LA MIA VITA DA ZUCCHINA (FR/SVIZZ, 2016) diretto da CLAUDE BARRAS.
Figlio di una donna alcolizzata che perde il giorno intero a guardare telenovelas, Zucchina (il cui vero nome è Icar), bambino di nove anni, ammazza il tempo costruendo torri di lattine di birra e facendo volare il suo piccolo aquilone in cielo, il quale ha ritratto su una facciata l’immagine di una gallina (poiché la madre gli diceva che a suo padre «piacevano le pollastre»). Un pomeriggio nuvoloso il pargoletto uccide involontariamente la genitrice e si ritrova catapultato nella realtà ad egli sconosciuta delle case-famiglia. Ve lo conduce un simpatico e tranquillo poliziotto di nome Raymond. I primi giorni nella struttura sono tutt’altro che agevoli, soprattutto perché gli altri bambini, ciascuno alle prese con le proprie immense e faticose difficoltà, appaiono molto chiusi o indisponenti verso di lui e uno di loro, lo spavaldo Simon, lo bullizza sfacciatamente, benché in seguito Zucchina scopra che è in realtà buono di cuore. Poco a poco, tuttavia, la situazione volge al meglio e Zucchina riscopre la solidarietà e l’amore conquistandosi l’amicizia e la fiducia di tutti i compagni, Simon compreso. All’arrivo della coetanea Camille, figlia di un padre che ha trucidato la moglie in un accesso di gelosia per poi suicidarsi, Zucchina se ne innamora a prima vista e, grazie all’aiuto di Simon, conosce il suo sofferto passato. Frattanto s’è rafforzato anche il rapporto con Raymond e, con la sua complicità, ottenuta malgrado un iniziale respingimento, Zucchina nasconde Camille nell’automobile dell’agente per sottrarla alla mefistofelica zia che intende portarla a casa con sé promettendole di riempirla d’affetto, sebbene la bambina sappia che, assieme a quella donnaccia, le aspetta solo un futuro esecrabile. Per fortuna la decisione del giudice stabilisce che il luogo migliore per Camille sia l’istituto con gli altri fanciulli disagiati. Dopo una gita a sciare, un Halloween trascorso in compagnia e la nascita del figlioletto dell’educatrice della casa, Camille e Zucchina accettano di buon grado la proposta di Raymond di divenire suoi figli adottivi, e il poliziotto li accoglie come farebbe il più premuroso dei padri. Ma Simon e gli altri non li dimenticheranno mai. Che dire? Questa produzione franco-svizzera, diretta da un regista sconosciuto ai più, scritta da Céline Sciamma, tratta dal romanzo di Gille Paris edito in Italia da Piemme, candidata all’Oscar 2017 come miglior film d’animazione e presentata a Cannes 2016 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, è un gioiello di felicità, vivacità ed ottimismo. Affronta un tema molto scottante dei tempi odierni come quello dell’affidamento, coniugato a numerosi ulteriori problemi (integrazione; convivenza interrazziale; rapporto genitori-figli; antagonismi burocratici; adozione), dicendo enormi verità mediante la chiave di un gustosissimo umorismo che diverte tanto i grandi quanto i bambini senza ricorrere a demagogie, forzature o buonismi. Dipinge efficacemente un protagonista infantile che è un bimbo normalissimo con le sue passioni, i suoi timori e le sue aspirazioni, costretto a passare da un contesto angosciante ad un altro ancor peggiore, ma in grado di reagire senza la minima violenza psicologica dal momento che crede nei valori autentici e sa trasformare il suo risentimento in un’energia positiva che gli consente di farsi nuovi amici, aprire gli occhi verso nuovi orizzonti e ampliare le proprie conoscenze su quelle materie che tanto interessano chi non è ancora nemmeno adolescente e nutre una voglia pazzesca di impararle. Assolutamente realistico e impeccabile l’ambiente in cui i personaggi si muovono: i bambini creano dal nulla e poi abbattono le reciproche rivalità, gli adulti si sfidano a colpi di diritti giuridici, i preposti alle istituzioni cercano con ogni sistema di limitarsi a fare il proprio dovere senza mancar di rispetto a nessuno. Ottima anche la tecnologia digitale che anima i pupazzetti di plastilina (ormai l’avanguardia nel mondo dei cartoni animati d’oggigiorno), abbinata ad una funzionale e formidabile scenografia caleidoscopica i cui colori riflettono sovente le emozioni provate in determinati passaggi dai caratteri. Non si lesinano neppure i momenti di poesia, fra cui risaltano il bacio dato da Zucchina a Camille mentre lei finge di dormire sull’autobus, lo scoiattolo che si alimenta di nascosto della sua ghianda nel paesaggio innevato delle montagne e la dolce ballata pop che accompagna i titoli di coda. Una morale educativa di potente impatto che dovrebbe fare scuola non solo a livello cinematografico, ma anche e soprattutto all’ignoranza discriminatrice e all’egoismo impervio e spigoloso che riempiono le menti di svariati ipocriti. Fatto a regola d’arte, stupendo e da applauso. Un capolavoro che concentra in sé sia la poesia moderna che il bisogno umano di comunicare. Complimenti!
[+] lascia un commento a great steven »
[ - ] lascia un commento a great steven »
|