Malick non ha paura. Canta e celebra se stesso, ma in questo modo canta (del)l'uomo e condivide ogni atomo con tutti noi.
di Pietro Masciullo Sentieri Selvaggi
Il tempo, il movimento, la ricerca del sacro (nell'immagine). Ci risiamo. Che dire ancora? Le inquadrature di Malick continuano a muoversi, tra acqua e terra, forme informi e forme formate, immanenza e trascendenza, infintamente grande e infinitamente piccolo, dinosauri e città. Saltati tutti i raccordi, trascesi tutti i canoni linguistici, rimane solo il fluttuare nelle cose del mondo per cercare l'origine di ogni movimento contingente. È l'ennesimo paradosso malickiano questo Voyage of Time: una produzione durata quasi dieci anni, frammentata in ogni progetto precedente, riconosciuta come il film a cui tutti gli altri hanno teso: dalla genesi (la ricerca dell'uno) in The Tree of Life, all'amore (il mistero del due) in To The Wonder, sino allo sguardo del fantasma (del cinema?) nell'oltremondo Knight of Cups. [...]
di Pietro Masciullo, articolo completo (4713 caratteri spazi inclusi) su Sentieri Selvaggi 3 marzo 2022