wolvie
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lunedì 13 aprile 2020
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siamo alle solite
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Film di Soderbergh ne' ho visti anche diversi, eppure non mi convince mai, mi ricordo ancora le aspettative per "Out of Sight", ma ci risiamo, sopravviene la noia, e neppure troppo tardi. Il glamour degli inizi ha lasciato spazio a storie più approfondite, ma è sempre il meccanismo ad orologeria che deve funzionare. Certo possiamo lanciarci in analisi socio cinematografiche sull' America " trumpier than Trump", ma a che pro ? Io guardo un film che a parte pochi momenti ( la rissa nel bar ad esempio) si lancia in spiegoni verbali al limite del tarantinismo. Infatti scrive bene Pier Maria Bocchi nella sua recensione: "....puo' accadere qualunque cosa che sembra non accada mai nulla...
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Film di Soderbergh ne' ho visti anche diversi, eppure non mi convince mai, mi ricordo ancora le aspettative per "Out of Sight", ma ci risiamo, sopravviene la noia, e neppure troppo tardi. Il glamour degli inizi ha lasciato spazio a storie più approfondite, ma è sempre il meccanismo ad orologeria che deve funzionare. Certo possiamo lanciarci in analisi socio cinematografiche sull' America " trumpier than Trump", ma a che pro ? Io guardo un film che a parte pochi momenti ( la rissa nel bar ad esempio) si lancia in spiegoni verbali al limite del tarantinismo. Infatti scrive bene Pier Maria Bocchi nella sua recensione: "....puo' accadere qualunque cosa che sembra non accada mai nulla....", lo scrive con cognizione di causa positiva, invece io ribalto il concetto in senso negativo. Sembra proprio che non succeda nulla durante tutta la visione del film. La costruzione visiva rende emotivamente piatto il film.
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venerdì 13 marzo 2020
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sono d’accordo
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Sono d’accordo brava Marzia gandolfi
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onufrio
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mercoledì 15 gennaio 2020
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la maledizione dei logan
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Licenziato dal proprio lavoro per via di una gamba offesa ed omessa ai titolari della ditta, Jimmy Logan, promettente giocatore di football americano stroncato da un brutto infortunio e con alle spalle un matrimonio ed una figlia alla quale è molto legata, decide di organizzare il colpo perfetto durante la gara automobilistica delle Nascar. Per attuare il piano si avvale del fratello e della sorella, assieme alla collaborazione di un altro trio di fratelli, capitanati dal galeotto Joe Bang (Un Daniel Craig in versione Terence Stamp). A primo impatto, vedendo i personaggi, non ci punteresti neanche un euro sulla probabile riuscita del colpo. Film indipendente realizzato da Soderbergh.
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fabio
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venerdì 27 dicembre 2019
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nientedicchè
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Il meccanismo non gira come sperato. Ne risulta un film tanto poco verosimile, e sarebbe il minor problema, quanto noioso: il vero problema.
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felicity
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lunedì 31 dicembre 2018
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l'america di trump allo stato puro
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Logan Lucky ci mostra un mondo rovesciato dove la working class non è più umiliata e arresa, ma è capace di mettere il proprio ingegno a servizio di un atto di redistribuzione del patrimonio. E i poveri elettori di Trump del Sud degli Stati Uniti non sono affatto degli stupidi.
E' uno sguardo onesto sull’America ferita, che si ingegna per sopravvivere.
Sono lontani i tempi di Ocean's Eleven, del resto sono passati quasi vent'anni, e l'America non è più quella scintillante di allora.
Qui siamo in pieno proletariato e qui l'urgenza è per un film politico a suo modo.
Un gioiellino, da vedere.
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andreagiostra
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domenica 17 giugno 2018
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la genialità all'opera!
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Fantastico film di Steven Soderbergh, che dopo quattro anni di assenza, ritorna alla grande con un film sceneggiato dalla bravissima Barbara Munch. Uno spaccato dell’America contemporanea, vittima anche lei della crisi economica e della perdita di posti di lavoro, che spazia con maestria e leggerezza tra i sogni ad occhi aperti delle giovani generazioni statunitensi: concorsi di bellezza per ragazzine per raggiungere il successo e il danaro, corse automobilistiche illegali per scatenare adrenalina, facili guadagni da realizzare con la rapina del secolo.
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Fantastico film di Steven Soderbergh, che dopo quattro anni di assenza, ritorna alla grande con un film sceneggiato dalla bravissima Barbara Munch. Uno spaccato dell’America contemporanea, vittima anche lei della crisi economica e della perdita di posti di lavoro, che spazia con maestria e leggerezza tra i sogni ad occhi aperti delle giovani generazioni statunitensi: concorsi di bellezza per ragazzine per raggiungere il successo e il danaro, corse automobilistiche illegali per scatenare adrenalina, facili guadagni da realizzare con la rapina del secolo. Sono questi gli ingredienti che non tradiscono di questa bella narrazione del duo Soderbergh Munch, che vede protagonisti attori bravissimi, sequenze ben ritmate e una fotografia accompagnata da belle musiche che certamente coinvolgono lo spettatore.
Il film, più che le vicende di una rapita del quale esito lo spettatore saprà al cinema, racconta la quotidianità di un pezzo di America sprofondata nella crisi, dalla quale potrà uscirne solo contando sulle proprie risorse creative e di solidarietà. Una narrazione che esalta la genialità e la creatività di uomini e donne alle quali la cultura massificata occidentale non dà, e non darebbe mai, alcuna opportunità meritocratica per scalare il successo e arrivare al benessere.
Jimmy Logan (Channing Tatum), ex promessa di football americano che ha dovuto lasciare per un infortunio alla gamba divenuta claudicante, insieme al fratello Clyde Logan (Adam Driver), combattente in Iraq dove ha perso il braccio sinistro, e alla sorella Mellie (Riley Keough), una parrucchiera ossessionata dalle automobili, decidono di organizzare una rapina per uscire dalle sventure familiari, dalla maledizione che li perseguita e dalla crisi economica che li attanagliano. Per realizzarla hanno però bisogno del miglior scassinatore che conoscono, Joe Bang (Daniel Craig), esperto di esplosivi detenuto in carcere.
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luca_1968
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domenica 17 giugno 2018
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fidatevi del titolo...
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... nel corso di 2 ore interminabili, la truffa indicata nel titolo si concretizza in maniera inarrestabile...
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loland10
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giovedì 14 giugno 2018
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maledetti...logan
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“La truffa dei Logan” (Logan Lucky, 2017) è il ventinovesimo lungometraggio del regista-produttore di Atlanta Steven Sodebergh
(Presentato al Festival di Roma e distribuito nelle sale (a giugno) dopo sette mesi. Nulla da obiettare ma intanto il film naviga tranquillamente su internet e scaricabile facilmente).
Cinema tipicamente da commedia truce-documento dove ogni gusto per l’incastro, la ‘suspense’, la messa in scena e il colpo da teatro pare perdersi in chiacchiere e cazzeggi, velleità e scherzi miserevoli.
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“La truffa dei Logan” (Logan Lucky, 2017) è il ventinovesimo lungometraggio del regista-produttore di Atlanta Steven Sodebergh
(Presentato al Festival di Roma e distribuito nelle sale (a giugno) dopo sette mesi. Nulla da obiettare ma intanto il film naviga tranquillamente su internet e scaricabile facilmente).
Cinema tipicamente da commedia truce-documento dove ogni gusto per l’incastro, la ‘suspense’, la messa in scena e il colpo da teatro pare perdersi in chiacchiere e cazzeggi, velleità e scherzi miserevoli.
Smosso e scapestrato, il film segue, come un documentario senza un vero set, il graminaceo volto di un’America smorta, spenta, colorata e cambiata. Tutto quello che si ridisegna per una reunion di fratelli e amici per un colpo ‘morale’ (così viene detto) sa di radere la barba alle ultime velleità di un ‘sogno’ perduto per sempre. Il gigionare di ‘Ocean’s eleven’ è finito e i lustrini, le vetrine, i sorrisi, gli ammiccamenti e il denaro sovrappiù sono riposte in un magazzino introvabile: qui il regista si adopra alla migliore causa e con un meccanismo scanzonato, sciatto, leggero e, spudoratamente, grezzo scaraventa il suo Paese verso un reale acerbo, misero e tristemente ridanciano. Un ‘politico’ documento di avvezzi volti presi per la strada e di prime figure che fintamente recitano. Ecco che la pellicola di Sodebergh mescola tutti i personaggi in un turbilliion di macchiettismo greve e leggero con una ‘gran parvenza’ intelligente e furba di presa in gira del ‘sistema a stelle e strisce’. E la bandiera americana che plana prima dell’inizio della gran corsa pare un manifesto aleatorio e disdicevole di quello che è rimasto in un Paese che non riesce a ritrovarsi. E, come volevasi dimostrare senza calcare con evidenza, il trumpismo sgomma in ogni ruota e spaventa le migliaia di spettatori che assiste ad uno spettacolo e si sente solo il silenzo di un sistema in frana.
John Denver e la sua ‘portatemi a casa, strade di campagna’ (‘Take me home, country roads’: ‘…Strade di campagna, portatemi a casa, al luogo a cui appartengo, Virginia occidentale, mamma montagna, portatemi a casa, strade di campagna…’) catapulta il film in una nostalgia retrò e in un senso di appartenenza ‘viscerale’ perso e forse per sempre abbandonato. Il gioco musicale di pezzi da ‘leggenda’ ammaestra ogni situazione e in modo ‘free’ miscela considerazioni sociali, mondo periferico, personaggi squinternati e maestranze sconclusionate senza un pari e patta, ma un groviglio, o speri che sia, dove ogni cosa pare al suo posto. Un Paese e i suoi incontri cosi sciatti e così casuali che liberano fantasia nella maledizione dei Logan e contorni.
Jimmy Logan (e la sua gamba zoppicante) e Clyde Logan (veterano dell’Iraq e senza un braccio) hanno l’idea strana di organizzare una rapina. Una rapina in pieno giorno e con una corsa automobilistica con migliaia di persone. Un qualcosa di impossibile per la sfortuna famigliare dei Logan con tutti i problemi attorno: separazione, licenziamento e prese in giro continue. Ma arrivano l’aiutante Joe Bang (Daniel Craig) e altri brutti tipi che hanno in mente la ‘morale’ anche sulle rapine. Non c’è che dire. Un mondo rurale, di confine, di pochissima considerazione che sa di rivincita in una bandiera a stelle-e-strisce che fagocita ogni pensiero di qualsiasi tipo.
Clyde a Joe: ‘la maledizione dei Logan è vinta’ possiamo brindare al presente. ‘Ma io penso al futuro’ chiosa Joe. Una presa in giro fino alla fine con sguardi e modi scriteriati e spensierati. Il truce diventa bello.
Leggero e sincopato, telefilm soporifero e pasticcio-so, aggrovigliato e sporco, monco e scafato, nulla da un passaggio per una schiettezza viscosa.
Operazione nostalgia di un presente mai visto. Ostentare la povertà , quasi il ribrezzo di una America che ha bisogno di pace.
Geometricamente sconclusionato, persone senza senno, vigore ottuso e carceri inarrivabili. Ognuno protegge se stesso e mai dire che qualcuno possa fuggire. Qui non è mai scappato nessuno, figurarsi poi fare una rapina e rientrare. Ecco che il ruolo che si ha è già difesa di se stesso. La divisa, l'atteggiamento, il fervore, il linguaggio assecondano un paese e una provincia slabbrata, disunita, impolverata e priva di qualsiasi stasi temporale.
Assonnati e tristi, veloci e, quasi, organizzati. Poi fermare una vecchietta per una multa per chi va a 160... miglia è solo normale. Il rifarsi ai vezzi degli attori e Daniel Craig che dallo Bond spericolato e con licenza tutta, passa ad un ridanciano galeotto che non conosce serietà facciale. Una faccia da schiaffi.
Non è un uovo sbattuto ma una storia con visti stracotti. E la chimica spicciola fa aprire il varco mentre le ‘capre’ illuminate sbrodolando a destra a manca riescono ad avere il senno di un finale possibile.
Cast variegato e multi rughe, colorato e spensierato. Dai vicoli spenti de ‘I soliti ignoti’ alle polveri (bagnate) della Virginia. Channing Tatum,Adam River,Daniel Craig eRiley Keough regalano al film e a noi un intrattenimento efficace e persuasivo. Regia (ri)cercata e (con) navigata(ore).
Voto: 7+/10 (***½)
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gdm
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lunedì 11 giugno 2018
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delusione
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Resto sempre deluso quando un regista (anche teoricamente dotato) ha in mano una storia con un paio di spunti buoni, che in mano a uno sceneggiatore di serie tv ne farebbe uscire un ottimo episodio, e invece sforna un film noioso. Suprema colpa per il cinema. Sgangherato, sopra le righe, macchiettistico, slegato. Quando sarebbe bastato saper scovare il filo conduttore e saperlo raccontare con umile mestiere. Mi ricorda la delusione di "Burn after reading" , quindi se vi piacque quello, accomodatevi. E viceversa. Peccato
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carlosantoni
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domenica 10 giugno 2018
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invalidi e coatti, ma vincenti.
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Avete presente i film di Spielberg, l’America descritta dai suoi film? Avete presente i suoi personaggi, quasi sempre centrati sull’americano di classe media, sul buon cittadino, a volte eroe, di orientamento liberal, quindi imperialista ma “progressista”? Ecco, l’America che Soderberg ci racconta in questo film è tutt’altra, così com’è altra, in genere l’America profonda dei film dei fratelli Cohen, o che McDonagh ultimamente ha raccontato nel suo “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”.
Soderberg ci parla di un’America fatta di povera gente, che vive in case da poco, che ha una vita da poco, dove si è licenziati perché nonostante si sappia fare il proprio lavoro, si è claudicanti, dove non esiste protezione sanitaria, dove si finisce in galera per aver infranto con la propria auto una vetrina, dove il direttore di un carcere si comporta come il direttore di un Lager.
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Avete presente i film di Spielberg, l’America descritta dai suoi film? Avete presente i suoi personaggi, quasi sempre centrati sull’americano di classe media, sul buon cittadino, a volte eroe, di orientamento liberal, quindi imperialista ma “progressista”? Ecco, l’America che Soderberg ci racconta in questo film è tutt’altra, così com’è altra, in genere l’America profonda dei film dei fratelli Cohen, o che McDonagh ultimamente ha raccontato nel suo “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”.
Soderberg ci parla di un’America fatta di povera gente, che vive in case da poco, che ha una vita da poco, dove si è licenziati perché nonostante si sappia fare il proprio lavoro, si è claudicanti, dove non esiste protezione sanitaria, dove si finisce in galera per aver infranto con la propria auto una vetrina, dove il direttore di un carcere si comporta come il direttore di un Lager. Dove la solidarietà la puoi trovare soltanto in carcere: il carcere dunque sembra essere l’unico luogo davvero sociale dell’Impero Americano.
“La truffa dei Logan” è un racconto comico i cui personaggi principali sono tutti un po’ tonti, un po’ coatti, un po’ dropout, mangiatori di continue schifezze, imbarbariti da un nazionalismo sciovinista (che poi è la cifra dei film di Spielberg: solo che qui è declinato negativamente) e dalla durezza dei rapporti sociali: sono probabilmente elettori convinti di Trump.
Il cast è un punto di forza, e così direi la fotografia. Interessantissima la chiusura, con quella sbicchierata che sembra (sembra?) alludere ad un generale Happy End… Ma poi lo è veramente, un Happy End? Quella tipa dell’FBI ripresa di spalle (ma si capisce benissimo che di lei si tratta!) ha un sorriso ambiguissimo, mentre pronuncia la frase conclusiva, e non si può sapere a che gioco giocherà… perché il film finisce lì!
Vedetelo, e sorridetene: è una discreta rivisitazione dell’American Dream.
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