un mondo lasciato e una corsa insostenibile. Giorgio e Fulvia restano in ogni sguardo da cercare. È il film della rassegnazione, di un privato annullato, inconsistente e, fondamentalmente, importante per tutti.
E’ il brivido di un conflitto dentro i personaggi: spettrali, malati dentro e fantasmi nella storia mentre il privato non si fa da parte per Milton (Luca Marinelli), Fulvia (Valentina Bellè) e Giorgio (Lorenzo Richelmy).
‘Una questione privata’ rimane un film sottile, mesto, malinconico, denutrito, decantato, offuscato, privo, infantile, intimo, nascosto dentro il disegno di una storia italiana e confinata.
Da non disperdere: dei grandi vecchi (Olmi e i Taviani) ancora danno speranza per un cinema di ieri per domani. Sono loro che ancora riescono a darci qualche e più emozione. In tale pellicola Il regista bergamasco compare come produttore e i nomi di ‘familiari’ fanno compagnia ad un film piccolo nei modi ma grande nell'intensità espressiva. Verrebbe da pensare ad un Gian Maria Volonté o a un caratterista dei tempi migliori per rappresentare il nulla e il vivo emozionale di quest'ultima pellicola dei registi toscani. Forse è pretendere troppo per un tipo di cinema oggi invisibile.
I Taviani sono da consigliare e da appezzare. Ad un'età veneranda danno un ennesimo colpo d'ala ad un cinema futuro.
Voto: 7,5/10 (***½)
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fabiofeli
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martedì 14 novembre 2017
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il personale era (è) politico?
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Nell’autunno prima della Liberazione Milton (Luca Marinelli, in una nuova ottima prova) è un partigiano nelle brigate piemontesi: si arrampica in borghi sparsi sui monti immersi nella nebbia. Il pensiero di Fulvia (Valentina Bellè) non lo abbandona e lo riporta al casale dove passavano i pomeriggi con Giorgio (Lorenzo Richelmy). Tre amici cari: Giorgio e Fulvia impegnati in arrampicate sugli alberi o nell’ultimo ballo alla moda con perfetta armonia sulle note di un grammofono a tromba, che spesso permette l’ascolto di “Over the rainbow”, colonna sonora de “Il mago di Oz” di Victor Fleming; Milton li guarda e scrive poesie d’amore a Fulvia.
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Nell’autunno prima della Liberazione Milton (Luca Marinelli, in una nuova ottima prova) è un partigiano nelle brigate piemontesi: si arrampica in borghi sparsi sui monti immersi nella nebbia. Il pensiero di Fulvia (Valentina Bellè) non lo abbandona e lo riporta al casale dove passavano i pomeriggi con Giorgio (Lorenzo Richelmy). Tre amici cari: Giorgio e Fulvia impegnati in arrampicate sugli alberi o nell’ultimo ballo alla moda con perfetta armonia sulle note di un grammofono a tromba, che spesso permette l’ascolto di “Over the rainbow”, colonna sonora de “Il mago di Oz” di Victor Fleming; Milton li guarda e scrive poesie d’amore a Fulvia. Ora Fulvia è a Torino e Milton e Giorgio militano in due diverse brigate partigiane. Quell’intesa perfetta nel ballo significherà un’intesa più profonda tra i due, si chiede Milton. E quando gli dicono che Giorgio è stato catturato dagli “scarafaggi” (i fascisti in divisa nera) cerca di catturare uno di questi per scambiarlo con Giorgio e dissipare i suoi dubbi amorosi …
Tratto dall’omonimo romanzo di Fenoglio il film dei Taviani mantiene tutta la densa carica dello scritto. Il dilemma è: ha senso o no pensare al proprio personale domani nel momento che va vinta la guerra per salvare l’Italia e il mondo intero dall’abisso della barbarie e dell’oscurantismo? Per la sua questione privata Milton rischia la vita: per sfuggire alla cattura da parte degli scarafaggi ballando su un ponte minato. Si dice stupito: “Sono vivo! … Fulvia mi hai quasi ammazzato.”. Negli anni ’70 per giustificare la scelta di privilegiare la propria sfera privata all’impegno politico si era inventata la formula sbrigativa “il (l’interesse) personale è politico”. Ma allora, come ieri e oggi, è giusto girarsi dall’altra parte quando squadracce fasciste, con grande e consueto “coraggio”, massacrano un lavoratore bengalese indifeso solo perché è piccolo, “negro” e – così ha affermato un massacratore – “i bengalesi non si ribellano”? I fratelli Taviani sottolineano il loro No al fascismo, e cambiano il finale del libro lasciando vivere Milton. E con giusto motivo: continua a vivere chi non si piega alla barbarie dello sterminio di intere famiglie, donne vecchi e bambini compresi. Dopo uno di questi massacri una bimba sopravvissuta si leva dal gruppo dei morti, va a bere acqua nel casolare e poi torna ad accucciarsi vicino alla madre uccisa: forse spera che si tratti di un brutto sogno che si dileguerà col sole alto. Gli oggetti (le case bruciate e fumanti, i miseri giocattoli abbandonati, i borghi visti dall’alto) e il bel paesaggio immerso nelle nebbie, sia vere che simboliche dei dubbi personali di Milton, diventano veri personaggi. Una ottima prova, di nuovo, per i fratelli Taviani: un film da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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