hidalgo
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venerdì 24 ottobre 2014
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capolavoro in cappadocia
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Centonovantasei minuti di grande cinema; questo è Winter Sleep, film imperdibile per ogni cinefilo che si rispetti. Ceylan ci porta in Cappadocia, in un albergo isolato tra e nelle rocce, dove assistiamo al disfacimento di una famiglia composta da persone profondamente dverse tra di loro. L'animo umano è al centro di questo memorabile affresco; insoddisfazione, rancore e voglia di una vita diversa sono i sentimenti dominanti. I protagonisti di quest'opera hanno alzato tra loro un muro di incomunicabilità e e di celato disprezzo. Un ex attore che cerca di scrivere un libro, tra un articolo di giornale e l'altro. Sua moglie, segretamente schiacciata dalla forte personalità del marito, cerca il senso della sua esistenza in maldestre e poco chiare opere di beneficenza.
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Centonovantasei minuti di grande cinema; questo è Winter Sleep, film imperdibile per ogni cinefilo che si rispetti. Ceylan ci porta in Cappadocia, in un albergo isolato tra e nelle rocce, dove assistiamo al disfacimento di una famiglia composta da persone profondamente dverse tra di loro. L'animo umano è al centro di questo memorabile affresco; insoddisfazione, rancore e voglia di una vita diversa sono i sentimenti dominanti. I protagonisti di quest'opera hanno alzato tra loro un muro di incomunicabilità e e di celato disprezzo. Un ex attore che cerca di scrivere un libro, tra un articolo di giornale e l'altro. Sua moglie, segretamente schiacciata dalla forte personalità del marito, cerca il senso della sua esistenza in maldestre e poco chiare opere di beneficenza. La sorella del protagonista (un grandissimo Haluk Bilginer) passa la sua vita senza farne nulla e di questa sua condizione accusa il resto della famiglia. Insieme a loro, si muovono altri personaggi, tutti ottimamente caraterizzati e funzionali alla storia. Assistiamo così a una seri di dialoghi talmente profondi che andrebbero registrati e riascoltati alla fine del film e a delle scene che di dialoghi non hanno bisogno; bastano in quei casi le magnifiche inquadrature di Celyan a trasmettere tutto quello che c'è da trasmettere. Il regista turco scegli di immortalare visi e sensazioni dei suoi attori con una serei di piani sequenza e primi piani efficacissimi, mentre gli splendidi paesaggi sono parte intergrante e fondamentale del film e le abitazioni costruite nella roccia aggiungono un tocco quasi fiabesco a una storia di per se estremamente concreta e reale. Un film magnifico, esistenziale, profondo. Una ricerca di se stessi e di una libertà interiore che alla fine sembra trovare solo Aydin, il protagonista principale, uomo apparentemente buono e pacato ma in realtà duro e dominante.
Da non perdere.
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zarar
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venerdì 24 ottobre 2014
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un lungo sonno e un incerto risveglio
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Sullo sfondo di un’Anatolia gelata e letargica, in un paesaggio immobile e arcaico, il film apre su una sassata che spacca il finestrino della macchina di Aydin, proprietario benestante di un hotel per turisti. Il figlio di un affittuario moroso tartassato esprime così la sua rabbia verso il “padrone” cattivo. E’ segno simbolico di qualcosa che si rompe anche nella vita di Aydin, introducendo il tarlo del dubbio sul senso della sua esistenza. Costretto a gettare uno sguardo su un mondo altro, quello dei miserabili a cui toglie il pane delegando ad altri il lavoro sporco, Aydin respinge con fastidio questa ‘invasione’, ma entra in crisi suo malgrado, si interroga e cerca conferme da chi gli sta intorno, la sorella, la giovane moglie Nihal, un vecchio amico, un maestro progressista… E mentre sente oscillare sempre più le sue sicurezze, scopre via via con crescente sorpresa e disagio quanto poco possano dargli, quanto siano diversi da come crede, come addirittura lo giudichino senza indulgenza, come ciascuno di loro sia murato nella sua diversa infelicità, o peggio ancorato a precarie illusioni.
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Sullo sfondo di un’Anatolia gelata e letargica, in un paesaggio immobile e arcaico, il film apre su una sassata che spacca il finestrino della macchina di Aydin, proprietario benestante di un hotel per turisti. Il figlio di un affittuario moroso tartassato esprime così la sua rabbia verso il “padrone” cattivo. E’ segno simbolico di qualcosa che si rompe anche nella vita di Aydin, introducendo il tarlo del dubbio sul senso della sua esistenza. Costretto a gettare uno sguardo su un mondo altro, quello dei miserabili a cui toglie il pane delegando ad altri il lavoro sporco, Aydin respinge con fastidio questa ‘invasione’, ma entra in crisi suo malgrado, si interroga e cerca conferme da chi gli sta intorno, la sorella, la giovane moglie Nihal, un vecchio amico, un maestro progressista… E mentre sente oscillare sempre più le sue sicurezze, scopre via via con crescente sorpresa e disagio quanto poco possano dargli, quanto siano diversi da come crede, come addirittura lo giudichino senza indulgenza, come ciascuno di loro sia murato nella sua diversa infelicità, o peggio ancorato a precarie illusioni. Scopre in particolare che la giovane moglie che a suo modo ama e a cui non nega nulla, lo detesta silenziosamente da tempo perché lo sente cinico e indifferente alle sue autonome aspirazioni e ai suoi progetti di riscatto sociale. Aydin è stato in passato attore drammatico (il suo hotel si chiama Othello), ma il dramma borghese di cui è ora protagonista non ha nulla della forza tragica shakespeariana. E’ piuttosto Cechov che viene in mente per questo lento viaggio circolare di parole, di sguardi, di silenzi, in cui le passioni devono essere controllate, i chiarimenti non chiariscono mai fino in fondo, e gli scontri non portano ad una definitiva catarsi. Ciascuno degli ‘attori’ vorrebbe una vita autentica, che lo/a liberasse da un senso incombente di inutilità, insensatezza, profonda solitudine, estraneità al suo passato e al suo presente in una Turchia in bilico tra immobilismo e modernità, ma manca loro la forza intellettuale e morale per trovare vie d’uscita credibili. Aydin progetta di andarsene (a Istambul¸ la Mosca del ‘Giardino dei ciliegi’), ma rinuncia a metà strada, quasi tirato indietro dall’infelicità che si lascia alle spalle. Torna senza più certezze o speranze, pronto ad accettare tutto senza chiedere nulla, disposto a ricominciare da capo, disposto a mettersi in gioco anche lui con un suo vecchio progetto di ricerca mai realizzato: una storia del teatro turco. E’ come un risveglio dopo un lungo sonno, ma è un risveglio ‘vuoto’, aperto a prospettive incerte e vaghe. E intanto il regista ci ha già tolto ogni illusione sul volenteroso attivismo sociale di Nihal, così irriso a suo tempo da Aydin. Decisa a fare il beau geste come rivalsa estrema contro il marito (una somma spropositata da regalare al miserabile affittuario) ottiene solo un gesto di supremo disprezzo dall’unico personaggio vittoriosamente “tragico” in questa storia. Ceylan è grande nel delineare quest’intreccio di mondi incomunicabili, di dramma imploso, di faticoso affiorare della consapevolezza: in tre ore in cui l’ azione è limitatissima, la tensione non cala quasi mai, i tempi sono calibratissimi, i piani e inquadrature parlano insieme ai personaggi, la fotografia è bellissima e mai accademica. E in un luogo in mezzo al nulla e con pochissimi personaggi riesce a raccontare un intero paese (e non solo).
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(di giank51)
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lore tore
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venerdì 24 ottobre 2014
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un tour de force d'altri tempi.
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Nuri Ceylan è uno dei registi più premiati del Festival di Cannes[+]
Nuri Ceylan è uno dei registi più premiati del Festival di Cannes dell'ultimo decennio. Vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria nel 2003 con il film Uzak, vincitore del premio per la Miglior Regia cinque anni dopo per il lungometraggio Üç maymun (2008; Le tre Scimmie) e nuovamente il Gran Prix tre anni dopo per Bir zamanlar Anadolu'da (2011; C'era una volta in Anatolia). Al già ricco ed invidiabile palmarès mancava solo il premio più ambito che prontamente gli venne assegnato al termine dell'ultima edizione (2014, la 67°) per l'inamovibile ed all'unanime stimato (il) Regno d'Inverno.
Il settimo lungometraggio del regista di Istanbul, uscito negli schermi italiani il 9 ottobre (una settimana alla scrittura dell'articolo), non stupisce abbia guadagnato nel primo fine settimana poco più di 110.000 euro d'incassi. Ad influire le scelte di un pubblico da fine settimana è stata, oltre alla maestosità di un film che lavora di dialoghi e filosofia dell'abbandono, anche una durata ormai diventata proibitiva a ritmi che rasentano un post-moderno futurismo.
L'affinato lavoro di dilatazione permane lungo tutto il corso della narrazione. Quest'ultima accompagnata da dibattiti sulla morale e sulla religione da parte di una comunità familiare che di religioso ed umano ha ben poco. Se è vero che l'uomo in quanto tale affinché possa sopravvivere necessita di relazioni sociali e riscontri affettivi, ci si aspetterebbe dal protagonista Aydin (interpretato da uno strepitoso Haluk Bilginer), un seppur minimo riscontro alla solitudine che imperversa nella casa.
Il personaggio si aggira infreddolito per le bianche campagne della Cappadocia; per i lunghi corridoi dell'albergo del quale, assieme alla sorella, è proprietario; fra le linee dei brevi articoletti e saggi di filosofia che settimanalmente pubblica sulla rivista locale; annientando con arroganza e verbale insolenza qualsiasi opinione provenga dalle persone che, in quanto a lui più vicine, dovrebbero conoscerlo meglio.
Ma nell'opera di Ceylan nessuno è innocente. E la vera personalità dei familiari si deteriora velocemente, come una forte nevicata può logorare qualsiasi tentativo di sbocciatura di un fiore.
Con un utilizzo immobile della macchina da presa e chirurgici campo contro campo, il tempo si blocca e si assiste a profonde osservazioni su quello che siamo veramente, sulla fragilità dei nostri animi, sull'imbarazzo inconsapevolmente arrecato, sulla brutalità che possono assumere le nostre migliori intenzioni. Il sasso lanciato dal bambino in una delle prime sequenze iniziali, è un monito alla violenza presente in un mondo nel quale nessuno ha più intenzione di rimanere, ma dal quale, nonostante lodevoli ripromesse, non si riesce a evadere. L'albergo è solo una piccola ampolla di vetro dove ormai nessuno, seppur la raffinatezza del luogo sia straordinaria, è capace di provare calore.
Un tour de force d'altri tempi. Destinato ad un pubblico d'ascoltatori. Strepitoso.
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pressa catozzo
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giovedì 23 ottobre 2014
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favoloso
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Ogni considerazione è niente sulla bellezza di questa opera. 10 e lode. Tre ore volate via ma lasciado dentro un bel ricordo.
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siebenzwerg
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giovedì 23 ottobre 2014
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un colpo da maestro
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Come ammiratore di Shakespeare (alias Lord DeVere), di Cechov e di Bergman ho notato e apprezzato il grande omaggio che questo regista ha voluto fare alla storia del teatro. Credo che Ceylan senza falsa modestia proponga se stesso come erede di quella tradizione tragica della letteratura che ha fatto del teatro un luogo di ricerca dell'esistenza. È un film sul dolore dell'essere umano che cercando di distruggere le proprie maschere, distrugge se stesso prima di trovare la via d'uscita verso l'autenticità. Ma al di là di ogni discorso sul senso del film, ma che attori!! Tutti fenomenali, da rimanere incantati per 3 ore, solo per loro. Qualche perplessità sulla costruzione drammaturgica della trama: il personaggio della sorella Necia ha un peso squilibrato nell'arco dello svolgimento, così forse anche il personaggio del pregiudicato meritava più attenzione.
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Come ammiratore di Shakespeare (alias Lord DeVere), di Cechov e di Bergman ho notato e apprezzato il grande omaggio che questo regista ha voluto fare alla storia del teatro. Credo che Ceylan senza falsa modestia proponga se stesso come erede di quella tradizione tragica della letteratura che ha fatto del teatro un luogo di ricerca dell'esistenza. È un film sul dolore dell'essere umano che cercando di distruggere le proprie maschere, distrugge se stesso prima di trovare la via d'uscita verso l'autenticità. Ma al di là di ogni discorso sul senso del film, ma che attori!! Tutti fenomenali, da rimanere incantati per 3 ore, solo per loro. Qualche perplessità sulla costruzione drammaturgica della trama: il personaggio della sorella Necia ha un peso squilibrato nell'arco dello svolgimento, così forse anche il personaggio del pregiudicato meritava più attenzione. Ma il resto è talmente coinvolgente da far dimenticare queste imperfezioni narrative.
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foffola40
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lunedì 20 ottobre 2014
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rapporti fragili in un contesto aspro
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bello questo film di Ceylan , in una Matera turca molto suggestiva, inospitale ma affascinante : cavalli bradi, tormente di neve, donne inquiete, imam diplomatici ma ipocriti, affittuari morosi e violenti.
Le parole sono pietre è il fil rouge di questo film infatti oltre ai richiami a Shakespeare (frasi, ricordi ) si passa da un dialogo all'altro fra i protagonisti, il padrone di casa, la giovana moglie, la sorella e gli altri che vivono intorno a lui. Nell'albergo, posto nelle grotte rupestri, eredità della famiglia, vivono insieme alla coppia padronale, la sorella di lui e due dipendenti . Le tensioni fra la sorella, sola e divorziata, si manifestano prima di quelle ancora più profonde fra moglie e marito, in definitiva ambedue le donne giudicano negativamente la vita del "capo" e i suoi comportamenti .
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bello questo film di Ceylan , in una Matera turca molto suggestiva, inospitale ma affascinante : cavalli bradi, tormente di neve, donne inquiete, imam diplomatici ma ipocriti, affittuari morosi e violenti.
Le parole sono pietre è il fil rouge di questo film infatti oltre ai richiami a Shakespeare (frasi, ricordi ) si passa da un dialogo all'altro fra i protagonisti, il padrone di casa, la giovana moglie, la sorella e gli altri che vivono intorno a lui. Nell'albergo, posto nelle grotte rupestri, eredità della famiglia, vivono insieme alla coppia padronale, la sorella di lui e due dipendenti . Le tensioni fra la sorella, sola e divorziata, si manifestano prima di quelle ancora più profonde fra moglie e marito, in definitiva ambedue le donne giudicano negativamente la vita del "capo" e i suoi comportamenti . Rapporti familiari critici, amarezze, rimproveri fino alla partenza del marito che decide di allontanarsi per andare ad Istanbul. Ritorna presto a casa con un trofeo di caccia, metafora della sua resa nei confronti della moglie, alla quale offre simbolicamente la lepre catturata. Sono i rapporti umani che deflagrano fisiologicamente in particolare quando c'è tempo per pensare, silenzio per riflettere, natura inospitale e grumi di delusione nell'animo. Foffola40
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amgiad
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domenica 19 ottobre 2014
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l' inverno della nostra solitudine
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Piano piano cadono i veli e quello che nelle prime immagini appare come un luogo fantastico mostra le sue miserie. Per alcuni sono economiche, per altri morali, per tutti esistenziali. A nessuno è concesso il lusso di riscattarsi. Il protagonista, ex attore ora redattore di un periodico locale, non raccoglie l' invito di una sua lettrice ed evita di fare un gesto generoso. Per rivalsa? blocca i progetti di sua moglie. La stessa si vede rifiutare quello che pensa sia un giusto gesto riparatore. Tutto sullo sfondo di questo paesaggio immobile nel tempo. Quando tutti i rapporti si sono rotti ed è emerso la sostanza della solitudine fino allora vissuta da lui, dalla sorella, dalla moglie, sulla strada per Istanbul uccide la lepre.
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Piano piano cadono i veli e quello che nelle prime immagini appare come un luogo fantastico mostra le sue miserie. Per alcuni sono economiche, per altri morali, per tutti esistenziali. A nessuno è concesso il lusso di riscattarsi. Il protagonista, ex attore ora redattore di un periodico locale, non raccoglie l' invito di una sua lettrice ed evita di fare un gesto generoso. Per rivalsa? blocca i progetti di sua moglie. La stessa si vede rifiutare quello che pensa sia un giusto gesto riparatore. Tutto sullo sfondo di questo paesaggio immobile nel tempo. Quando tutti i rapporti si sono rotti ed è emerso la sostanza della solitudine fino allora vissuta da lui, dalla sorella, dalla moglie, sulla strada per Istanbul uccide la lepre. Accettata la vita che resta finalmente inizia a scrivere la storia del teatro turco (la sua tela di Penepole)
Bel film, bella fotografia, buona sceneggiatura anche se alcune scene e dialughi sono un po' lunghi.
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francesco2
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venerdì 17 ottobre 2014
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la mia solitudine sei tu
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Il nome del turco Ceylan, negli ultimi dieci anni ( Se prendiamo come riferimento "Uzak") ha creato, forse abbastanza presto, due partiti.
Nel primo lo si considera un cineasta che tocca temi profondi, anti-"Hollywoodiano", anche stilisticamente; nel secondo, uno di quei (presunt(uos)?i) "artisti" che annoia, fregiandosi dei tempi lunghi presenti nel suo cinema alternativo.
La prima scena di questo "Winter Sleep" ricorda (il migliore) Kiarostamì, con il protagonista sola presenza in un paesaggio, quasi metafora del regista stesso che si impegna in una ricerca attinente la (Voluta?) solitudine del
personaggio.
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Il nome del turco Ceylan, negli ultimi dieci anni ( Se prendiamo come riferimento "Uzak") ha creato, forse abbastanza presto, due partiti.
Nel primo lo si considera un cineasta che tocca temi profondi, anti-"Hollywoodiano", anche stilisticamente; nel secondo, uno di quei (presunt(uos)?i) "artisti" che annoia, fregiandosi dei tempi lunghi presenti nel suo cinema alternativo.
La prima scena di questo "Winter Sleep" ricorda (il migliore) Kiarostamì, con il protagonista sola presenza in un paesaggio, quasi metafora del regista stesso che si impegna in una ricerca attinente la (Voluta?) solitudine del
personaggio. Ma in questo "Regno d'inverno" mancano quei silenzi sinuosi che distinguevano il precedente "C'era una volta"........, anche a costo di farlo classificare come esercizio di stile; né Ceylan (in)segue De Oliveira e il suo
Piccoli, nel suo sardonico "Ritorno a casa". Non commisera né tantomeno santifica il protagonista -Giusto-, ma in questo ritratto fanno capolino un Rohmer aggiornato a temi di attualità -Il dialogo su violenza e sopraffazione, per
esempio- , o immagini che sanno di pura didascalia: si vedano le "scuse" del ragazzino, le inquadrature con protagonisti animali che richiamano -PARZIALMENTE- certo Anghelopoulos, o la scena finale del dialogo tra la moglie e
l'affittuario. Appena accennata, invece, appare l'attività del protagonista come redattore in un giornale locale, e totalmente inesistente il suo rapporto coi lettori, che forse avrebbe aggiunto di più rispetto alla realtà(?) di cui sembra essersi
circondato.
Né le cose vanno necessariamente meglio quando tali dialoghi riguardano i rapporti (ancora?) esistenti tra i protagonisti: se efficaci appaiono le scene in cui è presente il già citato affittuario, il dialogo con la sorella, per quanto
penetrante, rischia di essere davvero troppo lungo e non sempre incisivo; e con la moglie, se le frasi sulla cultura come "Sopraffazione" sono forse le più belle del film, le scene precedenti esemplificano pedantemente i dubbi riguardo il
volontariato della donna.e le conseguenze, vere o presunte, che potrebbe avere quest'attività.
Forse, parlando di solitudine, bisognerebbe rifarsi maggiormente a certo cinema portoghese: oltre a quello citato, penso a "Ricordi della casa gialla"(Monteiro), o a "Acqua e sale"(De Villaverde). Saranno film discutibili, ma
rappresentano una chiave diversa nel descrivere la solitudine del singolo, che -Nel caso di Monteiro- potrebbe apparire anche circondato da una società in disfacimento.
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[+] egregiamente come io non saprei
(di zoom e controzoom)
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flyanto
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giovedì 16 ottobre 2014
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quando ci si dirige verso un lento ed inesorabile
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Film in cui si racconta di un anziano proprietario di un albergo in Cappadocia, ex attore di teatro ed ora pèossidente di numerose terre ed edifici, il quale trascorre le proprie giornate occupandosi dello stesso (ma sopratutto intrattenendo i vari clienti), convivendo con la sorella e con la moglie più giovane e dedicandosi alla composizione di un libro sulla storia del teatro turco. Nel corso di queste giornate la vita scorre lenta ed all'insegna di svariati episodi quotidiani, più banali o meno, e diventano l'occasione per lui e per tutti gli altri protagonisti per riflettere in generale sulla propria esistenza, sulla prorpia coscienza o meno, sulla religione e sulle tradizioni, sulla fine dell'amore, ecc.
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Film in cui si racconta di un anziano proprietario di un albergo in Cappadocia, ex attore di teatro ed ora pèossidente di numerose terre ed edifici, il quale trascorre le proprie giornate occupandosi dello stesso (ma sopratutto intrattenendo i vari clienti), convivendo con la sorella e con la moglie più giovane e dedicandosi alla composizione di un libro sulla storia del teatro turco. Nel corso di queste giornate la vita scorre lenta ed all'insegna di svariati episodi quotidiani, più banali o meno, e diventano l'occasione per lui e per tutti gli altri protagonisti per riflettere in generale sulla propria esistenza, sulla prorpia coscienza o meno, sulla religione e sulle tradizioni, sulla fine dell'amore, ecc... Così dissertando e pensando il protagonista si avvia verso una più o meno tranquilla, rassegnata ed amara vecchiaia.
L'ultima opera del regista turco Nuri Bilge Ceylan, riconferma per la seconfda volta (in quanto a noi sono pervenute solo due delle sue pellicole) la sua grandezza nel dirigere films e raccontare storie quotidiane con un retrogusto amaro e disincantato. La sua bravura infatti consiste proprio nel cogliere sfumature ed aspetti dell vivere quotidiano e della natura umana, nonchè quella dei paesaggi e della sua terra d'origine che sempre fanno da sfonod alle vicende, in maniera quanto mai precisa, minuziosa, dettagliata e, ripeto, amara, malinconica e disincantata, ma affatto inasprita. Attraverso i dialoghi dei vari protagonisti e le riprese in generale, ma anch'esse assai minuziose, degli splendidi paesaggi che egli fotografa e presenta allo spettatore, Ceylan si dimostra ottimo conoscitore della natura umana e della naturain generale che diventa quasi conforme e riflettente i loro stati d'animo e, sebbene la sua caratteristica sia quella di ritmare le proprie pellicole all'insegna di un andamento lento, nulla si rivela mai inopportuno e pesante da seguire. I dialoghi dei personaggi sono sempre molto precisi e chiari tali da riflettere un pensiero e delle considerazioni al limite dei concetti filosofici, richiamando, com'è stato giustamente notato dalla critica, l'atmosfera dolente delle opere di Anton Cechov.
Insomma, come per il capolavoro precedente "C'era una volta in Anatolia", bisogna riconfermare tale epiteto anche per questa splendida ed elegante realizzazione a cui giustamente la Giuria nel corso del Festival del Cinema di Cannes ha asseganto la Palma d'Oro e pertanto la vittoria su tutte le altre competizioni.
Assolutamente da non perdere ma solo per coloro che ne sono vivamente interessati.
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giank51
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domenica 12 ottobre 2014
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le nevrosi turche
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A quanto pare anche la cultura islamica è vulnerabile alle nevrosi moderne. Nonostante le ripetute invocazioni ad Allah i personaggi della vicenda condividono angoscie e nevrosi degne dei migliori film di Bergman.
Il regista si sofferma a lungo nell'esaminare il mondo interiore dei suoi personaggi: dal protagonista (intellettuale di provincia) a tutte le altre figure che compaiono nel film il comun denominatore è uno spaesamento etico. Il lungo dialogo con la giovane moglie, nella seconda parte del film, è un contraltare a "Scene da un matrimonio" di Bergman. Nessuno è risparmiato nel mondo moderno.
Forte è il contrasto con il paesaggio aspro ed arcaico dell'Anatolia.
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A quanto pare anche la cultura islamica è vulnerabile alle nevrosi moderne. Nonostante le ripetute invocazioni ad Allah i personaggi della vicenda condividono angoscie e nevrosi degne dei migliori film di Bergman.
Il regista si sofferma a lungo nell'esaminare il mondo interiore dei suoi personaggi: dal protagonista (intellettuale di provincia) a tutte le altre figure che compaiono nel film il comun denominatore è uno spaesamento etico. Il lungo dialogo con la giovane moglie, nella seconda parte del film, è un contraltare a "Scene da un matrimonio" di Bergman. Nessuno è risparmiato nel mondo moderno.
Forte è il contrasto con il paesaggio aspro ed arcaico dell'Anatolia. Notevole la fotografia sia degli interni che dei panorami. Questo aspetto, a mio parere, dà il timbro di qualità a tutto il film, sinceramente più del messaggio in sè che non è nulla di nuovo
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[+] secondo me, invece......
(di francesco2)
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