anna maria negri
|
giovedì 18 dicembre 2014
|
de libertate
|
|
|
|
Come C'era un volta in Anatolia, anche questo un capolavoro. Profondo, vero, intimo, complesso. Un film sul rispetto e sulla libertà dell'altro. E sull'ambiguità dei temi classici del bene e del male ed essenziali del vivere, l'attaccamento e la perdita, e la violenza "banale". Fotografia mirabile, sonoro essenziale.
|
|
[+] lascia un commento a anna maria negri »
[ - ] lascia un commento a anna maria negri »
|
|
d'accordo? |
|
degiovannis
|
giovedì 27 novembre 2014
|
dettagli alla ricerca dell'animo umano
|
|
|
|
E' vero, il riferimento a Shakespeare è evidente: fin troppo. Perché rischia di portare fuori strada. Nel film infatti non ci sono eventi o eroi eccezionali, messi alla prova da capricci del destino. Tutto è apparentemente piatto e uniforme e tutto scorre in una quiete apparentemente banale. Siamo invece in presenza di un microcosmo che aspira a rappresentare ben altro. E cominciamo dai dettagli che sono i veri protagonisti del film. Dell'insegna dell'hotel e del manifesto su Antonio e Cleopatra sappiamo già; ma nello studio del protagonista c'è anche una locandina su Caligola di Camus (allusione al governo di Erdogan?), c'è una maschera di Anonymous (che fa da contraltare proprio al potere rappresentato da Caligola), incombe un ritratto femminile (la figura materna?) che preannuncia la resa finale di Heiden.
[+]
E' vero, il riferimento a Shakespeare è evidente: fin troppo. Perché rischia di portare fuori strada. Nel film infatti non ci sono eventi o eroi eccezionali, messi alla prova da capricci del destino. Tutto è apparentemente piatto e uniforme e tutto scorre in una quiete apparentemente banale. Siamo invece in presenza di un microcosmo che aspira a rappresentare ben altro. E cominciamo dai dettagli che sono i veri protagonisti del film. Dell'insegna dell'hotel e del manifesto su Antonio e Cleopatra sappiamo già; ma nello studio del protagonista c'è anche una locandina su Caligola di Camus (allusione al governo di Erdogan?), c'è una maschera di Anonymous (che fa da contraltare proprio al potere rappresentato da Caligola), incombe un ritratto femminile (la figura materna?) che preannuncia la resa finale di Heiden. Ma non è tutto; proprio perché di dettagli si tratta, non dobbiamo cercare la chiave della comprensione del film in alcune scene madri, ma in momenti apparentemente insignificanti del racconto: le pantofole da donna fornite all'imam ospite, la maschera indossata per un momento dal protagonista, una lepre ferita, un dialogo sospeso sulla parola 'normalmente'. Il regista non ha ricette e fruga nell'animo umano, soprattutto maschile, alla ricerca di soluzioni alle contraddizioni del vivere. Ma è difficile trovarne, e la resa finale di un uomo in apparenza integro e soddisfatto di sé, il demandare alla figura femminile il piccolo filo di speranza che può sorreggerci in futuro non è che una soluzione precaria (anche questa), ma si riempe di un significato e di un impatto molto particolari, soprattutto se si considerano le recenti dichiarazioni di Erdogan circa il ruolo della donna nella società turca
[-]
|
|
[+] lascia un commento a degiovannis »
[ - ] lascia un commento a degiovannis »
|
|
d'accordo? |
|
moltdiana
|
domenica 23 novembre 2014
|
un cuore gelido
|
|
|
|
Regno d'inverno, una metafora per indicare chi come i protagonisti del film, ha un cuore gelido per chi è vicino, mentre si prodiga ad aiutare chi neanche conoscde.
|
|
[+] lascia un commento a moltdiana »
[ - ] lascia un commento a moltdiana »
|
|
d'accordo? |
|
vanessa zarastro
|
martedì 4 novembre 2014
|
teatro, romanzo e cinema
|
|
|
|
Quale sarà il sottile limite che divide il cinema dal teatro? Molti film nordici sono girati prevalentemente in interni con camera fissa. Chi afferma che l’introspezione psicologica sia più della letteratura o della drammaturgia che della cinematografia?
“Winter sleep” si può interpretare come un omaggio al teatro russo (il protagonista vuole scriverne la storia); è un film molto classico ambientato nella steppa anatolica che evoca in maniera palese quella russa raccontata da Cechov nelle sue opere. Tale ambientazione sarebbe fuori dal tempo se non fosse per il computer e le e.mails che riceve protagonista. La luce fioca delle candele, il fuoco nel camino, le pareti di pietra e le camere non riscaldate ci restituiscono il romanzo ottocentesco.
[+]
Quale sarà il sottile limite che divide il cinema dal teatro? Molti film nordici sono girati prevalentemente in interni con camera fissa. Chi afferma che l’introspezione psicologica sia più della letteratura o della drammaturgia che della cinematografia?
“Winter sleep” si può interpretare come un omaggio al teatro russo (il protagonista vuole scriverne la storia); è un film molto classico ambientato nella steppa anatolica che evoca in maniera palese quella russa raccontata da Cechov nelle sue opere. Tale ambientazione sarebbe fuori dal tempo se non fosse per il computer e le e.mails che riceve protagonista. La luce fioca delle candele, il fuoco nel camino, le pareti di pietra e le camere non riscaldate ci restituiscono il romanzo ottocentesco.
La prima inquadratura sembra proprio un quadro di Anselm Kiefer: una steppa corposa di sterpi e arbusti, con il cielo ventoso che incombe. Da qui si passa alla livida tundra della Cappadocia, con le case scavate nel tufo ricche di pinnacoli e levigate dal tempo.
Aydin (un bravissimo Haluk Bilginer) attore in pensione ma anche ricco possidente, gestisce un piccolo hotel nell'Anatolia centrale, che, guarda-caso ha chiamato “Othello”. Vive insieme alla giovane moglie Nihal e Necla, la sorella che lo ha raggiunto dopo il suo divorzio. Durante l’inverno, mentre la neve ricopre l'intera steppa, l'hotel diventa il loro rifugio, ma anche il teatro dei loro conflitti.
Il cinema turco è ben rappresentato da Nuri Bilge Ceylan che è molto amato a Cannes, che lo ha scoperto fin da un suo cortometraggio, e ha premiato “Winter Sleep” quest’anno. Il suo cinema spesso è fatto di lunghi piani sequenza, di molti silenzi, e di duri panorami all’orizzonte. "Winter Sleep" rientra nella categoria di “cinema rurale” ma presenta moltissimi dialoghi («ho taciuto per 15 anni…» dice il giovane professore ubriacandosi).
È presente tanto teatro – Aydin è un ex-attore che si accinge appunto a scrivere una storia del teatro turco – riconoscibile nell’ambientazione statica che contiene i conflitti e tiene in pressionel’intero racconto. “Il regno d’inverno” è palesemente čechoviano, per “l’odore dell’inverno che è una sorte di letargo morale con la coltre di neve che tutto attutisce e addormenta l’esistenza; e proprio come nelle Tre sorelle i protagonisti vorrebbero poter cambiare vita, andarsene a Istanbul (Mosca, Mosca) immaginando una via di fuga che viene però inesorabilmente frustrata dalla loro abulia e dall’indisponibilità ad abbandonare una condizione di privilegio.
Ma c’è anche tanto cinema di Bergman, per il lavoro preciso e attento che palesa le incongruenze morali non salvando nessuno rivelandole lentamente in un crescendo cui manca la catastrofe finale. Infatti lo spettatore vive tutto il film attendendo una disgrazia, un suicidio, una morte…invece le insofferenze e i risentimenti sono l’inevitabile palude in cui ristagna la loro vita rispetto alla quale nessuna fuga è praticabile. Aydin vuole partire ma dopo una notta passata dall’amico a ubriacarsi torna a casa convinto persino di essere cambiato…
Ceylanrealizza un film ipnotico, molto parlato, ma ben riuscito senza cali di tono. Uno spietato ritratto dei rapporti umani di convivenza dove i non detti logorano e il tempo sembra cambiare tutti ma contemporaneamente non cambiare nulla.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a vanessa zarastro »
[ - ] lascia un commento a vanessa zarastro »
|
|
d'accordo? |
|
no_data
|
martedì 28 ottobre 2014
|
molto molto gradevole
|
|
|
|
Un film profondo, tutto fondato sui dialoghi e mai noioso.
|
|
[+] lascia un commento a no_data »
[ - ] lascia un commento a no_data »
|
|
d'accordo? |
|
no_data
|
martedì 28 ottobre 2014
|
cappadocia: dove sono i fiori di monsieur ibrahim?
|
|
|
|
Un lavoro introspettivo e filosofico ai confini dell'abitudine d'amore tra i protagonisti ognuno preso dalla realizzazione del suo opinabile obiettivo. I lunghi, prolissi ed estenuanti dialoghi del protagonista Aydin con la sorella Necla e con la moglie Nihal sono necessari per capire le dimensioni dell'opera che non sono solo spaziali ma anche temporali.
Il film si sarebbe potuto fare sicuramente più corto ma non sarebbe stato lo stesso film.
Qualche momento troppo lungo effettivamente stanca fino ad annoiare ma si arriva fino in fondo per la curiosità di sapere come va a finire il tentativo di archeologia affettiva e per scoprire che nulla cambia se non si ha il coraggio di cambiarla montando in sella ad una moto senza avere una meta prefissata.
|
|
[+] lascia un commento a no_data »
[ - ] lascia un commento a no_data »
|
|
d'accordo? |
|
veritasxxx
|
martedì 28 ottobre 2014
|
per spettatori asceti
|
|
|
|
Ma quanto parlano 'sti turchi! Che fumassero non avevamo dubbi, che fossero coinvolti più o meno direttamente in guerre di religione nel sempre caldo medioriente lo vediamo ogni giorno, e anche che ci fossero contraddizioni implicite tra l'essere un paese islamico e aspirare all'entrata nell'Unione europea. Ma questo letargo invernale turco ci offre spunti di riflessione più profondi di quanto mai avremmo potuto aspettarci. È un film parabola, e in certi momenti sembra solo che manchi Gesù (o Allah) a raccontarci la buona novella prima di annunciare "questa pippazza di tre ore e venti è finita, andate in pace!".
Il regista Nuri Bilge Ceylan, già assiduo frequentatore di Cannes, questa volta coglie nel segno e si aggiudica la palma d'oro.
[+]
Ma quanto parlano 'sti turchi! Che fumassero non avevamo dubbi, che fossero coinvolti più o meno direttamente in guerre di religione nel sempre caldo medioriente lo vediamo ogni giorno, e anche che ci fossero contraddizioni implicite tra l'essere un paese islamico e aspirare all'entrata nell'Unione europea. Ma questo letargo invernale turco ci offre spunti di riflessione più profondi di quanto mai avremmo potuto aspettarci. È un film parabola, e in certi momenti sembra solo che manchi Gesù (o Allah) a raccontarci la buona novella prima di annunciare "questa pippazza di tre ore e venti è finita, andate in pace!".
Il regista Nuri Bilge Ceylan, già assiduo frequentatore di Cannes, questa volta coglie nel segno e si aggiudica la palma d'oro. Ma realizza un film guardabile o la solita lagna interminabile riservata ad intellettuali in erba che si vantano di vedere solo film d'autore di durata quasi improponibile per lo spettatore medio?
Un po' e un po' a dire il vero. Il film, tra una discussione filosofica e l'altra tra il protagonista (il bravo Haluk Bilginer, perfetto nella sua rappresentazione dell'uomo ricco, colto e maturo che sente un bisogno irrefrenabile di pontificare anche su argomenti a lui poco noti) e sua sorella, e i frequenti battibecchi con la giovane moglie che cerca un riscatto personale occupandosi di volontariato, presenta una questione che offre validi spunti di riflessione. È meglio lasciare che il male faccia il suo corso, ovvero mettere le persone nella condizione di essere libere di commettere atti di cui un giorno potranno pentirsi e cercare da sole la redenzione ammettendo la propria colpa, o impedire sempre ogni atto illegale o moralmente inaccettabile, punendo chi si trova in difetto con le regole della nostra società?
Per il vecchio Aydin non c'è dubbio che sia sempre meglio colpire i malfattori; la giovane e ingenua moglie cerca invece di dimostrare il contrario donando una quantità di denaro spropositata ai suoi debitori, ma viene prontamente smentita e umiliata perchè "un ubriacone bastardo non le capisce certe raffinatezze". E capirà che in fondo il marito, pur se borioso e saccente, è meglio di tanta brutta gente che vive fuori dalla loro casetta ben riscaldata nella piovosa Anatolia.
La fotografia rimane la nota di maggiore merito della pellicola, pure nella sua staticità teatrale: i luoghi rappresentati sono di una bellezza che toglie il fiato anche se non esattamente la destinazione più gettonata delle guide turistiche. Ma mi chiedo perchè ci si debba far venire le piaghe da decubito per ricevere un messaggio relativamente semplice che poteva essere trasmesso tranquillamente in metà del tempo.
Consigliato a chi ha la domeniche pomeriggio vuote, pochi amici e nessun parente vivente che reclami la vostra compagnia nei giorni di festa.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a veritasxxx »
[ - ] lascia un commento a veritasxxx »
|
|
d'accordo? |
|
guy53
|
lunedì 27 ottobre 2014
|
visto un po' più dal basso...
|
|
|
|
Non ripeterò i commenti autorevoli sui quali sono in gran parte d'accordo; non posso esprimermi sui riferimenti dotti. Il film è bello, richiede un certo impegno ma lo ripaga nella sua profondità e ricchezza di sfaccettature. Che l'albergo si chiamasse "Othello" non l'ho visto da nessuna parte. Francamente non mi sembra che Aydin ci faccia una bella figura, se non nel controllarsi di fronte alle critiche continuamente mosse dalla sorella: ne emerge la figura di un uomo narcisista, incapace di empatia, convinto della propria superiorità e le sue ultime parole sulla sua incapacità di vivere senza la moglie suonano come una resa alla realtà dei fatti più che a un'apertura alle ragioni dell'altra.
[+]
Non ripeterò i commenti autorevoli sui quali sono in gran parte d'accordo; non posso esprimermi sui riferimenti dotti. Il film è bello, richiede un certo impegno ma lo ripaga nella sua profondità e ricchezza di sfaccettature. Che l'albergo si chiamasse "Othello" non l'ho visto da nessuna parte. Francamente non mi sembra che Aydin ci faccia una bella figura, se non nel controllarsi di fronte alle critiche continuamente mosse dalla sorella: ne emerge la figura di un uomo narcisista, incapace di empatia, convinto della propria superiorità e le sue ultime parole sulla sua incapacità di vivere senza la moglie suonano come una resa alla realtà dei fatti più che a un'apertura alle ragioni dell'altra. Coerentemente i due continuano la loro vita di separati in casa. Aprire il cuore non è proprio possibile per chi non ne ha, questa è una delle amare verità del film.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a guy53 »
[ - ] lascia un commento a guy53 »
|
|
d'accordo? |
|
gioinga
|
lunedì 27 ottobre 2014
|
pretenzioso e deprimente
|
|
|
|
Un film molto pretenzioso che vorrebbe indagare questioni complesse come la felicità umana, la difficoltà dei rapporti familiari, la depressione, l'arroganza, il degrado economico e morale. La sceneggiatura però non è affatto all'altezza e il risultato è un film noioso ed eccessivamente lungo, privo dello spessore culturale che sarebbe stato necessario per trattare certi argomenti.
|
|
[+] lascia un commento a gioinga »
[ - ] lascia un commento a gioinga »
|
|
d'accordo? |
|
pepito1948
|
domenica 26 ottobre 2014
|
paesaggio parlante ed atmosfere sospese
|
|
|
|
E’ lui che tira le fila della storia, Aydin, ex attore ritiratosi nella Cappadocia semidesertica per gestire un piccolo hotel, intento a scrivere piccoli articoli su un piccolo giornale locale e aspirante a scrivere una grande storia del teatro turco, insieme alla giovane moglie, impegnata in un progetto benefico ed alla sorella, divorziata insoddisfatta e forse pentita. Poi c’è un contorno di figure come un imam, locatario moroso per mancanza di mezzi ed ipocritamente accondiscendente, suo fratello esacerbato dalla recente esperienza carceraria, un ossequioso ma saggio factotum, un amico di vecchia data, che entrano ed escono dal racconto in funzione delle vicende di quel triangolo.
[+]
E’ lui che tira le fila della storia, Aydin, ex attore ritiratosi nella Cappadocia semidesertica per gestire un piccolo hotel, intento a scrivere piccoli articoli su un piccolo giornale locale e aspirante a scrivere una grande storia del teatro turco, insieme alla giovane moglie, impegnata in un progetto benefico ed alla sorella, divorziata insoddisfatta e forse pentita. Poi c’è un contorno di figure come un imam, locatario moroso per mancanza di mezzi ed ipocritamente accondiscendente, suo fratello esacerbato dalla recente esperienza carceraria, un ossequioso ma saggio factotum, un amico di vecchia data, che entrano ed escono dal racconto in funzione delle vicende di quel triangolo.
C’è anche un altro protagonista, un paesaggio ancestrale, primitivo, immobile, di pietra nuda, che entra nelle pareti del piccolo hotel trasmettendo all’interno un senso di fermo immagine della vita, di isolamento, di durezza immutabile, di solitudine; interazione che, sotto il manto innevato dell’inverno, aggiunge un senso di lenta sonnolenza esistenziale. Gli incastri del trio sembrano reggere nel pigro scorrere delle giornate, ma, come preannuncia la rottura improvvisa di un finestrino a causa di una sassata, qualcosa sta per infrangersi nel menage. L’interazione verbale fa emergere diversità di vedute, che vanno concentrandosi sul rapporto coniugale: Aydin, dietro la facciata bonaria e rassicurante dell’erudito, del paziente capo-azienda, dell’esperto professionista, si dimostra uomo di pochi scrupoli verso i più esposti alle difficoltà e soprattutto si rivela paterfamilias, intransigente nel ribadire la preminenza del proprio ruolo e nell’imporre il controllo sulle attività della moglie, a sua volta ferma nel rifiutare un ruolo meramente ancillare. Il vortice dei dissensi si allarga al passato, alle rispettive rinunce, alle denunce di incomprensione, finchè l’attempato scrittore, poco incline a flettere dalle sue radicate convinzioni, decide di imboccare una strada solitaria. Ma, in attesa del treno che lo porterà all’agognata Istanbul, cede all’impulso di rimettersi in discussione e di avviare una profonda riflessione sulle scelte troppo istintivamente adottatee su un’identità rivelatasi imperfetta.
Ceylan, dopo il Viaggio in Anatolia, conferma la grande capacità di entrare nei labirinti tortuosi delle relazioni umane, per scoprirne le contraddizioni, le false apparenze, le zone ombrose, e lo fa qui accentuando l’apporto di un dialogo serrato, avvalendosi della complicità di un panorama inquietante ma affascinante e sempre presente, di simbologie a contrasto (l’ospite motociclista che persegue un itinerario di vita basato sull’imprevedibilità, sul rischio, sull’ignoto), ed evidenziando la stridente convivenza tra modernità dilagante e resistenza di valori tradizionali, tipica della Turchia attuale. L’impegno richiesto dal seguire il filo logico dei dialoghi stringenti e l’irrompere di momenti ad alta tensione emotiva (come il confronto imprevisto quanto drammatico tra la moglie e lo squinternato fratello dell’imam) fanno sì che le tre ore e un quarto di durata scorrano via, lasciandoti un corredo di riflessioni ed emozioni da elaborare. Nonostante qualche caduta di ritmo e traccia di artificiosità nel finale (non si sa se e quanto dovute alla traduzione e al doppiaggio), il film si apprezza anche per il fascino di atmosfere autentiche, sospensive e mai da cartolina, soprattutto negli interni ripresi con abile uso della luce diradata, come quella tenue ma viva delle lanterne e dei caminetti, il tutto recitato da un cast di alto livello e diretto dal regista con mano attenta a gestire con la dovuta morbidezza i cambiamenti di tono.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a pepito1948 »
[ - ] lascia un commento a pepito1948 »
|
|
d'accordo? |
|
|