vanessa zarastro
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lunedě 7 maggio 2018
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il western delle coscienze sporche
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Un film intenso in un bellissimo bianco e nero, uno di quelli che vengono definiti “una chicca” dai cinéphiles. Una sorta di thriller dove si intrecciano tre storie ambientate in un piccolo villaggio ungherese nell’immediato dopoguerra.
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Un film intenso in un bellissimo bianco e nero, uno di quelli che vengono definiti “una chicca” dai cinéphiles. Una sorta di thriller dove si intrecciano tre storie ambientate in un piccolo villaggio ungherese nell’immediato dopoguerra. Tratto dal racconto “Homecoming” di Gàbor T. Szàntò, ha vinto vari premi tra cui l’Avner Shalev Yad Vashem, il premio per il Miglior regista al Berlin Jewish Film Festival e il Primo Premio della Critica Cinematografica Ungherese nel 2018. «Un thriller psicologico di dostoevskiana memoria quello che Ferenc Török crea intorno all’Olocausto in “1945”. Una storia di colpe personali, che diventano rappresentanze, in piccolo, di una colpa molto più vasta, quella di una nazione (in questo caso l’Ungheria) ma anche di un’Europa intera, oggi, ancora, come un tempo» scrive Katia Dell’Eva in “Cineforum”. Il film è girato in forma di western con i tempi e i ritmi di questo genere, ed ha una struttura narrativa in cui ironia e malinconia si sovrappongono in crescendo. Il film “1945” costituisce una riflessione sulla colpa e sulle conseguenze del male girato con sobrietà e garbo. Quello del 1945 è un anno di svolta nel mondo e la Storia fa da sottofondo, la radio parla delle bombe atomiche sganciate sul Giappone. In Ungheria ci sono ancora i Russi che scorrazzano nel villaggio dove però incombe ancora l’ombra del passato. Istvàn Szentes (il bravissimo Pèter Rudolf) è l’autorevole Notaio del paese – ma anche un droghiere faccendiere – spadroneggia un po’ su tutti e vuole far sposare il figlio Àrpàd (Bence Tasnàdi) con Kisròzs (Dòra Sztarenki), una ragazza molto carina, ma non del tutto illibata, infatti ha già avuto un aitante fidanzato (Tamàs Szabò Kimmel). Alle 11.00 in punto del 12 agosto del 1945 due ebrei (Ivàn Angelusz e Marcell Nagy), presumibilmente padre e figlio ex abitanti del villaggio che come gli altri erano stati deportati, arrivano in treno alla stazione del villaggio portandosi dietro due enormi bauli. Li faranno poi trasportare per la campagna verso la collina, da un carretto tirato dal cavallo che loro seguiranno dietro, a piedi. Si sparge la voce del loro arrivo e nel villaggio sale la paura: scateneranno e faranno uscir fuori tutte le colpe e le connivenze che gli abitanti hanno avuto nei confronti della persecuzione degli ebrei. Il Notaio ha costretto un povero cristo ubriacone a denunciare il suo amico e socio Pollack per potersi impadronire dei suoi averi, una volta deportata tutta la famiglia. Così aumenteranno i sensi di colpa e la paura, come una proiezione psicologica, di una eventuale revanche degli ebrei, che diventerà per alcuni un vero panico. Il sospetto del vicino e perfino del tradimento del proprio coniuge torna a diffondersi così come fu durante la guerra e lo sterminio, istigato dai peggiori e ignorato dai migliori. È bastato l’arrivo dei due correligionari a scatenare e abbattere il velo ipocrita di una vita tranquilla e a scatenare le coscienze. «Semplice, potente, credibile e competente, “1945” procede inesorabilmente come Sámuel e suo figlio nella loro lunga camminata verso il villaggio. È il messaggero potente di un tempo andato ma i cui problemi e le cui difficoltà non sono affatto vicini dall’essere superati» scrive Kenneth Turan in “Artslife”. Il figlio del Notaio, a sua volta, scopre l’infamia ordita dal padre e, all’ennesimo maltrattamento e sopruso subìto, scappa decidendo di abbandonare tutto - famiglia, negozio e matrimonio - di andarsene a Budapest, aiutato anche dalla madre Anna (Eszter Nagy-Kalozy), che è costretta a drogarsi perché non sopporta più il volgare, fedifrago e despota marito. Un treno ha aperto il film e un treno lo chiude spargendo tutto il denso fumo per tutta la campagna, ricordando inevitabilmente il trasporto degli ebrei verso la Shoa. Ferenc Török, nato a Budapest nel 1971, insieme a Làszlò Nemes (“Il figlio di Saul”) e Ildikò Enyedi (“Corpo e anima”) rappresentano, a mio avviso, un ritorno alla tradizione della grande cinematografia ungherese (basti citare i film del regista Miklòs Jancso degli anni Sessanta e Settanta) misurata, colta e piena di ironia, purtroppo in un periodo poco felice della nazione magiara. Il film “1945” è stato presentato alla 67ma edizione del Festival di Berlino, nella sezione Panorama.
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dariobottos
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martedě 12 giugno 2018
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le due facce della memoria
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L'ebraismo è essenzialmente culto della memoria ("ricorda!"), rivisitazione del già detto, del già scritto, nell'infinita spirale ermeneutica della riattualizzazione.
Due ebrei arrivano in uno sperduto villaggio della piana ungherese con il solo scopo di coltivare l'estrema memoria dei familiari perduti nella Shoah, di cui sono testimoni scampati: vanno a seppellire i pochi oggetti rimasti di quelle vite spezzate con rito religioso e con commossa, austera partecipazione. Quel qaddish mormorato è pressochè la loro sola voce in questa storia. Il loro passo guidato dalla memoria, lento, misurato, silenzioso, che li porta dalla stazione ferroviaria fino al vecchio cimitero ebraico (la reale "casa della vita", come viene ossimoricamente detto il cimitero in ebraico) ridesta per contrappasso, come potente catalizzatore, la memoria rimossa, carica di angoscia e di rimorso, degli abitanti del villaggio che attraversano, timorosi che "gli ebrei" siano tornati per rivendicare quanto è stato loro sottratto dal turbine nazista, e di cui essi hanno colpevolmente approfittato.
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L'ebraismo è essenzialmente culto della memoria ("ricorda!"), rivisitazione del già detto, del già scritto, nell'infinita spirale ermeneutica della riattualizzazione.
Due ebrei arrivano in uno sperduto villaggio della piana ungherese con il solo scopo di coltivare l'estrema memoria dei familiari perduti nella Shoah, di cui sono testimoni scampati: vanno a seppellire i pochi oggetti rimasti di quelle vite spezzate con rito religioso e con commossa, austera partecipazione. Quel qaddish mormorato è pressochè la loro sola voce in questa storia. Il loro passo guidato dalla memoria, lento, misurato, silenzioso, che li porta dalla stazione ferroviaria fino al vecchio cimitero ebraico (la reale "casa della vita", come viene ossimoricamente detto il cimitero in ebraico) ridesta per contrappasso, come potente catalizzatore, la memoria rimossa, carica di angoscia e di rimorso, degli abitanti del villaggio che attraversano, timorosi che "gli ebrei" siano tornati per rivendicare quanto è stato loro sottratto dal turbine nazista, e di cui essi hanno colpevolmente approfittato. Questa cattiva memoria distruggerà per sempre una collettività costruita su un equilibrio artificiale fatto di ipocrisia e di rimozione, indotto da una recente storia tragica che ha in qualche modo devastato le coscienze. L'inesorabile incedere di quella coppia dolente di ebrei ha come riportato alla luce il campo di macerie ancora fumanti, ricoperto troppo frettolosamente da un tacito patto collettivo di omertà. Nulla sarà più come prima.
La cifra stilistica del film è il passo cadenzato dei due ebrei che attraversano il tempo e lo spazio come metronomi, segnando il ritmo del redde rationem: un passo sottolineato da una colonna sonora cupa, giocata sulle percussioni, estremamente efficace nella sua estraneità diegetica. Come efficacissima è la purezza delle immagini, la nitidezza delle sequenze, la forza del bianco e nero che assume anche una valenza etica formidabile. Un film come pochi.
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angeloumana
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giovedě 14 giugno 2018
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i fantasmi che ritornano
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1945, e già il titolo è evocativo del dopo-guerra, di qualche resa dei conti che possa avvenire se un ebreo sopravvissuto torna nel suo paesino (ungherese in questo caso): chi si era appropriato, con atti falsi, della sua casa e dei suoi averi quando lo vide partire con quei treni-carri bestiame, comincia a sentirsi minacciato, che possa perdere ciò che ormai gli apparteneva.
C'è un fumo nero che sbuffa dal treno che arriva a questa ignota stazioncina, lo stesso fumo di quando il treno riparte, dev'essere un riferimento al fumo che usciva dai forni crematori. I viaggiatori di quel treno che arrivano e poi ripartono sono un padre e un figlio, silenziosi e solenni, che intendono sotterrare gli oggetti dei loro congiunti ebrei morti nel campo di sterminio, sotterrano “ciò che rimane dei nostri cari”, pure delle scarpine da bimbo.
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1945, e già il titolo è evocativo del dopo-guerra, di qualche resa dei conti che possa avvenire se un ebreo sopravvissuto torna nel suo paesino (ungherese in questo caso): chi si era appropriato, con atti falsi, della sua casa e dei suoi averi quando lo vide partire con quei treni-carri bestiame, comincia a sentirsi minacciato, che possa perdere ciò che ormai gli apparteneva.
C'è un fumo nero che sbuffa dal treno che arriva a questa ignota stazioncina, lo stesso fumo di quando il treno riparte, dev'essere un riferimento al fumo che usciva dai forni crematori. I viaggiatori di quel treno che arrivano e poi ripartono sono un padre e un figlio, silenziosi e solenni, che intendono sotterrare gli oggetti dei loro congiunti ebrei morti nel campo di sterminio, sotterrano “ciò che rimane dei nostri cari”, pure delle scarpine da bimbo. Cosa può provocare un atto simbolico, che trambusto di coscienze, che risveglio di latenti tensioni familiari, le reciproche accuse nella piccola comunità. La promessa sposa – fedifraga - di un matrimonio che non si celebrerà brucia il negozio di cui sarebbe divenuta proprietaria, il promesso sposo emigra per fuggire da quelle miserie paesane dove il padre “notaio” sembra avere architettato le sorti delle persone, un altro abitante s'impicca, altri si sentono minacciati di perdere la loro casa.
Nel film Come un gatto in tangenziale (altro genere, altra storia) il personaggio di Paola Cortellesi sperimenta che in un cinema d'essai bisogna assistere silenziosamente e non alzarsi finché i titoli di coda non scorrono tutti, pure se scritti in armeno: è la stessa riflessione che viene dopo 1945, si resta a pensare davanti a nomi ungheresi che scivolano sullo schermo. Le conseguenze della rapacità umana, qualcuno che si arricchì delle cose di gente mandata a morire, i rimorsi che tornano. Il film ne ricorda inevitabilmente un altro, ottimo,Il segreto del suo volto di Petzold: anche in esso compare un numero di prigioniero sul braccio, anche in quel caso c'era stato il ritorno di una sopravvissuta. Questo di Ferenc Torok è molto pregevole, spartano di mezzi con bianco e nero e sottotitoli, con l'incessante calpestìo del cavallo che trasporta il carro con le due casse di oggetti da sotterrare, un rumore che incombe sulle miserie familiari dei nuovi padroni rimasti. Indimenticabili, e molto significativi delle parti che interpretano, i visi di due personaggi importanti: il notaio Péter Rudolf e sua moglie Anna Szentesne, due separati in casa col figlio mancato sposo, sodale della mamma. La partecipazione e i premi al festival di Berlino sono garanzia di qualità.
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cardclau
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martedě 8 maggio 2018
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il diavolo fa le pentole ma noi i coperchi
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1945 di Ferenc Tòròk è un film, bellissimo, in un bianco e nero clamoroso, sulla zona grigia del genere umano. Non facciamo gli ingenui nel credere che il cattivo fosse solo Hitler, Stalin, o chi per essi. Nessuno può negare che fossero degli psicopatici, e per forturna, perché nella battaglia di inghilterra dli errori dei tedeschi che impedirono la loro sopraffazione degli inglesi, e l'asservimento a schiavitù di tutta l'europa, nascevano in parte dalle fantasie che non collimavano col senso di realtà del dittatore baffetto: portarono a quello che la storia ci dice. Ma torniamo alla zona grigia dell'essere umano. Se la spoliazione dei beni degli ebrei non avesse fatto così gola ai non ebrei, non ci sarebbe stato un così massiccio consenso.
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1945 di Ferenc Tòròk è un film, bellissimo, in un bianco e nero clamoroso, sulla zona grigia del genere umano. Non facciamo gli ingenui nel credere che il cattivo fosse solo Hitler, Stalin, o chi per essi. Nessuno può negare che fossero degli psicopatici, e per forturna, perché nella battaglia di inghilterra dli errori dei tedeschi che impedirono la loro sopraffazione degli inglesi, e l'asservimento a schiavitù di tutta l'europa, nascevano in parte dalle fantasie che non collimavano col senso di realtà del dittatore baffetto: portarono a quello che la storia ci dice. Ma torniamo alla zona grigia dell'essere umano. Se la spoliazione dei beni degli ebrei non avesse fatto così gola ai non ebrei, non ci sarebbe stato un così massiccio consenso. Considerate che nello sterminio degli ebrei tutti i popoli dell'europa, pur non essendo tedeschi, hanno più o meno contribuito (documentatevi sul libro La banalità del male di Anna Arendt, per quanto il male non è mai banale, ma astutissimo, il maligno sa come operare).. Ma nulla di nuovo: l'inquisizione cattolica lavorava allo stesso modo. Ma nulla di nuovo: nel momento del Cristo morente, gli uomini che lo circondano si giocano la sua tunica a dadi. Il film racconta la denuncia del mercante e droghiere Pollock ai tedeschi, ebreo, da parte del notaio del paese, il suo "più grande amico". E con la complicità del pese provvedono ad impadronirsi di tutti i beni degli ebrei. Quando alla fine della guerra, nel 1945, ritornano due ebrei con due misteriose casse, gli abitanti del paese sono messi di fronte al ritornare quello di cui si erano appropriati, e a fare i conti col senso di colpa. Talmente forte da costringerli a negate, a pensare di far fuori i duei ebrei che erano ritornati. Ma nelle casse c'era solo quello che era sopravvissuto all'eccidio, che vengono sepolti: tre scarpette da bambino, un trenino di latta, due scialli bianchi e neri da cerimonia religiosa, qualche libro. Perché la compassione deve essere sempre in minoranza rispetto alla cieca avidità?
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fabiofeli
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martedě 8 maggio 2018
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camaleonti e non
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L’esito della II Guerra Mondiale è ormai scontato e nelle disturbate trasmissioni radio resiste solo il Giappone, in ginocchio davanti all’incubo nucleare. L’Ungheria, ex-alleata del nazismo con il regime di Szàlasi, è occupata dai russi. Nel paesino agricolo del film i contadini stanno ultimando la mietitura del grano. Nella stazione ferroviaria un treno scarica due casse, dichiarate contenere profumi, accompagnate da un vecchio barbuto e da un ragazzo sui 20 anni, due persone di chiara confessione ebraica; il capostazione si barcamena tra una jeep di occupanti-liberatori russi ed una telefonata al notaio che è la più grande autorità del paese, incidentalmente proprietario di una drogheria, che significa anche profumeria.
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L’esito della II Guerra Mondiale è ormai scontato e nelle disturbate trasmissioni radio resiste solo il Giappone, in ginocchio davanti all’incubo nucleare. L’Ungheria, ex-alleata del nazismo con il regime di Szàlasi, è occupata dai russi. Nel paesino agricolo del film i contadini stanno ultimando la mietitura del grano. Nella stazione ferroviaria un treno scarica due casse, dichiarate contenere profumi, accompagnate da un vecchio barbuto e da un ragazzo sui 20 anni, due persone di chiara confessione ebraica; il capostazione si barcamena tra una jeep di occupanti-liberatori russi ed una telefonata al notaio che è la più grande autorità del paese, incidentalmente proprietario di una drogheria, che significa anche profumeria. E’ il giorno delle nozze del figlio del notaio-podestà-droghiere-profumiere con una ragazza che a quel ragazzo “perbene” preferirebbe un altro, uno sfrontato filo-sovietico, che però è impegnato con un’altra. I due scesi dal treno saranno venuti a rivendicare la casa e le proprietà dei Pollak, denunciati e fatti deportare dal notaio e dai suoi accoliti, collaborazionisti del partito delle frecce uncinate di Szàlasi? L’intero paese è mobilitato per le nozze imminenti: fiumi di grappa, tutti ubriachi alle 11 di mattina, ma intanto si nascondono argenteria e tappeti rubati ai Pollak. Nel frattempo il vecchio ed il ragazzo scesi dal treno seguono a piedi il carro con le casse diretti verso il paese …
Ferenç Török nella sua opera prima sceglie un terreno difficile e scivoloso; nel dibattito dopo la proiezione del film all’Apollo 11 a Roma si appoggia alla abile traduzione di un connazionale, che - se non andiamo errati - è un funzionario culturale del consolato ungherese. Il regista sostiene che non c’è nessun riferimento alla situazione politica attuale. Il titolo è1945 non 2018. La scelta di girare in bianco e nero la pellicola è scaturita dalla precisa volontà di raffigurare un passato che non c’è più. Le spoliazioni dei cittadini ungheresi di religione ebraica - circa 400.000 deportati inviati allo sterminio assieme a qualche decina di migliaia di Gitani secondo wikipedia - non c’entrano nulla con la situazione attuale, anche se il filo spinato di Orbàn contro i migranti qualche dubbio di andare in direzione di situazioni simili lo alimenta. Per quanto riguarda la storia narrata alle persone dotate di semplice buon senso non può interessare se l’accaduto è vero, come proclamano spesso gli assordanti trailer di oggi; quello che va assicurato è che la storia sia verosimile. E qui il camaleontismo gattopardesco del notaio è, sì, un classico letterario, ma certamente verosimile, e lo abbiamo sotto gli occhi nella politica di ogni giorno: il personaggio è pronto a derubare chi cade in disgrazia, ma è duttile e apparentemente ossequiente con chi comanda. Solo alcuni, pochi, non si adattano a questo modo di pensare e di agire: cercano una via di uscita nell’alcool (come l’amico del notaio perseguitato dai rimorsi e dal ricatto dello stesso), o nelle droghe (come la moglie del notaio medesimo), oppure nella partenza per troncare la vita precedente e aprirne una nuova (come il figlio dello stesso squallido marrano). Hanno ragione loro, i pochi: il giovane parte con dignità sullo stesso treno dove salgono i due uomini di religione ebraica che hanno sotterrato nel piccolo cimitero del paese scarpe di bambini, giocattoli, indumenti, libri, candelabri, kippah appartenute ai loro cari, oggetti per nulla diversi da rosari e immagini di santi, o da una kefiah e un corano appartenuti ad un migrante mussulmano. Li accompagna non si sa bene se è un canto, una musica, un lamento: è una melodia gitana sulle note di una fisarmonica. E rimane solo lo sbuffo di fumo nero della vaporiera avviata verso Budapest come ultima immagine simbolica della Shoa dopo tanti rigorosi ritratti in un magistrale bianco e nero degni de “Il nastro bianco”, uno dei migliori film di Haneke.
Valutazione ****
FabioFeli
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oclockalex
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lunedě 27 luglio 2020
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l''orrore che sta al di fuori
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Certe volte, per fortuna, i passi dei sopravissuti pesano di più delle colpe dei carnefici.
Assomiglia a Easy rider? A Fandango? Niente a che fare con questi film, a cominciare dalla nazionalità.
È comunque un brevissimo road movie magiaro, scosceso come un calvario, privo di colori, di generosità. Poche volte ho visto un film così assente di movimento e colmo di emozioni!
L’argomento? Il classico ritorno a casa dopo una guerra (il titolo è chiaro) che è finita ma non riesce a pacificarsi, tornare a una casa che non c’è, da persone che hanno cessato di esistere. Un ritorno che non classifica le vittime e i carnefici, che confonde i vinti con i vincitori. Poi la storia (che non siamo noi) si fa più spietata del passato, come si evince dal film, da quello che sulla pellicola non si vede.
Un film che può essere visto da un bambino, le immagini in bianco e nero sono splendide, se non fosse che la noia lo invaderebbe, già, un bambino che ne capisce della recitazione minimalista e perfetta degli attori, della ricostruzione del periodo, dei dialoghi che rientrano nei canoni lasciando libero sfogo all’immaginazione?
Anche molti adulti potrebbero addormentarsi se non arrivassero a capire l’orrore che sta ai lati della pellicola e che preme per entrare senza riuscirci, ma all’interno, gli addetti ai lavori (regista in primis) ci consegnano un triste, mirato, lucido capolavoro di un cinema di rassegnazione e riflessione.
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fabio 3121
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sabato 3 aprile 2021
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film ungherese che copia il neorealismo italiano
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il film ungherese girato in bianco e nero racconta in 87 minuti quello che accade nell'arco di 3/4 ore in una giornata di agosto del 1945 in un piccolo villaggio ungherese. Alla stazione ferroviaria arriva un treno e da questo vi scendono 2 ebrei, un ragazzo giovane con il padre anziano, che hanno con sè due grosse casse di legno con all'interno, sembrerebbe, profumi e cosmetici così come riportato sul foglio di trasporto esibito al capo stazione che subito corre con la bicicletta in paese per avvisare il notaio comunale. Le casse vengono trasportate su un carretto trainato da un cavallo e i 2 ebrei seguono a piedi lo stesso silenziosamente. Il notaio è alle prese con gli ultimi preparativi del matrimonio del figlio con una giovane contadina la quale è però ancora innamorata del suo ex.
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il film ungherese girato in bianco e nero racconta in 87 minuti quello che accade nell'arco di 3/4 ore in una giornata di agosto del 1945 in un piccolo villaggio ungherese. Alla stazione ferroviaria arriva un treno e da questo vi scendono 2 ebrei, un ragazzo giovane con il padre anziano, che hanno con sè due grosse casse di legno con all'interno, sembrerebbe, profumi e cosmetici così come riportato sul foglio di trasporto esibito al capo stazione che subito corre con la bicicletta in paese per avvisare il notaio comunale. Le casse vengono trasportate su un carretto trainato da un cavallo e i 2 ebrei seguono a piedi lo stesso silenziosamente. Il notaio è alle prese con gli ultimi preparativi del matrimonio del figlio con una giovane contadina la quale è però ancora innamorata del suo ex. Tutti in paese sono preoccupati in quanto temono che i 2 ebrei siano ritornati per rivendicare sia la drogheria che una abitazione di cui erano proprietari una famiglia ebrea deportata nei campi di concentramento. In realtà i 2 ebrei giungeranno al cimitero e dopo aver sepolto il contenuto delle casse (scarpette, libri, oggetti vari) ritorneranno in stazione per ripartire. La pellicola vorrebbe essere una piccola opera d'autore dove le immagini prevalgono sui dialoghi e dove è assente la colonna sonora. Sostanzialmente non succede quasi nulla per 75 minuti che scorrono con ritmo lento e a tratti noioso. Poi nei minuti finali osserviamo 3 colpi di scena ma il tutto avviene in maniera quasi scontata vista l'evoluzione della storia. Avendo il film avuto ottime critiche in diversi festival nonché alte valutazioni dal pubblico, erano alte le aspettative, ma l'idea del regista di strizzare l'occhio al cinema italiano e di copiare il neorealismo utilizzando attori non professionisti o comunque sconosciuti al grande pubblico ha come unico risultato un prodotto a bassissimo budget ma del tutto insufficiente. Voto: 5,5/10.
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