alex2044
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sabato 11 novembre 2017
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un film da vedere perchè diverso
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Un film da vedere perchè diverso e forse perfino fuori moda ma per niente noioso . Anzi con lo scorrere del tempo l'attenzione e l'interesse aumentano . Sotto il cielo di una Torino appena accennata due personalità che si sentono incompiute , si cercano , si trovano e poi si lasciano, quasi senza volerlo . Il tutto in un'atmosfera priva di retorica dove , anche i sentimenti , sono trattati con leggerezza . I sorrisi sono accennati e le lacrime sono vere e sincere ma non preludono a nessuna tragedia . C'est la vie con le sue gioie e le sue delusioni ma rifugge dall'egoismo e ci ricorda che il nostro io non può prevaricare quello degli altri , creando delle vittime innocenti .
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Un film da vedere perchè diverso e forse perfino fuori moda ma per niente noioso . Anzi con lo scorrere del tempo l'attenzione e l'interesse aumentano . Sotto il cielo di una Torino appena accennata due personalità che si sentono incompiute , si cercano , si trovano e poi si lasciano, quasi senza volerlo . Il tutto in un'atmosfera priva di retorica dove , anche i sentimenti , sono trattati con leggerezza . I sorrisi sono accennati e le lacrime sono vere e sincere ma non preludono a nessuna tragedia . C'est la vie con le sue gioie e le sue delusioni ma rifugge dall'egoismo e ci ricorda che il nostro io non può prevaricare quello degli altri , creando delle vittime innocenti . Visconti e Antonioni ? La lezione è stata molto ben compresa da Paolo Franchi e si nota nel profondo rispetto per i dettagli , fosse anche solo l'arredamento di una casa o le tonalità di un vestito e nella descrizione del sentimento molto umano di chi non ha paura di scavare nel proprio intimo . Emmanuelle Devos è intensissima la vera colonna portante di tutto il film .Fabrizio Gifuni , come sempre bravo e preciso nella parte . Giulio Brogi è Giulio Brogi , caustico ed antipatizzante il giusto e quindi perfetto . Una nota per Isabella Briganti , in una parte breve ma intensa , una sorpresa . Fra i protagonisti si può mettere anche la bellissima villa moderna cui se avessi le possibilità non disdegnerei farci un pensierino .
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valterchiappa
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martedì 24 ottobre 2017
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dare casa alla passione
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Può la passione sovvertire le nostre vite? Seppure l’abbiamo riposta rinunciandovi, nel difficile lavoro quotidiano di cercare un possibile equilibrio, siamo capaci di tacitarla per sempre? Sono le domande che Paolo Franchi si e ci pone nel raccontare la storia d’amore di “Dove non ho mai abitato”.
Manfredi, famoso architetto torinese (Giulio Brogi), ha un infortunio che lo allontana dal lavoro. La figlia Francesca (Emmanuelle Devos), trasferitasi a Parigi da vent’anni, si trattiene per assisterlo. Il padre, che le rinfaccia continuamente di aver abbandonato la professione ed il suo talento, la coinvolge suo malgrado nel progetto di una villa per due ricchi sposini (Fausto Cabra e Giulia Michelini), affiancandola al suo più fidato collaboratore, Massimo (Fabrizio Gifuni), con grande disappunto di quest’ultimo.
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Può la passione sovvertire le nostre vite? Seppure l’abbiamo riposta rinunciandovi, nel difficile lavoro quotidiano di cercare un possibile equilibrio, siamo capaci di tacitarla per sempre? Sono le domande che Paolo Franchi si e ci pone nel raccontare la storia d’amore di “Dove non ho mai abitato”.
Manfredi, famoso architetto torinese (Giulio Brogi), ha un infortunio che lo allontana dal lavoro. La figlia Francesca (Emmanuelle Devos), trasferitasi a Parigi da vent’anni, si trattiene per assisterlo. Il padre, che le rinfaccia continuamente di aver abbandonato la professione ed il suo talento, la coinvolge suo malgrado nel progetto di una villa per due ricchi sposini (Fausto Cabra e Giulia Michelini), affiancandola al suo più fidato collaboratore, Massimo (Fabrizio Gifuni), con grande disappunto di quest’ultimo.
I due hanno seguito diverse strade verso la stessa meta. Francesca è fuggita dalla passione per l’architettura e per la vita e si è sepolta in un convenzionale matrimonio senza amore con il ricchissimo Benoit (Hippolyte Girardot), mite e comprensivo. Massimo ha congelato la passione e si è rinchiuso nel suo lavoro, nascondendosi dietro le mura sicure della sua spocchiosa competenza. Con i clienti non trova empatia. Con la compagna Silvia (Isabella Briganti) ha una relazione cui concede uno spazio temporalmente e affettivamente limitato. Progetta case per gli altri, mentre la sua è ancora ingombra degli scatoloni del trasloco.
Inutile dire che, nonostante le difese che entrambi provano ad erigere, scoccherà la scintilla dell’amore. Ma non è questo che importa nel racconto di Franchi, bensì le sue conseguenze.
La passione è un ospite scomodo, ci mette a nudo, scopre i nostri limiti, ci impone di affrontarla, vuole dominare, togliendoci la sicurezza del controllo. È un avversario difficile, che spesso è più comodo evitare, o rinchiudere, come in un progetto, in uno spazio perfettamente delimitato. Ma è uno scontro che non si può evitare: la passione prima o poi si presenta ed attende le nostre risposte.
Franchi inserisce la vicenda in un contesto alto-borghese, con le sue naturali rigidezze, disegna ambientazioni sobrie ed eleganti, le dipinge con luci tenui: tutto costruisce la prigione in cui si vorrebbe ingabbiare il sentimento. Ma al contempo dirige dall’interno il flusso contrario, cercando l’ineffabile nei volti dei protagonisti, inseguiti costantemente dall’obiettivo. È su quei visi, grazie alla bravura degli attori, che si svolge il tema della narrazione, che la passione trova il suo schermo: la chiara pelle della Devos si illumina man mano di una luce nuova, i muscoli facciali si distendono, scaldati da un calore che dilegua l’usuale algida postura. Gli occhi di Gifuni invece scintillano, trapassando il cupo della folta barba, lampi che emergono da un mondo oscurato ma ancora lucente.
Nel suo narrare Franchi non perde comunque mai la misura. L’emergere dell’amore non è mai un’esplosione, ma un sottile raggio caldo che pervade gli animi e poi i corpi, concretizzandosi, con un’inattesa carica erotica, nel gioco di due mani che si cercano o di dita che scorrono su una camicia di seta. Ulteriore merito del regista sta nel conferire ad una storia semplice nella sua essenza, non banali derivazioni di carattere psicologico, puntando l’attenzione particolarmente sugli influssi genitoriali, rendendo così la sua trama sottile variegata ed accogliente.
Ognuno di noi, uscito dalla sala, pungolato dalle domande di Paolo Franchi, potrà riflettere sulle sue scelte. Magari con rimpianto, se abbiamo ospitato la passione solo nella casa dove non abbiamo mai abitato. Ma nulla potrà cancellare che chi ce l’avrà donata ha aperto per sempre nelle nostre mura una stanza di vetro, da cui la luce può entrare senza ostacoli. Una stanza da dove, fosse anche per una sola sera, abbiamo guardato il cielo.
Voto: 7.5
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luigi1023
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sabato 28 ottobre 2017
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un sentimento fondato sul rispetto reciproco
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Il film è ambientato a Torino dove si sviluppa la passione tra i due protagonisti Francesca (Emanuelle Devos) e Massimo (Fabrizio Gifun) entrambi architetti. Massimo ha sempre esercitato la professione sotto l’ala protettrice del padre di Francesca, anch’egli architetto di gran fama (Giulio Brogi), mentre Francesca dopo la laurea ha seguito suo marito a Parigi dove si è realizzata come moglie/madre, ma non ha coltivato le proprie aspirazioni lavorative.
Proprio per questo, in occasione del compleanno del padre, Francesca si ritrova a subire per l’ennesima volta le frustrazioni del genitore: il padre non perde occasioni di recriminare la scelta fatta dalla figlia per aver abbandonato ciò che sarebbe stata una rosea carriera lavorativa, espressione del proprio talento di architetto.
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Il film è ambientato a Torino dove si sviluppa la passione tra i due protagonisti Francesca (Emanuelle Devos) e Massimo (Fabrizio Gifun) entrambi architetti. Massimo ha sempre esercitato la professione sotto l’ala protettrice del padre di Francesca, anch’egli architetto di gran fama (Giulio Brogi), mentre Francesca dopo la laurea ha seguito suo marito a Parigi dove si è realizzata come moglie/madre, ma non ha coltivato le proprie aspirazioni lavorative.
Proprio per questo, in occasione del compleanno del padre, Francesca si ritrova a subire per l’ennesima volta le frustrazioni del genitore: il padre non perde occasioni di recriminare la scelta fatta dalla figlia per aver abbandonato ciò che sarebbe stata una rosea carriera lavorativa, espressione del proprio talento di architetto.
Approfittando della visita della figlia, il padre invita Francesca ad affiancare Massimo per lo sviluppo di un progetto di ristrutturazione di una villa fuori città.
Da questo punto in poi Francesca incomincia un percorso interiore che porterà a far splendere la propria anima ed essere sinceri con sè stessi e con gli altri, il tutto coadiuvato dal crescente sentimento per Massimo. Questa crisi esistenziale colpisce in parte il personaggio di Massimo, che accortosi dei propri veri sentimenti, rimane però rinchiuso in un guscio opaco da cui filtrano raggi di luce, sebbene più luminosi.
La regia di Paolo Franchi è di ampio respiro e si percepisce un certo equilibrio narrativo, complice l’uso sapiente di melodie e suoni che accompagnano le sequenza narrative specialmente in quelle prive di dialogo. Si nota una predilezione per i primi piani dei personaggi principali, le cui mimiche facciali costituiscono quelle barriere che devono essere infrante perchè il personaggio possa compiere il suo percorso di crescita interiore.
Una nota di rilievo è determinata dalla bravura di Giulio Brogi che interpreta il personaggio del padre di francesca, reinventando lo stereotipo del genitore pieno di aspettative nei confronti della figlia: il padre non è nè l’ostacolo insormontabile che impone i propri preconcetti, nè quell’incentivo per spronare francesca ad intraprendere un percorso di crescita, ma piuttosto assume il ruolo di motore silenzioso grazie a cui si movimenta l’intera vicenda.
Infine, come titolo del film suggerisce, ci si trova catapultati nell’eterna contrapposizione tra le motivazioni della ragione e quelle del cuore, archetipo che è stato sviluppato distogliendosi dal filo lineare delle narrazioni cinematografiche: prevale un susseguirsi di eventi dai risvolti realistici che trovano sostegno in alcuni escamotage narrativi. Ciò promuove quel rispetto reciproco di fondo nella relazione tra Francesca e Massimo che non scade mai nel banale rapporto d’amore egoistico dai toni melodrammatici.
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flyanto
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lunedì 16 ottobre 2017
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una'attrazione che scatena una crisi profonda
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"Dove non ho mai Abitato" è un film intimistico che racconta la crisi esistenziale e sentimentale che i due protagonisti stanno vivendo e che scaturisce al loro incontro ed alla loro conseguente frequentazione. Francesca (Emanuelle Devos) è la figlia di un famoso ed ormai anziano architetto (Giulio Brogi) che ritorna a trovare, non senza rancori da entrambe le parti, a Torino dopo il suo trasferimento e vita coniugale a Parigi. Qui, in seguito alla rottura del femore del padre, la donna deve protrarre la sua permanenza torinese e prendere parte, anch'ella come ex-architetto, senza troppo entusiasmo ma accontentando il volere del genitore, al progetto della ristrutturazione di una villa fuori città di due coniugi facoltosi, insieme all'elemento di spicco dello studio paterno, l'architetto Massimo (Fabrizio Gifun).
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"Dove non ho mai Abitato" è un film intimistico che racconta la crisi esistenziale e sentimentale che i due protagonisti stanno vivendo e che scaturisce al loro incontro ed alla loro conseguente frequentazione. Francesca (Emanuelle Devos) è la figlia di un famoso ed ormai anziano architetto (Giulio Brogi) che ritorna a trovare, non senza rancori da entrambe le parti, a Torino dopo il suo trasferimento e vita coniugale a Parigi. Qui, in seguito alla rottura del femore del padre, la donna deve protrarre la sua permanenza torinese e prendere parte, anch'ella come ex-architetto, senza troppo entusiasmo ma accontentando il volere del genitore, al progetto della ristrutturazione di una villa fuori città di due coniugi facoltosi, insieme all'elemento di spicco dello studio paterno, l'architetto Massimo (Fabrizio Gifun). Dopo un' iniziale diffidenza da parte di entrambi, nonchè la loro reciproca scarsa voglia di collaborare, i due personaggi iniziano a frequentarsi quotidianamente al fine di portare avanti il proprio lavoro e piano piano si accorgono di andare d'accordo più del previsto ed, anzi, di capirsi più profondamente di quanto sperassero. Ciò porterà entrambi a riflettere sulle proprie esistenze e relazioni sentimentali, venendone a scoprire la scarsa soddisfazione e la possibilità di una più allettante alternativa. E l'avvicinamento tra loro risulterà più che naturale.....
Una storia comune, per nulla eccezionale ma quanto mai vera e che potrebbe capitare ad ogni individuo, che il regista Paolo Franchi riesce bene a portare sullo schermo, raccontandone l'evoluzione, le paure ed i timori provati dai protagonisti e la loro reciproca e potente attrazione. Ma invece di scadere nel mélo più drammatico, il film mantiene una sua dignità e soprattutto, appunto, racconta una vicenda reale e sentimentale che è ben lungi dall'essere, ripeto, eccessivamente romantica e sdolcinata tanto che il suo finale risulta quanto mai azzeccato e plausibile. Ottimi, inoltre, entrambi gli attori, la Devos e Gifuni, che sono affiancati da un altrettanto rimarchevole e burbero Giulio Brogi. Insomma, la pellicola è perfettamente equilibrata in ogni sua parte (regia, evoluzione della storia, recitazione, dialoghi ed
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vanessa zarastro
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sabato 28 ottobre 2017
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i turbamenti amorosi della borghesia
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Il film ha una tematica antica di cui i film italiani non parlano più: i turbamenti amorosi della buona borghesia. Solo che i registi che lo hanno fatto erano agli inizi degli anni ’60 in una città in pieno boom economico e sviluppo industriale come per La notte di Michelangiolo Antonioni, che era del 1961. Lì il senso di insoddisfazione che serpeggia nella società italiana era descritto attraverso una coppia in crisi, senza stimoli in piena crisi personale e generazionale. In Dove non ho mai abitato non c’è accenno di crisi economica, anzi lo studio professionale di architettura ha parecchi lavori in progress, mentre oggi i laureati in architettura spesso finiscono a fare i commessi in un negozio di scarpe o di computer.
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Il film ha una tematica antica di cui i film italiani non parlano più: i turbamenti amorosi della buona borghesia. Solo che i registi che lo hanno fatto erano agli inizi degli anni ’60 in una città in pieno boom economico e sviluppo industriale come per La notte di Michelangiolo Antonioni, che era del 1961. Lì il senso di insoddisfazione che serpeggia nella società italiana era descritto attraverso una coppia in crisi, senza stimoli in piena crisi personale e generazionale. In Dove non ho mai abitato non c’è accenno di crisi economica, anzi lo studio professionale di architettura ha parecchi lavori in progress, mentre oggi i laureati in architettura spesso finiscono a fare i commessi in un negozio di scarpe o di computer. Siamo in una splendente Torino che non ha né problemi di smog, né quelli di “buchi nel bilancio”.
Degli amori e delle ipocrisie borghesi parlano ancora molti film francesi come, ad esempio, L’économie du couple di Joachim Lafosse, tradotto in italiano come Dopo l’amore del 2016e, guarda caso, Dove non ho mai abitato è per metà parlato in francese. Infatti, Francesca (Emanuelle Devos) la protagonista, suo marito (Hippolyte Girardot) e sua figlia adolescente sono tutti francesi e vivono a Parigi. L’anziano padre Manfredi è architetto (Giulio Brogi) ed è invece rimasto a Torino, dove ha uno studio affermato in società con Massimo (Fabrizio Gifuni), un collega più giovane, suo ex allievo. Il vecchio ha un caratteraccio, è volitivo, determinato, dice tutto ciò che pensa ed è piuttosto autoritario. Non sopporta che la figlia abbia rinunciato a fare l’architetto per andarsene a Parigi a fare la moglie di un finanziare accondiscendente e di troppo buon carattere. Ha invece un bel rapporto con Massimo con cui condivide le idee di lavoro e lo considera un po’ il figlio maschio che non ha mai avuto. Francesca dopo la morte della madre, schiacciata da entrambi genitori artisti e progettisti, è fuggita via per cercare una sua identità al di là della professione “di famiglia”., anche se sembra avesse un notevole talento.
La sera del suo 84mo compleanno, Manfredi cade e si rompe il femore quindi Francesca decide di rimanere a Torino per prendersi cura di lui. Il padre le chiederà di occuparsi, insieme a massimo di una villa sul lago, una ristrutturazione per una giovane coppia innamorata. Contrariati sia massimo sia Francesca si trovano comunque e non volendo a lavorare insieme e nasce un sentimento intenso, anche se non dichiarato. Questo porterà tormenti e scompiglio nella vita di due (ma com’è più facile un adulterio consumato!). Lui ha una compagna fissa da un paio di anni con cui però non vive, lei già piena di dubbi sul suo matrimonio inizia a rimpiangere la scelta fatta a suo tempo, non solo per l’attrazione che prova per Massimo, ma anche per quella parte creativa di sé che aveva messo a tacere sposandosi. Il film quindi va avanti lentamente con inquadrature sui due protagonisti che, nonostante tutto, sono piuttosto bravi.
A un certo punto il film diventa leggermente grottesco e si vede che chi ha scritto la sceneggiatura non ha la più pallida idea di cosa sia il mestiere di architetto. I due protagonista, la sera prima del trasloco della giovane coppia, vanno separatamente nella villa ristrutturata: aperta, non chiusa a chiave, tutta perfetta nei minimi dettagli e più che altro pulitissima. Così decidono di fare lì una cenetta romantica con vino rosso e formaggi (immagino francesi….). Chi ha esperienza di cantiere si rende conto dell’assurdità della scena!
Gli interni dei vari appartamenti nel film sono piuttosto spogli, come si immagina siano quelli degli architetti, ma la villa “dove non hanno mai abitato” e gli interni delle varie case sono più da casa Vogue che da una rivista d’architettura. I mobili sono tutti i classici progettati ormai di un secolo fa, oggi considerati status symbol: la poltrona di Marcel Breuer, le sedie Thonet di Alvar Aalto, la lampada Tolomeo di Michele De Lucchi.
Ciò che non è chiaro e che sembra anacronistico sono i tormenti di Massimo e Francesca che non si capisce perché ormai liberi da problemi edipici non mollano tutto e si mettano insieme, in fondo il divorzio esiste anche in Italia da quasi cinquant’anni!.
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