Dove cadono le ombre

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Un film di Valentina Pedicini. Con Elena Cotta, Federica Rosellini, Josafat Vagni, Lucrezia Guidone.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 95 min. - Italia 2017. - Fandango uscita mercoledì 6 settembre 2017. MYMONETRO Dove cadono le ombre * * * - - valutazione media: 3,25 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

DOVE CADONO LE OMBRE, ALIENAZIONE DAL TEMPO

di Matt From Nothing


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giovedì 6 gennaio 2022

Anna e Hans sono cresciuti in un orfanotrofio.
Come loro altri migliaia di bambini di etnia Jenisch. Allontanati dalle famiglie, sterilizzati e coinvolti in esperimenti eugenetici. Questo è stato il progetto di pulizia etnica operato in Svizzera tra il 1926 e il 1973 dalla fondazione per l'infanzia Pro-Juventute.
Anna e Hans però non se ne sono mai andati. L'orfanotrofio adesso è diventato una casa di riposo e loro lavorano lì. Con l'arrivo in struttura di Geltrud, responsabile del progetto eugenetico, la narrazione procede su due livelli. Lenti flashback sull'infanzia dolorosa di Anna e degli altri bambini si alternano alla nuova quotidianità ancora segnata da soprusi simili, stavolta operati da lei su Hans e gli ospiti della struttura. Soprattutto verso Gertrud.
Il focus del film è proprio sulla relazione vittima-carnefice tra Anna e Gertrud. Adesso è Gertrud a trovarsi in subalternità e Anna ne approfitta ma è evidente anche il potere che prima esercita ancora dopo 14 anni su Anna.

Come in ogni altro film incentrato sulla relazione vittima-carnefice, il trauma è fondamentale per definire e comprendere ma “Dove cadono le ombre” va molto oltre.
La narrazione ferma sul trauma alimenta il mito della metamorfosi manichea della vittima in carnefice. Mito portato avanti soprattutto dal revenge movie hollywoodiano. Come se ci fosse un salto mitico e manicheo da un'essenza pura e innocente a un'essenza malvagia.
Invece questo racconto della relazione vittima-carnefice dentro il contesto dell'istituzione totale permette una visione ampia e molti più spunti.
Vittima e carnefice sono innanzitutto attori sociali. La loro relazione è scandita da pratiche, dispositivi di controllo e rituali. Nel film si vede benissimo. I corpi dei personaggi parlano da soli, nei minimi particolari coreografici. Anna è perseguitata dai traumi della sua contenzione infantile e allo stesso tempo opera dentro una struttura di contenzione della vecchiaia.

Il dramma di Anna bloccata nel suo loop tra lo spazio e il tempo è un'anticamera dell'organizzazione istituzionale e disciplinare del tempo di vita.
A metà tra cinema e teatro, anche il luogo parla da solo. L'istituzione totale è l'anello di congiunzione tra passato e presente per Anna. Un anello che si fa sempre più cupo e spettrale fino a diventare un vortice che destabilizza.
Su una scala più ampia, anello di congiunzione tra infanzia e vecchiaia.

La trappola di Anna è l'alienazione dal proprio tempo.
Il tempo di sé sacrificato sull'altare della scienza eugenetica. Il controllo biopolitico e lo sterminio eurocentrico di una minoranza passano anche attraverso l'imposizione del tempo.
La temporalità occidentale, gerarchica e disciplinare. L'età socialmente costruita è la sua cifra.
Infanzia e vecchiaia sono gli estremi di questa linea.
Se una serie di soprusi che adesso definiremmo abusi verso l'infanzia sono stati compiuti in nome di questa infanzia, allora è proprio questa categoria di infanzia ad essere problematica. Quale infanzia?
Il discorso sull'infanzia è ancora, spesso, eurocentrico ed escludente.
Ai jenisch non è stata “tolta un'infanzia”. Ai jenisch è stata imposta un'infanzia. Un'infanzia svizzera “per bene”, lontana da costumi e pratiche ritenuti devianti.

La memoria può essere un atto importante di ricerca, ricostruzione della propria storia e riappropriazione del proprio tempo, ma la ricerca di Anna è una marcia indietro frustrata e ossessiva che non conosce prospettiva. Sempre più indietro. Sempre più indietro.
Sempre più dentro la sua trappola.

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