tom87
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domenica 5 marzo 2017
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una lieve fusione tra docu-film, fiction, fiaba
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Dopo dodici anni Luc Jacquet ritorna sui luoghi già esplorati del primo film: “La marcia dei pinguini”. Come nella prima pellicola (Oscar come miglior documentario e alti incassi), il regista riutilizza le stesse formule: lunghi appostamenti e pedinamenti dei pinguini, senza rompere la naturalezza della loro vita; umanizzazione degli animali e antropomorfismo vocale; coinvolgimento emozionale; divulgazione scientifica per far capire e far riflettere; e ancora quella voglia di analizzare di nuovo gli impervi e glaciali habitat del pinguino Imperatore. Come novità interessante c’è la sperimentazione di nuove tecnologie di riprese per scene sempre più spettacolari ed immaginifiche (ad esempio, i totali degli spiazzi antartici pieni di pinguini; le riprese subacquee; la fotografia di Vincent Munier, luminosa e in 4K).
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Dopo dodici anni Luc Jacquet ritorna sui luoghi già esplorati del primo film: “La marcia dei pinguini”. Come nella prima pellicola (Oscar come miglior documentario e alti incassi), il regista riutilizza le stesse formule: lunghi appostamenti e pedinamenti dei pinguini, senza rompere la naturalezza della loro vita; umanizzazione degli animali e antropomorfismo vocale; coinvolgimento emozionale; divulgazione scientifica per far capire e far riflettere; e ancora quella voglia di analizzare di nuovo gli impervi e glaciali habitat del pinguino Imperatore. Come novità interessante c’è la sperimentazione di nuove tecnologie di riprese per scene sempre più spettacolari ed immaginifiche (ad esempio, i totali degli spiazzi antartici pieni di pinguini; le riprese subacquee; la fotografia di Vincent Munier, luminosa e in 4K). Un’opera ben realizzata e godibile, dunque; che alla fine assomiglia ad una tenera fiaba che non può non commuovere, ancora un’altra volta...
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Dopo dodici anni Luc Jacquet ritorna sui luoghi già esplorati del primo film: “La marcia dei pinguini”. Come nella prima pellicola (Oscar come miglior documentario e alti incassi), il regista riutilizza le stesse formule: lunghi appostamenti e pedinamenti dei pinguini, senza rompere la naturalezza della loro vita; umanizzazione degli animali e antropomorfismo vocale; coinvolgimento emozionale; divulgazione scientifica per far capire e far riflettere; e ancora quella voglia di analizzare di nuovo gli impervi e glaciali habitat del pinguino Imperatore. Come novità interessante c’è la sperimentazione di nuove tecnologie di riprese per scene sempre più spettacolari ed immaginifiche (ad esempio, i totali degli spiazzi antartici pieni di pinguini; le riprese subacquee; la fotografia di Vincent Munier, luminosa e in 4K).
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Dopo dodici anni Luc Jacquet ritorna sui luoghi già esplorati del primo film: “La marcia dei pinguini”. Come nella prima pellicola (Oscar come miglior documentario e alti incassi), il regista riutilizza le stesse formule: lunghi appostamenti e pedinamenti dei pinguini, senza rompere la naturalezza della loro vita; umanizzazione degli animali e antropomorfismo vocale; coinvolgimento emozionale; divulgazione scientifica per far capire e far riflettere; e ancora quella voglia di analizzare di nuovo gli impervi e glaciali habitat del pinguino Imperatore. Come novità interessante c’è la sperimentazione di nuove tecnologie di riprese per scene sempre più spettacolari ed immaginifiche (ad esempio, i totali degli spiazzi antartici pieni di pinguini; le riprese subacquee; la fotografia di Vincent Munier, luminosa e in 4K). Un’opera ben realizzata e godibile, dunque; che alla fine assomiglia ad una tenera fiaba che non può non commuovere, ancora un’altra volta...
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