robroma66
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domenica 26 giugno 2016
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il genio e la regolatezza
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E' un film, come ha detto il regista (Infascelli), che apre scatoloni di meraviglie.
Vincitore del David di Donatello come miglior documentario, doveva restare nelle sale un solo giorno (30 maggio) e invece si è fatto strada ed è già stato acquistato anche all'estero.
Emilio D'Alessandro emigrò da Cassino a Londra nel 1960. In una notte di tormenta e di neve fu l'unico che accettò di compiere una missione: portare da un capo all'altro della città un enorme fallo che -seppe poi- serviva sul set di Arancia meccanica.
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E' un film, come ha detto il regista (Infascelli), che apre scatoloni di meraviglie.
Vincitore del David di Donatello come miglior documentario, doveva restare nelle sale un solo giorno (30 maggio) e invece si è fatto strada ed è già stato acquistato anche all'estero.
Emilio D'Alessandro emigrò da Cassino a Londra nel 1960. In una notte di tormenta e di neve fu l'unico che accettò di compiere una missione: portare da un capo all'altro della città un enorme fallo che -seppe poi- serviva sul set di Arancia meccanica. Fu quindi assunto da Kubrick del quale fu per trent'anni autista e factotum, in una parola uomo di assoluta fiducia. E fratello maggiore che accudisce e mette in riga il genio sempre più fanciullo del regista. E soprattutto amico, di un'amicizia che divenne interdipendenza reciproca fino alla morte di K..
Emilio ha gli occhi vivaci e la narrazione composta; un candido dell'emigrazione italiana, instancabile lavoratore e solutore di problemi, leale, vigile, intriso di affetto incrollabile per il suo Kubrick della cui incommensurabile grandezza non ebbe a lungo idea. Anche perchè Emilio era appassionato di motori e corse e dovette rinunciare alla sua passione per il totalizzante rapporto di lavoro con il regista, cosa che lo indusse pure a trascurare gli affetti familiari.
Il film dunque è la narrazione del rapporto di lavoro e affettivo tra Emilio e Stanley. Racconta molti aneddoti che appaiono curiosi anche per la tenera naiveté di Emilio, tipo il suo scarso gradimento per Jack Nicholson che sniffava e si faceva le sigarette con le cartine, e quando le fumava in macchina a Emilio veniva una strana vertigine e la sensazione che la testa andasse lontano.
Il film non è adatto soltanto ai cinefili appassionati di Kubrick perchè parla il linguaggio -universale e intimistico a un tempo- del filo dei sentimenti intensi e totalizzanti, dell'amicizia che segna una vita, della custodia della memoria, della nostalgia -struggente ma composta- per quel che è stato. Un prodotto toccante e di alto valore.
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fabiofeli
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martedì 7 giugno 2016
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che fatica, però, con un padrone-amico!
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Stanley è il grande Kubrick. Il regista americano si firmava S. nei biglietti con le istruzioni delle cose da fare al suo autista factotum, Emilio D’Alessandro, originario di Cassino ed emigrato a Londra per lavoro. Questi è stato a disposizione di S. per 30 anni risolvendo per lui piccoli e grandi problemi, tanto da diventare un amico insostituibile. L’intervista che Infascelli stesso fa a D’Alessandro svela due personalità completamente diverse e forse proprio per questo complementari. Kubrick era un regista geniale e visionario, ma con ogni probabilità era incapace di trovare semplici soluzioni pratiche alle questioni che lo assillavano.
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Stanley è il grande Kubrick. Il regista americano si firmava S. nei biglietti con le istruzioni delle cose da fare al suo autista factotum, Emilio D’Alessandro, originario di Cassino ed emigrato a Londra per lavoro. Questi è stato a disposizione di S. per 30 anni risolvendo per lui piccoli e grandi problemi, tanto da diventare un amico insostituibile. L’intervista che Infascelli stesso fa a D’Alessandro svela due personalità completamente diverse e forse proprio per questo complementari. Kubrick era un regista geniale e visionario, ma con ogni probabilità era incapace di trovare semplici soluzioni pratiche alle questioni che lo assillavano. Di converso Emilio è una persona senza grandi colpi d’ala, ma il suo grande senso pratico e la sua abilità manuale lo rendevano prezioso per il regista. Egli conserva ancora i biglietti che S. gli scriveva. Grazie a questi scopriamo la passione del regista per gli animali, dei quali casa e giardino erano pieni. E ancora la assoluta pignoleria e precisione di S. nel preparare le scene dei suoi film e nell’elaborare 12 ferree regole da osservare nella sua casa, probabilmente più rivolto a se stesso che non agli altri. Emerge anche una personalità dispotica che rischia di mettere in crisi il suo dipendente-amico con le richieste più disparate e con la volontà di tenerlo ancora vicino anche quando questi desidera andare in pensione per tornare in Italia vicino ai suoi genitori ormai anziani. D’Alessandro racconta anche della scarsa capacità di guida automobilistica di Kubrick, spinto ad assumerlo dalla ammirazione per l’italiano che aveva gareggiato in formula 3 a Brands Hatch e che forse – se non avesse accettato di lavorare per l’americano – sarebbe approdato alla formula 1. In fondo a Emilio piaceva il lavoro di autista; era poco interessato al cinema pur sapendo che S. era considerato un grande del suo mestiere, tanto che aveva visto i DVD dei film del suo amico-padrone solo dopo la sua morte.
Il documentario di Infascelli è pieno di aneddoti che ne fanno raccomandare la visione ai cinefili che ammirano le opere di Stanley Kubrick.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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dandy
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venerdì 20 marzo 2020
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emilio and stanley
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Sceneggiando il libro "Stanley and i " dello stesso D'Alessandro,il regista gira un semplice ma entusiasmante resoconto di uno dei sodalizi più incredibili della storia del cinema.Incominciato in maniera casuale e irriverente(il fallo di "Arancia Meccanica" che D'Alessandro dovette consegnare al regista viaggiando durante una tormenta)e proseguito per tre decadi all'insegna dell'incrollabile fedeltà del narratore-protagonista e dell'implacabile esigenza del regista,che lo avebbe portato a dedicarsi totalmente a lui.A dispetto della breve durata e dei limiti produttivi(non è mostrato nessuno spezzone dei film di Kubrick per ovvi mitivi di copyright)risulta interessante non solo il ritratto del genio che fu il regista,evocato dagli aeddoti o dalle numerose foto di scena e non e dalle istruzioni su biglietti firmati S (da cui il titolo)ma anche quello di D'Alessandro,emigrato a Londra appena 18enne e diventato un abile pilota nelle gare automobilistiche.
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Sceneggiando il libro "Stanley and i " dello stesso D'Alessandro,il regista gira un semplice ma entusiasmante resoconto di uno dei sodalizi più incredibili della storia del cinema.Incominciato in maniera casuale e irriverente(il fallo di "Arancia Meccanica" che D'Alessandro dovette consegnare al regista viaggiando durante una tormenta)e proseguito per tre decadi all'insegna dell'incrollabile fedeltà del narratore-protagonista e dell'implacabile esigenza del regista,che lo avebbe portato a dedicarsi totalmente a lui.A dispetto della breve durata e dei limiti produttivi(non è mostrato nessuno spezzone dei film di Kubrick per ovvi mitivi di copyright)risulta interessante non solo il ritratto del genio che fu il regista,evocato dagli aeddoti o dalle numerose foto di scena e non e dalle istruzioni su biglietti firmati S (da cui il titolo)ma anche quello di D'Alessandro,emigrato a Londra appena 18enne e diventato un abile pilota nelle gare automobilistiche.E il suo narrare è efficace e sentito,con aneddoti irriverenti(il tentativo disastroso di Kubrick di guidare da solo,l'episodio dei conigli)o simpaticamente ignoranti(le lamentele sulla "polverina" e le "strane sigarette" usate da Nicholson sul set di "Shining")ma anche toccanti(gli aiuti offerti e rifiutati per le cure del figlio incidentato,la scoperta che dopo la rottura del sodalizio non era più in grado di continuare a girare "Eyes Wide Shut",e i vari omaggi in suo onore che ha disseminato nel film dopo il suo ritorno).
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