achab50
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giovedì 27 agosto 2020
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il duro confronto con la realtà
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E' un film che segna un nuovo modo di espressione cinematografica, e mi ha ricordato, durante tutto lo sviluppo, la sensazione che ebbi oltre cinquant'anni fa quando vidi Fellini 8 1/2. Può sembrare irriguardoso o semplicemente bizzarro ma ambedue le storie riguardano un personaggio (qui un direttore artistico di un museo, allora un regista) che si trova una realtà in continuo contrasto con la sua visione del mondo e del rapporto con gli altri. La vicenda procede in maniera lineare: un responsabile di museo fa demolire un onesto monumento in bronzo, e relativo basamento, per consentire ad un "artista" di ricavarci un quadrato di 4x4 metri entro cui tutto il bene del mondo, in poche parole, si può trovare.
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E' un film che segna un nuovo modo di espressione cinematografica, e mi ha ricordato, durante tutto lo sviluppo, la sensazione che ebbi oltre cinquant'anni fa quando vidi Fellini 8 1/2. Può sembrare irriguardoso o semplicemente bizzarro ma ambedue le storie riguardano un personaggio (qui un direttore artistico di un museo, allora un regista) che si trova una realtà in continuo contrasto con la sua visione del mondo e del rapporto con gli altri. La vicenda procede in maniera lineare: un responsabile di museo fa demolire un onesto monumento in bronzo, e relativo basamento, per consentire ad un "artista" di ricavarci un quadrato di 4x4 metri entro cui tutto il bene del mondo, in poche parole, si può trovare.
Per promuovere questa bizzarra realizzazione incarica una agenzia di promozione pubblicitaria che realizzerà un filmato che lo porterà di girone in girone alle dimissioni. Tutto qui.
Nella realtà filmica ci troviamo di fronte alla demolizione completa dell'arte contemporanea estrema, ma si resta sempre in dubbio se le numerose (dis)avventure che costellano l'opera siano veridiche o esse stesse delle performances d'arte contemporanea, tanto sono in contrasto col sui pensiero: la ragazza che scappa da un malintenzionato, ma che si rivela essere un'abile borseggiatrice, la tentata presentazione del quadrato con una persona del pubblico affetta dalla sindrome di Tourette, la cena di gala con l'uomo-gorilla durante la quale non si comprende fino a che punto sia una performance o un'idea (ennesima) sfuggita di mano; l'incontro con una ragazza da una botta e via ma che lo ossessiona con quesiti disturbanti, la presenza di un gorilla che punteggia l'intera vicenda ed in fine il ragazzino che esiste o forse no.
Grande prova d'attore per il protagonista, ma anche gli altri personaggi sono ben delineati a tre dimensioni.
Naturalmente la perfezione non esiste, e risulta incommentabile la colonna sonora con un mieloso ed appiccicoso Gounod che ha massacrato il 1° preludio del primo volume del WTC di Bach ed è completamente decontestualizzato, forse voleva sottolineare il distacco fra la supponenza del critico e la realtà, ma non ci riesce e risulta congrua solo quando affronta musica contemporanea atonale. Questo costa una stella, quasi due, ad un ottimo film da vedere e soprattutto da rivedere.
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felicity
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mercoledì 17 marzo 2021
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satira spietata degli intellettuali compiaciuti
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The Square è un film straordinariamente intelligente e divertente. La molteplicità di significati che soggiacciono alla maggior parte delle scene del film rivela la grande sensibilità di Ruben Östlund, che qui scrive e dirige. Se forse non tutti gli spettatori sapranno cogliere gli insistiti rimandi colti presenti tra le righe dello script, di certo tutti potranno godere della gran copia di momenti esilaranti che impuntiscono il metraggio. E qui veniamo al principale pregio e difetto della pellicola.
Il film è attraversato da un’infinità di scene divertentissime, che, pur forti di significati latenti, riescono a strappare fragorose risate a ogni tipo di pubblico: un esercizio di stile che andrebbe mostrato nelle scuole di cinema come alternativa al demenziale umorismo imperante che fa leva sulla volgarità.
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The Square è un film straordinariamente intelligente e divertente. La molteplicità di significati che soggiacciono alla maggior parte delle scene del film rivela la grande sensibilità di Ruben Östlund, che qui scrive e dirige. Se forse non tutti gli spettatori sapranno cogliere gli insistiti rimandi colti presenti tra le righe dello script, di certo tutti potranno godere della gran copia di momenti esilaranti che impuntiscono il metraggio. E qui veniamo al principale pregio e difetto della pellicola.
Il film è attraversato da un’infinità di scene divertentissime, che, pur forti di significati latenti, riescono a strappare fragorose risate a ogni tipo di pubblico: un esercizio di stile che andrebbe mostrato nelle scuole di cinema come alternativa al demenziale umorismo imperante che fa leva sulla volgarità.
Più il metraggio progredisce, però, più ci si rende conto che l’infinità di episodi comici disseminati nello script da Östlund finiscono per essere totalmente irrilevanti al fine dell’intreccio e, per l’appunto, episodici. Come in un museo si passa da una sala all’altra, godendo del momento ma non avendo bisogno di un filo conduttore che dia un significato collettivo alle opere, così in The Square assistiamo a una gag dopo l’altra, senza che queste impattino in nessun modo sul significato del film.
Abbiamo un borseggio frainteso come performance artistica, l’installazione di un monumento che va irrimediabilmente male, un incontro pubblico funestato da uno spettatore preda della sindrome di Tourette, una folla redarguita per la corsa famelica al buffet, un’installazione distrutta per sbaglio, un primate che si aggira senza un vero motivo nella stanza di una donna, un’esibizione in cui un artista senza limiti si finge un gorilla terrorizzando i ricchi invitati a una cena di gala. Tanti sketch brillantissimi e magnificamente realizzati.
Quando però, alla fine del film, si comprende che tutti quei momenti si sono alternati senza ragione alcuna; che la semplicissima storia raccontata ne avrebbe tranquillamente potuto fare a meno, allora si ha l’impressione di esser stati ingannati: è troppo troppo facile far ridere con delle scenette.
Forse, per apprezzare The Square, il trucco è proprio quello di guardare allo schermo come faremmo a un’installazione. Sono più importanti i significati che vi leggiamo dentro, che quelli oggettivamente esposti dall’opera. In fin dei conti è pur sempre un film sull’arte.
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vanessa zarastro
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martedì 14 novembre 2017
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i confini dell’arte e i confini del sociale
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Un film sicuramente inusuale per molte ragioni. Per la lunghezza di due ore e mezzo (ma mi sembra che tutti i film recenti siano molto lunghi), per essere girato prevalentemente negli interni. È una sorta di “J’accuse” perché parla di senso di colpa, accusa la civilissima Svezia di grandi diseguaglianze sociali, l’arte di essere troppo lontana dalle problematiche reali ma in particolare tutti coloro che vivono attorno al mondo dell’arte: curatori di mostre, direttori di Musei, gli art directors, gli esperti di visual communication senza scrupoli, e in fondo tutti gli intellettuali che sciorinano fiumi di parole costruendo concetti ai più incomprendibili.
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Un film sicuramente inusuale per molte ragioni. Per la lunghezza di due ore e mezzo (ma mi sembra che tutti i film recenti siano molto lunghi), per essere girato prevalentemente negli interni. È una sorta di “J’accuse” perché parla di senso di colpa, accusa la civilissima Svezia di grandi diseguaglianze sociali, l’arte di essere troppo lontana dalle problematiche reali ma in particolare tutti coloro che vivono attorno al mondo dell’arte: curatori di mostre, direttori di Musei, gli art directors, gli esperti di visual communication senza scrupoli, e in fondo tutti gli intellettuali che sciorinano fiumi di parole costruendo concetti ai più incomprendibili.
Il tutto è raccontato con molto garbo e ironia. La prima parte ha un bel crescendo ed è molto divertente. Situazioni comiche si alternano a quelle grottesche come, ad esempio, il goffo rapporto sessuale tra Christian e Anne.
Christian Nielsen (il bravo Claes Bang) è il direttore del Royal Museum di Arte Contemporanea a Stoccolma. È sempre impegnato sempre nei dibattiti sui confini dell’arte, vivace sostenitore di una completa libertà di espressione. Ama i performers e i flash mob situazionisti e organizza diversi eventi nel suo museo, anche commisti in cui spesso sfugge proprio il concetto di limite del lecito e di confine dello spettacolo. A suo modo potrebbe essere considerato un avanguardista e non uno sperimentatore nel senso che l’avanguardista rompe totalmente con la tradizione. Non ha caso in un’intervista televisiva della giornalista Anne (Elisabeth Moss) parla dello stuto dellìopera d’arte nella contemporaneità e le rimanda, in qualche modo, la domanda “se metto la sua borsa esposta al museo, è arte?”. In tal modo evoca implicitamente i provocatori ready-made objects di Marcel Duchamps degli anni ’20 del Novecento. Ma lì c’era veramente qualcosa da infrangere, un peso accademico da frantumare. Oggi che senso potrebbe avere un’operazione analoga?
Christian compra, con i soldi di una pubblica sottoscrizione, un intervento urbano concettuale “The Square” che smantella i vecchi simboli e monumenti. L’artista sega il porfido stradale con un frullino e costruisce un quadrato lungo i lati vi inserisce una luminescenza. L’intervento screa uno spazio “democratico” che, come recita la targa in ottone, inneggia alla solidarietà e aiuto reciproco. “The Square” evoca il Rinascimento Italiano e le sue città ideali (Pienza?) ed è visto sempre in prospettiva centrale. Due giovani visual costruiscono un video-shock per lanciare la mostra, l’esplosione di una bionda bambina mendicante a piedi nudi, con un gattino in braccio al centro del quadrato. Il video messo su You-tube e pubblicizzato da Facebook diventa, come si dice oggi, virale suscitando però clamore e dissenso tra i seguaci del Museo.
Christian, tutto preso dal suo ruolo, da bravo borghese evita, per quanto può, la gente che gli chiede una mano e i mendicanti, che incontra per la strada.
L’unica volta che si va coinvolgere in un aiuto rimane truffato e da qui una serie di vicende che servono per mettere in rapporto due diversi strati sociali e due diverse realtà urbane che però il registra non mostra ma fa intuire. Il rapinatore abita in un edificio a torre alto 15 piani senza ascensore dove vivono molte persone multietniche.
Il cinema di Östlund parla degli uomini e, in particolare, delle loro debolezze. In Forza maggiore tutto era imperniato sulla insospettata codardia che mostra Tomas, il protagonista, nel momento della paura per l’avvento improvviso di una valanga di neve.
Giocando su silenzi e piccoli movimenti, con attenzione al dettaglio e con un design scandinavo minimalista, il regista narra una parziale presa di coscienza di un narcisista impenitente, bravissimo nel pubblico ma carente nel privato e nelle relazioni umane in generale. Il film ha vinto, meritatamente, la Palma d’oro al Festival di Cannes 2017.
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[+] non meritava la palma d'oro
(di ciccimbum)
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venerdì 1 dicembre 2017
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recensione the square
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The Square di Rubén Ostlund. Voto:7,5
Palma d'oro 2017 al festival del cinema di Cannes. A cavallo fra la mondanità di Sorrentiniana memoria (la grande bellezza) e la sferzante critica Bunueliana (l'angelo sterminatore) questo the Square è un film sul caos che imperversa nell'ordine borghese della società moderna, prima ancora che sulla gestione di una galleria d'arte. Interessantissimo anche il tema dell'emarginazione sociale in una Svezia forse troppo perfetta; il titolo the Square è proprio il nome di un'opera d'arte (un quadrato inciso sul pavimento antistante la facciata dell'edificio al cui interno tutti hanno uguali diritti e doveri) esposta nel museo diretto dal protagonista.
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The Square di Rubén Ostlund. Voto:7,5
Palma d'oro 2017 al festival del cinema di Cannes. A cavallo fra la mondanità di Sorrentiniana memoria (la grande bellezza) e la sferzante critica Bunueliana (l'angelo sterminatore) questo the Square è un film sul caos che imperversa nell'ordine borghese della società moderna, prima ancora che sulla gestione di una galleria d'arte. Interessantissimo anche il tema dell'emarginazione sociale in una Svezia forse troppo perfetta; il titolo the Square è proprio il nome di un'opera d'arte (un quadrato inciso sul pavimento antistante la facciata dell'edificio al cui interno tutti hanno uguali diritti e doveri) esposta nel museo diretto dal protagonista. La scena principe di tutta la pellicola è la spiazzante irruzione di un uomo-gorilla durante un banchetto borghese, il che rende vagamente l'idea di cosa sia questo folle film dello svedese Rubén Ostlund, già autore de l'acclamato "Forza maggiore". Un'opera importante, dalle innumerevoli sfaccettature che risulta sfilacciata e "senza meta" in una prima parte in cui imbocca più strade senza trovare mai la bussola, lasciando lo spettatore brancolante e perplesso. Peccato per la lunghezza eccessiva, perché quando decolla è di vibrante fascino tematico. Più sintetico nonché maggiormente a fuoco sarebbe stato un capolavoro!
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no_data
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giovedì 7 dicembre 2017
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il cerchio in cui è radicata la legge morale
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IL QUADRATO di Ruben Ostlund è il cerchio entro il quale è radicata la nostra Legge morale
Audace complicato intenso il film di Ruben Ostlund.
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IL QUADRATO di Ruben Ostlund è il cerchio entro il quale è radicata la nostra Legge morale
Audace complicato intenso il film di Ruben Ostlund.
Il quadrato è un’istallazione che viene montata nello spazio antistante il museo di arte moderna di Stoccolma il cui direttore è Christian il protagonista del film, esso rappresenta “un santuario di fiducia e altruismo" uno spazio all’interno del quale le persone godono di uguali diritti, sono al riparo da violenze soprusi ed aiutati da tutti .
Il film inizia con la costruzione del perimetro luminoso che servirà a delimitare tale spazio le immagini appaiono nitide essenziali la fotografia è impeccabile così come è l’aspetto del direttore del museo elegante distaccato carismatico. Ma subito accade qualcosa : Christian mentre si sta recando al museo viene derubato da uno sconosciuto del portafoglio e del telefonino. Da qui il film assume un’andamento incomprensibile e spiazzante. Il protagonista nel tentativo di recuperare il suoi beni scrive una lettera nella quale accusa il ricevente della stessa di essere un ladro invitandolo a restituire il maltolto.
Ne stampa decine di copie dopodiché si reca egli stesso nel palazzo di periferia ad imbucare la lettera nella cassetta della posta attaccata ad ogni porta dell’edificio. Fin qui il nostro protagonista è ancora all’interno del suo quadrato di quello spazio personale di civiltà e tolleranza. La risposta che ne riceve lo costringe ad uscire dal suo luogo di accettazione e perbenismo ed a poco a poco lo spettatore viene trascinato in un crescendo di angoscia e timore. Destabilizzante la scena in cui il protagonista si trova sotto casa il bambino che ostinatamente gli chiede di discolparsi con lui per l’offesa ricevuta e lui negandogli ogni gesto di scusa lo abbandonerà al buio sul pianerottolo da cui giungerà un sempre più flebile lamento ed una inevasa richiesta di aiuto.
Christian a questo punto è uscito dal quadrato del “politycal correct.”
Ora l’osservazione si fa più attenta, nulla nel film è casuale : non lo è la scelta del luogo dove il film si muove nella civilissima Svezia e ciò non solo perché il regista è svedese ma perché la Svezia rappresenta il prototipo dei paesi più socialmente progrediti in virtù della sua storia e della politica di tolleranza adottata. Non è un caso il fatto che l’azione si svolge all’interno di un museo di arte contemporanea guidata da un direttore artistico che stabilisce supportando il giudizio dei critici cosa sia arte e cosa non lo sia. Illuminante la scena dell’intervista concessa dal direttore ad una giornalista che gli chiede il significato dell’arte moderna .Chistian risponde alla domanda prendendo la borsetta della donna e ponendola all’interno di uno spazio spiegando come un qualsiasi oggetto diventi opera artistica in virtù della sua collocazione
E’ qui che il regista Ruben Ostlund ci impone una pausa di riflessione. La mia reazione al film è stata immediata e di pancia : mi è apparsa nella mente un’immagine pubblicitaria di molti anni fa che reclamizzava una nota marca di pneumatici nella quale si coglieva il mitico velocista statunitense Carl Lewis inginocchiato al blocco di partenza nell’attimo in cui stava per iniziare la gara che indossava un paio di scarpe rosse con taccpotenza non è nulla senza l’aderenza “ Era un’immagine diretta che attraversava i nostri sensi risultando immediatamente intellegibile.
Nel film la trasposizione metaforica dello spot è l’identificazione della potenza muscolare dell’atleta con la potenza della giustizia, degli uguali diritti, dell’accoglienza, della fratellanza, della compassione di tutti quei valori che a nulla servirebbero senza l’aderenza ad un progetto più profondo.
Forse è questa la provocazione/riflessione : il perimetro del quadrato potrà essere frantumato soltanto in una società laddove il comportamento dell’uomo avverrà come
scelta consapevole di non commettere ingiustizia, di non compiere il male non perché vietato e punito da una legge civile ma perché impedito dalla legge morale che come affermava Immanuel Kant è radicata dentro di noi.
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IL QUADRATO di Ruben Ostlund è il cerchio entro il quale è radicata la nostra Legge morale
Audace complicato intenso il film di Ruben Ostlund.
Il quadrato è un’istallazione che viene montata nello spazio antistante il museo di arte moderna di Stoccolma il cui direttore è Christian il protagonista del film, esso rappresenta “un santuario di fiducia e altruismo" uno spazio all’interno del quale le persone godono di uguali diritti, sono al riparo da violenze soprusi ed aiutati da tutti .
Il film inizia con la costruzione del perimetro luminoso che servirà a delimitare tale spazio le immagini appaiono nitide essenziali la fotografia è impeccabile così come è l’aspetto del direttore del museo elegante distaccato carismatico. Ma subito accade qualcosa : Christian mentre si sta recando al museo viene derubato da uno sconosciuto del portafoglio e del telefonino. Da qui il film assume un’andamento incomprensibile e spiazzante. Il protagonista nel tentativo di recuperare il suoi beni scrive una lettera nella quale accusa il ricevente della stessa di essere un ladro invitandolo a restituire il maltolto.
Ne stampa decine di copie dopodiché si reca egli stesso nel palazzo di periferia ad imbucare la lettera nella cassetta della posta attaccata ad ogni porta dell’edificio. Fin qui il nostro protagonista è ancora all’interno del suo quadrato di quello spazio personale di civiltà e tolleranza. La risposta che ne riceve lo costringe ad uscire dal suo luogo di accettazione e perbenismo ed a poco a poco lo spettatore viene trascinato in un crescendo di angoscia e timore. Destabilizzante la scena in cui il protagonista si trova sotto casa il bambino che ostinatamente gli chiede di discolparsi con lui per l’offesa ricevuta e lui negandogli ogni gesto di scusa lo abbandonerà al buio sul pianerottolo da cui giungerà un sempre più flebile lamento ed una inevasa richiesta di aiuto.
Christian a questo punto è uscito dal quadrato del “politycal correct.”
Ora l’osservazione si fa più attenta, nulla nel film è casuale : non lo è la scelta del luogo dove il film si muove nella civilissima Svezia e ciò non solo perché il regista è svedese ma perché la Svezia rappresenta il prototipo dei paesi più socialmente progrediti in virtù della sua storia e della politica di tolleranza adottata. Non è un caso il fatto che l’azione si svolge all’interno di un museo di arte contemporanea guidata da un direttore artistico che stabilisce supportando il giudizio dei critici cosa sia arte e cosa non lo sia. Illuminante la scena dell’intervista concessa dal direttore ad una giornalista che gli chiede il significato dell’arte moderna .Chistian risponde alla domanda prendendo la borsetta della donna e ponendola all’interno di uno spazio spiegando come un qualsiasi oggetto diventi opera artistica in virtù della sua collocazione
E’ qui che il regista Ruben Ostlund ci impone una pausa di riflessione. La mia reazione al film è stata immediata e di pancia : mi è apparsa nella mente un’immagine pubblicitaria di molti anni fa che reclamizzava una nota marca di pneumatici nella quale si coglieva il mitico velocista statunitense Carl Lewis inginocchiato al blocco di partenza nell’attimo in cui stava per iniziare la gara che indossava un paio di scarpe rosse con taccpotenza non è nulla senza l’aderenza “ Era un’immagine diretta che attraversava i nostri sensi risultando immediatamente intellegibile.
Nel film la trasposizione metaforica dello spot è l’identificazione della potenza muscolare dell’atleta con la potenza della giustizia, degli uguali diritti, dell’accoglienza, della fratellanza, della compassione di tutti quei valori che a nulla servirebbero senza l’aderenza ad un progetto più profondo.
Forse è questa la provocazione/riflessione : il perimetro del quadrato potrà essere frantumato soltanto in una società laddove il comportamento dell’uomo avverrà come
scelta consapevole di non commettere ingiustizia, di non compiere il male non perché vietato e punito da una legge civile ma perché impedito dalla legge morale che come affermava Immanuel Kant è radicata dentro di noi.
Elena
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maumauroma
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venerdì 8 dicembre 2017
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the square
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Della vita del signor Christian non conosciamo molto. Sappiamo solo che fa il curatore presso il museo di arte moderna di Stoccolma, che e' separato o divorziato, che ha due giovani figliolette, e che se la passa piuttosto bene visto che abita in una bella casa e che scorazza lungo le strade della citta' svedese a bordo della sua potente e silenziosa auto elettrica. Christian svolge il suo lavoro con diligenza e precisione anche se con una patina di noia imposta dalla routine quotidiana. Ma il furto con destrezza subito una mattina mentre cammina in mezzo alla folla in una via di Stoccolma, il furto del suo cellulare, del suo portafoglio e dei preziosi gemelli della camicia, sara' destinato a cambiare le sue abitudini di vita e i rapporti con i suoi simili.
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Della vita del signor Christian non conosciamo molto. Sappiamo solo che fa il curatore presso il museo di arte moderna di Stoccolma, che e' separato o divorziato, che ha due giovani figliolette, e che se la passa piuttosto bene visto che abita in una bella casa e che scorazza lungo le strade della citta' svedese a bordo della sua potente e silenziosa auto elettrica. Christian svolge il suo lavoro con diligenza e precisione anche se con una patina di noia imposta dalla routine quotidiana. Ma il furto con destrezza subito una mattina mentre cammina in mezzo alla folla in una via di Stoccolma, il furto del suo cellulare, del suo portafoglio e dei preziosi gemelli della camicia, sara' destinato a cambiare le sue abitudini di vita e i rapporti con i suoi simili. Come una sorta di moderno Virgilio, a sua insaputa, al tempo stesso protagonista, complice e vittima, Christian ci condurra' con la sua Tesla, non tra i gironi e le bolge dove si dibattono le anime dei dannati, ma in un altro inferno, quello del mondo dei vivi di oggi, in particolar modo il mondo dei paesi ricchi, tra le indifferenze e le diffidenze verso gli emarginati, tra gli abissi di egoismo che separano benessere e poverta', tra le difficolta' di interrelazionarsi tra le persone e tra i sessi, un mondo dove la fiammella della creativita' artistica si e' fatta con gli anni sempre piu' flebile, quando mucchietti di argilla espansa posti con regolarita' spaziale sul pavimento della sala di un museo o un piccolo quadrato di luce entrando al cui interno ogni essere umano puo' godere di diritti e dei doveri che gli sono preclusi nella societa' esterna,sono li' a rappresentare il decadimento e la precarieta' del nostro vivere, tra finzioni e manierismi , quando la arida razionalita' soffoca la naturalezza dei rapporti tra gli esseri umani. Il bel film di Ruben Ostlund, giustamente premiato a Cannes, omologato come commedia drammatica, e' in realta' molto di piu'.
Il regista svedese lancia il suo atto di accusa verso questa societa' alternando il fioretto alla mannaia. Per tutta la lunga durata del film. aleggia una tensione e una suspence ottenuta con quasi subliminali spostamenti della macchina da presa che tengono avvinto lo spettatore, incollandolo alla poltrona. La lunga e splendida scena della cena di gala ne e' una lampante dimostrazione. La fotografia un po' sbiadita come simbolo dello scolorimento delle anime. Belle le musiche suggestivamente riadattate di Bach e di Gounod. Bravi gli attori. Peccato solo per un finale un po' didascalico e sbrigativo. Ma quella pura vocina di bimbo che ci chiede aiuto restera' a lungo nella memoria e nella coscienza
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no_data
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lunedì 13 novembre 2017
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reale, troppo reale.
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Splendido film, forse è un po' sovraccarico e lungo, ma splendido. Uno sguardo poetico sul mondo nonostante tutto. Fulminante lo slogan dell' attivista per i diritti umani: "vuoi salvare una vita?" a cui il passante frettoloso risponde "No grazie.", mentre lì vicino un barbone si accascia per strada e nessuno lo vede o forse lo vedono tutti. E poi la riflessione sull'utilità/ inutilità dell'arte, sul cinismo e il bel pensare nonostante le scelte ideologiche del politicamente corretto dicano il contrario. E poi la belva umana che si esibisce alla festa dei ricchi: teatro iperreale nella dimensione della finzione filmica. Reale, troppo reale da sfiorare lo stupro. E ancora la dimensione del chiedere aiuto ad un'umanità ormai incapace di darlo, ma mai perdere la speranza.
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cardclau
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mercoledì 15 novembre 2017
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fin troppo facile ...
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Non si può condividere il pessimismo cosmico di Ruben Östlund. Fin troppo facile suggerire che siamo nella merda, rivoltandosi allegramente nel proprio brago, senza usare il media filmico anche come mezzo per suggerire una via di scampo alla desolazione. Shakespeare l'aveva affermato più nobilmente quando aveva fatto dire ad Amleto: "... il mondo è uscito dai cardini ...". Certo gli attori sono bravi a dare il senso che tutto è perduto, ma la storia sembra peggio della campagna di Albania nella seconda guerra mondiale, che aveva fatto esclamare a Churchill: "l'ultimo esercito del mondo, quello greco, ha sconfitto il penultimo, l'italiano.
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Non si può condividere il pessimismo cosmico di Ruben Östlund. Fin troppo facile suggerire che siamo nella merda, rivoltandosi allegramente nel proprio brago, senza usare il media filmico anche come mezzo per suggerire una via di scampo alla desolazione. Shakespeare l'aveva affermato più nobilmente quando aveva fatto dire ad Amleto: "... il mondo è uscito dai cardini ...". Certo gli attori sono bravi a dare il senso che tutto è perduto, ma la storia sembra peggio della campagna di Albania nella seconda guerra mondiale, che aveva fatto esclamare a Churchill: "l'ultimo esercito del mondo, quello greco, ha sconfitto il penultimo, l'italiano. I personaggi sono avvolti da un nascisimo quasi assoluto, da un individualismo notevole, da una anaffettività impenetrabile, da una incapacità di distinguere il bene dal male, in un mondo dove la relazione maschio-femmina, dal piacere e dal desiderio, è diventata un nonsense, dove l'arte è diventata una impudica sgualdrina al solo servizio del mercato, dove un paio di giovinastri che "conoscono il mondo d'oggi", a cui è stata data la patente di guida da persone mature solo anagraficamente, per motivare l'interesse della gente, mostrano la bischerata pazzesca di mostrare una piccola bambina, mendicante, ma biondo svedese, che salta in aria quando entra nel sacro recinto, dove tutti dovrebbero condividere stessi diritti e doveri, dove l'amore dovrebbe regnare sovrano. Certo viene evocata poi una valanga di proteste, ma solo di pancia, perché nel confronto con i giornalisti, alle necessarie dimissioni di Christian, vengono messe in dubbio per la necessaria libertà di espressione. Certo il buon Östlund, come noi, è un privilegiato, và ogni sera a letto con la pancia piena. E allora ripensiamo al nostro mondo, un po' più seriamente.
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flyanto
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giovedì 16 novembre 2017
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l'utopia del quadrato
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Dopo "Forza Maggiore" ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane il regista Ruben Ostlund con la sua ultima opera intitolata "The Square".
Il quadrato a cui il titolo fa riferimento è il lavoro di un'artista argentina che nel film viene collocata davanti ad un museo di arte contemporanea a Stoccolma e che simboleggia un luogo ideale dove tutti gli individui godono degli stessi diritti.
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Dopo "Forza Maggiore" ritorna in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane il regista Ruben Ostlund con la sua ultima opera intitolata "The Square".
Il quadrato a cui il titolo fa riferimento è il lavoro di un'artista argentina che nel film viene collocata davanti ad un museo di arte contemporanea a Stoccolma e che simboleggia un luogo ideale dove tutti gli individui godono degli stessi diritti. Il protagonista del film è il direttore del suddetto museo: un uomo di circa 40 anni, o poco più, di bell'aspetto, colto, raffinato, insomma molto 'charmant', che si adopera al fine di promuovere gli artisti contemporanei e le loro opere. In seguito ad un furto molto ben architettato nel corso del quale egli viene derubato del proprio portafoglio e cellulare ed essendo poi riuscito ad individuare la locazione del palazzo dove risiede il ladro, il protagonista si reca nel suddetto stabile ed inserisce una sorta di lettera intimidatoria in tutte le cassette della posta di tutti gli appartamenti al fine di farsi restituire l'intero maltolto. Vi riesce ma da questo momento in poi la sua esistenza cambierà notevolmente in seguito ad una serie di problematiche sorte inevitabilmente in conseguenza al suo gesto.
"The Square" è un film originale e 'scomodo' allo stesso tempo perchè affronta in maniera ironica e poco politicamente corretta una tematica, purtroppo, quanto mai vera e cruda. L'utopia del quadrato che simboleggia l'ideale uguaglianza che dovrebbe esistere tra tutti gli esseri umani è, appunto, irreale perchè non esiste affatto in quanto la società contemporanea tende sempre di più a discriminare. Ostlund giudica la società svedese, ma il discorso riguarda tutte le società contemporanee, in apparenza evoluta e 'civile' quando in realtà è, invece, egoista, cattiva, se non addirittura violenta, ed indifferente a tutto ciò che in qualche modo potrebbe ostacolare il proprio cammino verso un auspicato benessere. Il protagonista del film simboleggia nella sua individualità la società contemporanea generale e pertanto da un discorso sul singolo il regista si sposta a quello più corale. Come nel suo precedente "Forza Maggiore" , anche in "The Square" Ostlund fa precipitare il comportamento di un individuo in seguito ad un avvenimento fortuito ma, se nella prima pellicola il discorso negativo sulla natura umana era rivolto solo ad un singolo individuo, nella second, ripeto, il discorso e l'accusa investe una portata più ampia che investe, appunto, l'intera società degli esseri umani.
Giustamente premiato con la Palma d'Oro all'ultimo Festival del Cinema a Cannes quest'anno, "The Square" risulta un film del tutto encomiabile sia per soggetto che impostazione generale, ma non per tutti data la sua presentazione fortemente provocatoria.
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goldy
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venerdì 10 novembre 2017
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montagna di noia
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Si intuisce che le intenzioni del regista sono di stampo nobile e assolutament condivisibili ma quanta confusione narrativa! Troppa carne al fuoco nel denunciare mali europei che ci riguardano tutti ma occorre sapene scegliere alcuni nodi e poi svilupparli in modo coinvolgente. Quì siamo in presenza di una montagna di noia. Classico film da festival con 'pluritematiche criptiche carico di simbolismi grevi che in genere piacciono molto ai giurati che infatti , per non sbagliare a futura memoria, hanno premiato con la Palma D'Oro. E' probabile che ora sceso nell'arena pubblica venga ridiimensionato come merita. .
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