gianleo67
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domenica 7 marzo 2021
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cuori in gabbia
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L'amore tra Dapne e Josh è alimentato dalla condivisione di un passato difficile e di un presente tra le sbarre di un carcere misto dove maschi e femmine hanno solo sporadici contatti. La diversa scadenza della loro detenzione e la prospettiva di una inevitabile separazione sembra compromettere il loro rapporto; ma il loro sogno adolescente di libertà e vicinanza sembra più forte di qualunque costrizione istituzionale. Al suo terzo lungometraggio il cinema di Giovannesi ha già la fisionomia definita di uno sguardo sulla realtà che non si ferma alla mera rappresentazione del disagio sociale e generazionale degli esempi più premianti tra quelli della recente produzione nostrana, ma propone una vicinanza umana ai suoi protagonisti ed un'attenzione alle loro contraddizioni che si fa allo stesso tempo analisi sociale e poesia della marginalità, raccogliendo una lezione artistica che rimanda all'esempio etico di Pasolini ma anche al folgorante esordio nel racconto di formazione di Truffaut, esplicitamente citato in una delle scene finali.
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L'amore tra Dapne e Josh è alimentato dalla condivisione di un passato difficile e di un presente tra le sbarre di un carcere misto dove maschi e femmine hanno solo sporadici contatti. La diversa scadenza della loro detenzione e la prospettiva di una inevitabile separazione sembra compromettere il loro rapporto; ma il loro sogno adolescente di libertà e vicinanza sembra più forte di qualunque costrizione istituzionale. Al suo terzo lungometraggio il cinema di Giovannesi ha già la fisionomia definita di uno sguardo sulla realtà che non si ferma alla mera rappresentazione del disagio sociale e generazionale degli esempi più premianti tra quelli della recente produzione nostrana, ma propone una vicinanza umana ai suoi protagonisti ed un'attenzione alle loro contraddizioni che si fa allo stesso tempo analisi sociale e poesia della marginalità, raccogliendo una lezione artistica che rimanda all'esempio etico di Pasolini ma anche al folgorante esordio nel racconto di formazione di Truffaut, esplicitamente citato in una delle scene finali. Se gli esiti sono quelli di un risultato compiuto che riscuote l'ennesima attenzione di pubblico e stampa specializzata, sono l'ispirazione di fondo ed il lavoro preparatorio il valore aggiunto di un'idea di cinema che coglie nella difficile realtà di un carcere minorile alle porte di Roma (adolescenti di ambo i sessi crudelmente separati da uno steccato fisico e affettivo) e nei provini fatti 'per strada' ai due protagonisti (attori non professionisti che condividono con i loro personaggi un vissuto fatto di disagio sociale ed esperienza del carcere) lo spunto per un discorso sul ripensamento istituzionale di un percorso rieducativo che crea barriere, isola gli individui, separa gli affetti. Lo slancio narrativo diventa allora (proprio come nell'autore francese) l'inevitabile adattamento ad una realtà di privazioni (l'assenza della famiglia, la restizione della libertà, il sequestro dei sogni) che contemperi dolcezza e ribellione assecondando, come avviene per il personaggio interpretato dalla bravissima Daphne Scoccia, una maggiore attenzione verso le esigenze altrui (in questo sembra importante la sensibilità femminile apportata dall'unica donna tra gli sceneggiatori) ma anche l'impulsivo ribellarsi alle istituzioni, reso in maniera plastica dalla significativa fuga a piedi nudi sul litorale romano, l'attesa in stazione che non è più agguato predatorio ma punto di ripartenza e la rocambolesca e avventurosa fuga senza biglietto sul treno della vita. Presentato in concorso nella sezione Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2016, Premio Speciale per Claudio Giovannesi e Premio Guglielmo Biraghi a Daphne Scoccia ai Nastri d'Argento 2016 e Migliore attore non protagonista a Valerio Mastandrea ai David di Donatello 2017. Nessun premio e un breve riscatto per Josciua Algeri, ex detenuto, rapper e attore teatrale in erba scomparso tragicamente a soli 21 anni esattamente nel Marzo di quatto anni fa.
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iltrequartista
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mercoledì 7 giugno 2017
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amore libero
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Uno dei film che più mi sono rimasti impressi nella memoria dell'ultimo anno cinematografico.
Giovannesi racconta in maniera nuda e cruda la vita della giovane Daphne,chiusa in un carcere minorile e con rapporti familiari spesso difficili.
Nel grigiore generale troverà un caldo raggio di sole nell'amore verso un ragazzo con altrettante problematiche.
Non sempre la sceneggiatura è strutturata in maniera perfetta ma ci sono indubbi elementi di forza a sostenere la baracca.
Di sdolcinato c'è davvero poco e per larga parte del film rimarrete affascinati dalla verve e dall'energia della protagonista,minuta ma esplosiva allo stesso tempo,con uno sguardo davvero magnetico.
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Uno dei film che più mi sono rimasti impressi nella memoria dell'ultimo anno cinematografico.
Giovannesi racconta in maniera nuda e cruda la vita della giovane Daphne,chiusa in un carcere minorile e con rapporti familiari spesso difficili.
Nel grigiore generale troverà un caldo raggio di sole nell'amore verso un ragazzo con altrettante problematiche.
Non sempre la sceneggiatura è strutturata in maniera perfetta ma ci sono indubbi elementi di forza a sostenere la baracca.
Di sdolcinato c'è davvero poco e per larga parte del film rimarrete affascinati dalla verve e dall'energia della protagonista,minuta ma esplosiva allo stesso tempo,con uno sguardo davvero magnetico.
Da sola innalza il livello della pellicola che piuttosto che un film di denuncia sui riformatori o sulla vita carceraria mi sembra un inno alla libertà,alla voglia irrinunciabile di vivere un amore e una speranza.
Prodotto italiano di ottimo livello,che con un pizzico di attenzione in più verso i dettagli e il montaggio,sarebbe potuto diventare un cult.
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shingo tamai
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sabato 8 aprile 2017
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prigionieri di un amore
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Davvero un ottimo lavoro.
In primis, credo che la protagonista femminile,Daphne,abbia dato qualcosa in più all'intera opera.
Agile e molto Esile nel fisico ma di una energia ed intensità davvero ammirevoli.
Detto questo,la pellicola è a tratti spiazzante e pragmatica,non ci sono infatti momenti sdolcinati e oserei dire nessuna pietà.
Giovannesi racconta la dura realtà e fa bene,quasi come un monito ai più giovani di non delinquere,allontanandosi nettamente dallo stile di esaltazione e di manie di grandezza dei criminali in stile "Gomorra".
Dietro le sbarre,infatti,anche se giovani,belli e forti,non c'è spazio per dare linfa ai propri sogni.
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Davvero un ottimo lavoro.
In primis, credo che la protagonista femminile,Daphne,abbia dato qualcosa in più all'intera opera.
Agile e molto Esile nel fisico ma di una energia ed intensità davvero ammirevoli.
Detto questo,la pellicola è a tratti spiazzante e pragmatica,non ci sono infatti momenti sdolcinati e oserei dire nessuna pietà.
Giovannesi racconta la dura realtà e fa bene,quasi come un monito ai più giovani di non delinquere,allontanandosi nettamente dallo stile di esaltazione e di manie di grandezza dei criminali in stile "Gomorra".
Dietro le sbarre,infatti,anche se giovani,belli e forti,non c'è spazio per dare linfa ai propri sogni.
L'amore tuttavia può portare quel sollievo necessario per andare avanti e trovare,forse,un nuovo punto di partenza.
Con una sceneggiatura più sostanziosa e con un protagonista maschile di pari livello avrei messo una stella in più.
Se ancora non l'avete visto vi consiglio di farlo.
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diabolik0
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venerdì 31 marzo 2017
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duro
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Decisamente coriaceo questo film,anche se realistico e ben interpretato.Il carcere è un'esperienza dura e ogni tanto uno sguardo su quel mondo è utile.Francamente pensare che la riabilitazione possa passare attraverso quelle mura, sembra improbabile ,è più facile che invece incarognisca ulteriormente.Per parlare di detenzione "evoluta" dovremmo spostarci nei penitenziari dei paesi scandinavi, che sembrano alberghi a cinque stelle.Il tasso di criminalità è bassissimo a riprova del fatto che non è con il giustizialismo feroce e l' espiazione dura che si arginano i fenomeni delinquenziali.Qualcuno importante ha detto che la civiltà di un popolo la si misura,valutando le condizioni strutturali e organizzative delle sue prigioni.
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Decisamente coriaceo questo film,anche se realistico e ben interpretato.Il carcere è un'esperienza dura e ogni tanto uno sguardo su quel mondo è utile.Francamente pensare che la riabilitazione possa passare attraverso quelle mura, sembra improbabile ,è più facile che invece incarognisca ulteriormente.Per parlare di detenzione "evoluta" dovremmo spostarci nei penitenziari dei paesi scandinavi, che sembrano alberghi a cinque stelle.Il tasso di criminalità è bassissimo a riprova del fatto che non è con il giustizialismo feroce e l' espiazione dura che si arginano i fenomeni delinquenziali.Qualcuno importante ha detto che la civiltà di un popolo la si misura,valutando le condizioni strutturali e organizzative delle sue prigioni.Non si fraintenda il punto,aspirare a una galera "umana"non equivale a "perdonare" i colpevoli di reato, ma solo consentirgli di poter scegliere un percorso di recupero,che sia alternativo alla scelta estrema di tornare a delinquere.Brava la protagonista femminile e bravo Mastrandrea che con questo film ha vinto un premio.
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carlo02
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giovedì 8 dicembre 2016
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storia vista più volte
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La storia del film è già stata sviluppata molte altre volte e questa è l'ennesima versione .
La prima parte la ritengo la migliore poichè nella seconda ho avuto l'impressione che il regista non sapesse come sviluppare la storia ; dal momento dell'uscita dal carcere della protagonista per un permesso , il film ha una caduta di ritmo e di interesse notevole .
Pur amando la presa diretta ritengo che la qualità del suono non sia eccelsa e, forse, in alcune parti avrebbero giovato i sottotitoli per meglio comprendere i dialoghi .
Mastrandrea , pur in una parte importante ma minima, svetta come sempre anche se il suo ruolo di fragile, insicuro e problematico rischia di diventare un clichè di tutte le sue interpretaz
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La storia del film è già stata sviluppata molte altre volte e questa è l'ennesima versione .
La prima parte la ritengo la migliore poichè nella seconda ho avuto l'impressione che il regista non sapesse come sviluppare la storia ; dal momento dell'uscita dal carcere della protagonista per un permesso , il film ha una caduta di ritmo e di interesse notevole .
Pur amando la presa diretta ritengo che la qualità del suono non sia eccelsa e, forse, in alcune parti avrebbero giovato i sottotitoli per meglio comprendere i dialoghi .
Mastrandrea , pur in una parte importante ma minima, svetta come sempre anche se il suo ruolo di fragile, insicuro e problematico rischia di diventare un clichè di tutte le sue interpretazioni
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lbavassano
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mercoledì 23 novembre 2016
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scuola dardenne
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Fanno scuola i Dardenne, soprattutto i primi Dardenne, nella volontà e capacità di raccontare la realtà del mondo contemporaneo nei suoi aspetti più duri e sgradevoli, ma proprio per questo più autentici. Nell’uso della macchina da presa, incalzante, costantemente incollata ai volti ed ai corpi dei protagonisti. Forse una maggiore asciuttezza però, sempre sull’esempio dei Dardenne, non avrebbe nuociuto, ed anzi avrebbe giovato alla forza del film senza comprometterne la piena intelligibilità, ma ovviamente è questione di gusti personali. Ottima la protagonista femminile, Daphne Scoccia, cui solo il sempre bravo Valerio Mastandrea riesce a tenere testa. Credo un dovuto omaggio al sommo Truffaut de “I quattrocento colpi” la scena dell’arrivo al mare e quella della corsa sulla spiaggia.
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giuliog02
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venerdì 11 novembre 2016
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noia. un perfetto esercizio tecnico di ......
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Un film per tre quarti senza pathos. A parte l'inizio e fino al risveglio verso la fine è una collazione, perfettamente riuscita, di spezzoni sulla vita nei riformatori, da utilizzarsi come case-history in riunioni con specialisti del settore. Una noia mortale, nonostante una passabile recitazione. Eccesso di primi piani e di riprese a breve distanza ( tanto per contribuire al senso di oppressione ). Vorrebbe essere un film di denuncia, ma è distante mille miglia dagli analoghi film francesi di 50 anni fa di Truffaut e di Bresson, e ben altro lo spessore delle attrici protagoniste di quei film, come Jeanne Moreau o Isabelle Adjani.
Il film richiama in vita lo spettatore con l'uscita dal riformatorio della protagonista e la sua osservazione del cielo attraverso la chioma dei pini marittimi.
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Un film per tre quarti senza pathos. A parte l'inizio e fino al risveglio verso la fine è una collazione, perfettamente riuscita, di spezzoni sulla vita nei riformatori, da utilizzarsi come case-history in riunioni con specialisti del settore. Una noia mortale, nonostante una passabile recitazione. Eccesso di primi piani e di riprese a breve distanza ( tanto per contribuire al senso di oppressione ). Vorrebbe essere un film di denuncia, ma è distante mille miglia dagli analoghi film francesi di 50 anni fa di Truffaut e di Bresson, e ben altro lo spessore delle attrici protagoniste di quei film, come Jeanne Moreau o Isabelle Adjani.
Il film richiama in vita lo spettatore con l'uscita dal riformatorio della protagonista e la sua osservazione del cielo attraverso la chioma dei pini marittimi. Si partecipa al suo respirare la libertà. Bella anche la scena sull'auto che corre e lei che sta col finestrino aperto e la testa parzialmente fuori, come i bambini e i cani. Sente la vita nel fluire dell'aria. Di ottima fattura la ripresa del tramonto sul mare e la corsa della protagonista sulla battigia. Ecco un altro momento di movimento vitale. Scena ben ripresa, ricorda un quadro di Balla. Il film si chiude bene con la fuga dei due innamorati in una stazione e la libertà, almeno temporanea, conquistata su un treno. Troppo poco per poterlo consigliare.
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angelo umana
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giovedì 15 settembre 2016
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le attenzioni mancanti degli adulti
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Piccoli Ken Loach crescono. Questa citazione viene da pensare con il film Fiore del giovane (del ’78) Claudio Giovannesi, ambientato nel disagio sociale, ragazzi che vivono di espedienti, che soggiornano spesso in riformatori o case di correzione. Lontani dalle sicurezze a cui tendiamo noi, cosiddetta gente “perbene”, con la nostra pensioncina o gli anni che ci mancano per raggiungerla, o con l’impiego retribuito le bollette le multe e i biglietti del treno regolarmente pagati. Ma non sembra una vera e propria prigione quella dove soggiornano e si conoscono Daphne e Josh, è un centro di rieducazione, in fondo un luogo protettivo visto che i ragazzi che vi soggiornano sarebbero orientati, fuori, a incorrere in reati vari.
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Piccoli Ken Loach crescono. Questa citazione viene da pensare con il film Fiore del giovane (del ’78) Claudio Giovannesi, ambientato nel disagio sociale, ragazzi che vivono di espedienti, che soggiornano spesso in riformatori o case di correzione. Lontani dalle sicurezze a cui tendiamo noi, cosiddetta gente “perbene”, con la nostra pensioncina o gli anni che ci mancano per raggiungerla, o con l’impiego retribuito le bollette le multe e i biglietti del treno regolarmente pagati. Ma non sembra una vera e propria prigione quella dove soggiornano e si conoscono Daphne e Josh, è un centro di rieducazione, in fondo un luogo protettivo visto che i ragazzi che vi soggiornano sarebbero orientati, fuori, a incorrere in reati vari. Il mondo esterno è presentato come un luogo punitivo, ha le sue regole (vedi le esperienze esterne delle due donne di La pazza gioia, la cui panchina dove han dormito ricorda molto quella dove dorme più volte Daphne), e viene voglia di pensare che “dentro” con altri ragazzi stiano bene, siano protetti, storie da condividere, vicendevolmentesi alleggeriscono la galera (lo dice Josh a Daphne). E’ scarna ma bella la festa di capodanno nel centro dove si trova Daphne e dove attraverso le grate delle stanze o “celle” ha conosciuto Josh. Un capodanno così molti ragazzi fuori se lo sognano, nel “mondo libero” ci sono spesso solitudini o feste non abbastanza degustate e apprezzate.
Uno dei reati – oltre a non pagare mai il biglietto del treno – è quello che si vede all’inizio: Daphne e un’altra ragazza derubano per strada altre giovani del loro cellulare, che consegnano poi a un ricettatore in cambio di qualche decina di euro. Soldi che servono loro per sopravvivere, fare la spesa … qualcosa di non riprovevole, quasi giustificato (altra associazione di idee: il ladro adolescente del bellissimo film L’enfant d’en haut del 2012, titolato Sister in Italia, visione consigliata).
Si potrebbe trattare di bisogno d’amore…, e così è infatti: Daphne ha un papà con dei problemi a sua volta, convive con una nuova compagna (la Laura Vasiliu di 4 mesi 3 settimane e 2 giorni) ed ha un figlio più piccolo con lei, difficile riprendere Daphne a casa, è l’amore che manca per lei, del papà o di chiunque altro. Pure se questo papà è il nostro bravissimo Valerio Mastandrea, spesso in ruoli che parlano di disagio sociale ma talmente versatile da non incasellarsi in figure stereotipate (vedansi Perfetti sconosciuti, ed anche lì la sua età lo inquadra come padre di un’adolescente).
Protagonista del film è innegabilmente Daphne (l’interessante Daphne Scoccia): la camera la insegue incessante a ogni passo, sembra piantata sul suo viso fattosi duro, con rari sorrisi, si direbbe delusa dai grandi su cui non può contare. Fuggono insieme alla fine Daphne e Josh, pare vogliano farsi una vita e un amore a proprio modo e anche l’ennesimo biglietto di treno non pagato pare un piccolissimo peccato, molto veniale, scusabile.
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sergio dal maso
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domenica 28 agosto 2016
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il cinema italiano ha un nuovo fiore
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“ … forse alla fine di questa triste storia, qualcuno troverà il coraggio per affrontare i sensi di colpa, e cancellarli da questo viaggio (…)
forse la vita non è stata tutta persa, forse qualcosa s'è salvato, forse era giusto così ….”
Sally - Vasco Rossi
Ci sono tanti tipi di fiori.
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“ … forse alla fine di questa triste storia, qualcuno troverà il coraggio per affrontare i sensi di colpa, e cancellarli da questo viaggio (…)
forse la vita non è stata tutta persa, forse qualcosa s'è salvato, forse era giusto così ….”
Sally - Vasco Rossi
Ci sono tanti tipi di fiori. Fiori profumatissimi, dai colori ammalianti o dai petali delicati, con o senza spine. Ognuno ha un preciso significato, una simbologia antichissima che copre tutti i sentimenti umani. Ci sono i fiori da cerimonia, da esporre nei balconi o da regalare all’amata. E poi ci sono i fiori selvatici, quelli che crescono in ambienti ostili, nelle intercapedini dei marciapiedi o nelle crepe del cemento.
Daphne è un fiore selvatico. Ha diciassette anni, un’adolescenza sbandata e ribelle tra rapine di smartphone in metropolitana e alloggi di fortuna. La rabbia adolescenziale e il carattere schivo e freddo nascondono un grande bisogno di affetto e di tenerezza. Sentimenti non corrisposti dai genitori, una madre che l’ha abbandonata e un padre in crisi, da poco uscito dal carcere. Con una vita così vuota e precaria sentirsi perennemente in fuga diventa l’unica risposta possibile, ma prima o poi ci si ritrova in un vicolo cielo. L’inevitabile epilogo della sua corsa disperata dopo una rapina fallita è il carcere minorile.
In un ambiente come il riformatorio, con le privazioni e le rigide regole a cui i ragazzi devono sottostare, far crescere e sbocciare un fiore selvatico è impensabile. Ma Daphne troverà la forza di resistere, di riallacciare un rapporto di affetto con il padre e, soprattutto, di innamorarsi di Josciua, un ragazzo rinchiuso nella sezione maschile. Il sentimento tra i due ragazzi, ostacolato da sbarre e restrizioni, privato di ogni contatto fisico, matura piano piano, tra molti sguardi e pochissime parole, comunicando con bigliettini scambiati nei vassoi nella mensa, come una storia d’amore d’altri tempi. Sarà la loro salvezza, la speranza a cui aggrapparsi per credere in un riscatto, in un futuro altrimenti precluso e senza sbocchi.
Dopo il sorprendente Alì ha gli occhi azzurri Claudio Giovannesi conferma il suo notevole talento registico e una innata capacità di raccontare storie di adolescenti. Il suo cinema non è per niente retorico, tantomeno ideologico, non ha tesi da dimostrare né tentazioni sociologiche. Il giovane regista romano non giudica i “suoi” ragazzi, li osserva incessantemente, quello che gli interessa è la sfera emotiva. La macchina da presa a spalla pedina da vicino Daphne, spesso con primissimi piani, senza sosta, ma sempre con profondo rispetto, senza nessuna morbosità. Riesce a farci sentire il suo respiro, i battiti del cuore, l’emozione del progressivo innamoramento. Fiore emoziona con grande delicatezza e senza perdere mai il senso della misura. L’esordiente Daphne Scoccia, scoperta per caso dal regista mentre serviva ai tavoli di una trattoria, è veramente formidabile nel far trasparire dietro l’istinto ribelle e la dura scorza un grande bisogno di tenerezza e di umanità. Recita con una personalità e una presenza scenica impressionanti, in grado di esprimere con estrema naturalezza le emozioni tipiche dell’adolescenza come la rabbia, l’irrequietezza e l’orgoglio. Giovannesi e il suo staff hanno passato parecchi mesi con i ragazzi detenuti nel carcere minorile di Roma per capire le dinamiche e le relazioni che si creano durante la detenzione, soprattutto tra minori. Molte comparse del film sono state scelte proprio tra i ragazzi e le guardie carcerarie dell’Istituto Penale di Casal di Marmo. Anche Josciua, l’altro protagonista, pure lui bravissimo, a sedici anni ha subito una detenzione in carcere minorile. L’unico attore conosciuto al grande pubblico è Valerio Mastandrea, impeccabile nel trasmettere tutta la malinconia e il disagio di un padre sconfitto dalla vita ma ancora capace di affetto. Detto della bravura di Giovannesi, non si può non citare l’eccellente fotografia, dai colori freddi ma nitidi e intensi, di Daniele Ciprì.
Presentato con grande successo al Festival di Cannes, che l’ha omaggiato con dieci minuti di applausi dopo la proiezione, Fiore consacra la cifra registica di un giovane cineasta che farà sicuramente molta strada.
“La realtà è una grande risorsa di ispirazioni, non c’è bisogno di aggiungere altro. Quello che conta è lo sguardo sulla realtà” afferma Giovannesi. Il suo ha una raffinatezza e una delicatezza in grado di persuaderci che anche nel cemento può aprirsi una crepa, e sbocciare un fiore.
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uppercut
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domenica 12 giugno 2016
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una carezza senza ricatti
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Era dai tempi de L'intervallo che un film italiano non mi coinvolgeva in modo così positivo. Una carezza senza ricatti, calda e sincera. Straordinaria l'interpretazione di Daphne Scoccia. La fotografia di Ciprì riscatta il digitale arrivando a dargli un'anima. La citazione musicale de Il vangelo secondo Mateo di Pasolini dice di per sé quanto cuore abbia messo Giovannesi in questo magnifico lavoro. Complimenti. Ma soprattutto grazie.
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