mark kram
|
lunedì 2 marzo 2015
|
una prefazione a un libro mai scritto
|
|
|
|
Durata del film: 196 minuti. Ammetto che questo unico dato mi aveva già convinto ad evitare la visione del film, ma in un periodo di noia più assoluta ho deciso comunque di imbarcarmi in questa avventura. Numerosi elementi che si susseguono nel corso delle tre ore offrono e rinforzano sempre più un'idea di stasi assoluta: dalla pacatezza del protagonista, Aydin, al silenzio della Cappadocia, dal freddo della neve fino agli innumerevoli té, per i personaggi sostanza vitale quanto l'ossigeno, tanto ne scorre nel corso del film. Trama? Non accade nulla. Non ci sono eventi notevoli attorno ai quali può considerarsi essere ricamata la trama del film. Parole, dialoghi e ancora parole, intervallate da qualche altro dialogo.
[+]
Durata del film: 196 minuti. Ammetto che questo unico dato mi aveva già convinto ad evitare la visione del film, ma in un periodo di noia più assoluta ho deciso comunque di imbarcarmi in questa avventura. Numerosi elementi che si susseguono nel corso delle tre ore offrono e rinforzano sempre più un'idea di stasi assoluta: dalla pacatezza del protagonista, Aydin, al silenzio della Cappadocia, dal freddo della neve fino agli innumerevoli té, per i personaggi sostanza vitale quanto l'ossigeno, tanto ne scorre nel corso del film. Trama? Non accade nulla. Non ci sono eventi notevoli attorno ai quali può considerarsi essere ricamata la trama del film. Parole, dialoghi e ancora parole, intervallate da qualche altro dialogo. Eppure le tre ore di film filano giù come l'acqua (o come il té, appunto): né induce sonnolenza né lo spettatore viene fagocitato in quel letargo profondo che sembra essere il leitmotiv dell'opera. Si sussegono ancora una volta i dialoghi e, sebbene tu ormai abbia già capito quelle parole sono essenzialmente fine a se stesse, cresce l'interesse nei loro confronti e si ha sempre più la sensazione di essere seduti su di una sedia, seguendo sempre più da vicino le riflessioni di Aydin, Nihal, Necla, arrivando a condividerle.
Alla fine concordo, il tutto ricorda quasi una novella di Cechov: una premessa ad una storia che sembra essere sul punto di cominciare, ma che in realtà non ha la benché minima intenzione di prendere vita. Una prefazione a un libro mai scritto.
Nonostante tutto questo, il film si fa vedere. Qui sta a mio parere il grande merito del regista: chiunque potrebbe essere in grado di costruire un film attorno ad una guerra, ad una catastrofe naturale imminente o ad una tormentata storia d'amore. Ma costruire un film attorno al nulla (e riuscirci!) non è da tutti.
Chapeau.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a mark kram »
[ - ] lascia un commento a mark kram »
|
|
d'accordo? |
|
kimkiduk
|
venerdì 27 febbraio 2015
|
bella la cappadocia
|
|
|
|
Decisamente un film non facile. Intriso di assonanze teatrali dedicate a Shakespeare nei suoi richiami ed alla letteratura russa per la solitudine del suo protagonista. Inoltre ho ritrovato una forte assonanza a Bergman per quel che riguarda il dialogo con la moglie. Film che si basa sulle parole a volte forti ed incisive a volte meno, ma con tre dialoghi - sorella,moglie ed amico - che tracciano un quadro del Sig. Aydin quasi arrogante, supponente, pieno del suo successo e della voglia di sentirsi ancora ricco della sua povertà di bambino, ma che in realtà non ha più. L'alta considerazione personale lo portano nel finale del film ad una propria considerazione di un misero fallimento.
[+]
Decisamente un film non facile. Intriso di assonanze teatrali dedicate a Shakespeare nei suoi richiami ed alla letteratura russa per la solitudine del suo protagonista. Inoltre ho ritrovato una forte assonanza a Bergman per quel che riguarda il dialogo con la moglie. Film che si basa sulle parole a volte forti ed incisive a volte meno, ma con tre dialoghi - sorella,moglie ed amico - che tracciano un quadro del Sig. Aydin quasi arrogante, supponente, pieno del suo successo e della voglia di sentirsi ancora ricco della sua povertà di bambino, ma che in realtà non ha più. L'alta considerazione personale lo portano nel finale del film ad una propria considerazione di un misero fallimento. Storia di rapporti umani ambientata in una Cappadocia di bellezza assoluta a livello naturalistico. Il film è racchiuso nell'ultima ora dove sfiora il capolavoro. Forse eccessivamente lungo, ma non se ne fa accorgere troppo; forse troppo lento, ma la lentezza non l'ho mai ritenuta un difetto. Difficile dare un giudizio negativo finale, ma non penso meritasse di vincere Cannes. Anche se il tema scelto è trattato in un ambiente diverso dal solito e da un regista altrettanto diverso è pur sempre un tema ricorrente.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a kimkiduk »
[ - ] lascia un commento a kimkiduk »
|
|
d'accordo? |
|
nanni
|
martedì 24 febbraio 2015
|
il regno d'inverno
|
|
|
|
Il film vuole volare alto e ci riesce.
Dunque imperdibile.
Nuri Bilge Ceylan ci mostra, come poche altre volte mi sia capitato vedere, l’indefinitezza umana che ci costringe ad una forma perenne di smarrimento mostrandoci patetici; quando cerchiamo di puntellare le nostre fragilissime personali certezze e inermi; quando cercando risposte ci riveliamo irrimediabilmente irrisolti.
Azzeccatissima la scelta di un luogo arcaico come la Cappadocia, immobile e sospeso nel tempo o forse meglio, che sembra fuori da ogni tempo.
Il finale consolatorio non si addice ad un film così affilato, ma il peccato, per un lavoro che va così in profondità , lo considero veniale e lo perdono di slancio.
[+]
Il film vuole volare alto e ci riesce.
Dunque imperdibile.
Nuri Bilge Ceylan ci mostra, come poche altre volte mi sia capitato vedere, l’indefinitezza umana che ci costringe ad una forma perenne di smarrimento mostrandoci patetici; quando cerchiamo di puntellare le nostre fragilissime personali certezze e inermi; quando cercando risposte ci riveliamo irrimediabilmente irrisolti.
Azzeccatissima la scelta di un luogo arcaico come la Cappadocia, immobile e sospeso nel tempo o forse meglio, che sembra fuori da ogni tempo.
Il finale consolatorio non si addice ad un film così affilato, ma il peccato, per un lavoro che va così in profondità , lo considero veniale e lo perdono di slancio.
Ciao Nanni
[-]
|
|
[+] lascia un commento a nanni »
[ - ] lascia un commento a nanni »
|
|
d'accordo? |
|
guerrino55
|
domenica 15 febbraio 2015
|
sopravvalutato
|
|
|
|
L'avevo perso al cinema, ho recuparato guardandolo in cassetta.
Il piccolo schermo non ha mortificato il film, perchè non c'era nulla da mortificare. 3 ore di assoluta noia, e nulla vale fare riferimento ai lavori teatrali di Checov o Ibsen, che avevano tutto un altro passo ed intensità nella descrizione delle vicende umane.
Noia era e noia rimane, e certo non bastano i pinnacoli della Cappadocia a farlo valere di più !
Più che l'inverno della vita, rappresenta molto bene l'inverno del cinema.
Erano molti anni con non vedevo un film così assurdamente vuoto.
|
|
[+] lascia un commento a guerrino55 »
[ - ] lascia un commento a guerrino55 »
|
|
d'accordo? |
|
alexander 1986
|
giovedì 12 febbraio 2015
|
la neve che cade sull'amore
|
|
|
|
Palma d'oro al Festival di Cannes 2014.
Anatolia, Turchia. L'ex-attore Aydin (Haluk Bilginer) da anni vive ritirato in una piccola tenuta al centro di un villaggio sperduto, in un'area occasionalmente visitata da turisti in cerca di avventure. Uomo colto e riservato, conduce un'esistenza da intellettuale decadente: scrive articoli impegnati per giornali che non legge nessuno e mostra scarso interesse per quello che gli succede attorno nella vita concreta. Fra affittuari tardivi nei pagamenti, gente bisognosa d'aiuto, una giovane moglie insoddisfatta e una sorella depressa, Aydin non potrà tuttavia sfuggire per sempre alla resa dei conti di un'esistenza costruita sulle illusioni.
Tre ore di cinema raffinato e colto, debitore del teatro cecoviano.
[+]
Palma d'oro al Festival di Cannes 2014.
Anatolia, Turchia. L'ex-attore Aydin (Haluk Bilginer) da anni vive ritirato in una piccola tenuta al centro di un villaggio sperduto, in un'area occasionalmente visitata da turisti in cerca di avventure. Uomo colto e riservato, conduce un'esistenza da intellettuale decadente: scrive articoli impegnati per giornali che non legge nessuno e mostra scarso interesse per quello che gli succede attorno nella vita concreta. Fra affittuari tardivi nei pagamenti, gente bisognosa d'aiuto, una giovane moglie insoddisfatta e una sorella depressa, Aydin non potrà tuttavia sfuggire per sempre alla resa dei conti di un'esistenza costruita sulle illusioni.
Tre ore di cinema raffinato e colto, debitore del teatro cecoviano. Winter Sleep è uno spettacolo che cambia registro in corso d'opera: inizia come un'opera di realismo sociale, diventa poi un ritratto impietoso del perbenismo farfallone di una certa borghesia e infine si trasforma in un dramma della solitudine. Tema centrale di tutte e tre le fasi è l'impossibilità della reciproca comprensione, se non ammantata da sotterranee velleità competitive. Un film notevole, basato soprattutto sui dialoghi. Cast a dir poco eccezionale. Il protagonista Aydin è uno dei personaggi più carismatici prodotti dal cinema degli ultimi anni.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a alexander 1986 »
[ - ] lascia un commento a alexander 1986 »
|
|
d'accordo? |
|
eugenio
|
venerdì 6 febbraio 2015
|
c’era una volta... cechov in anatolia
|
|
|
|
Il fascino della lentezza accompagna lo spettatore sin dall’inizio. Le atmosfere sono pacate, rilassate, gli spazi immensi. In lontananza un altopiano, case abbandonate e quasi a ergersi come baluardo della solitudine ecco un hotel, silente, che si staglia con prepotenza sull’orizzonte scuro.
Il titolo, Il regno di inverno, già lascia sottendere abilmente la trama che si dipanerà appunto nel gelido spazio anatolico, dai richiami vagamente cechoviani (molti hanno notato la nostalgica elegia come sintomatica malattia dell’incomunicabilità dei protagonisti) e paradossalmente verbosi in un’ambientazione totalmente fuori dal tempo e dallo spazio.
[+]
Il fascino della lentezza accompagna lo spettatore sin dall’inizio. Le atmosfere sono pacate, rilassate, gli spazi immensi. In lontananza un altopiano, case abbandonate e quasi a ergersi come baluardo della solitudine ecco un hotel, silente, che si staglia con prepotenza sull’orizzonte scuro.
Il titolo, Il regno di inverno, già lascia sottendere abilmente la trama che si dipanerà appunto nel gelido spazio anatolico, dai richiami vagamente cechoviani (molti hanno notato la nostalgica elegia come sintomatica malattia dell’incomunicabilità dei protagonisti) e paradossalmente verbosi in un’ambientazione totalmente fuori dal tempo e dallo spazio.
Lo spazio avulso dal mondo, l’atmosfera rarefatta con splendide immagini di case ripiegate nella roccia (di primo acchito sembra di essere tra i sassi di Matera) scavate nella superficie oltre a un chiaro significato metaforico- la vera natura dei protagonisti che viene alla luce- ha anche una suggestione fotografica.
Qui appare come un idillio, un paradiso, l’Hotel Othello, retto dal protagonista, Aydin, un attore teatrale a riposo insieme alla bella moglie Nihal più giovane e alla sorella Necla, divorziata.
L’albergo è fuori dai normali tracciati turistici, rari i villeggianti, spesso turisti attratti dalla quiete del luogo o dalle curiose conformazioni naturali rocciose. E’ quindi una sorta di non luogo che il regista Nuri Bilge Ceylan confeziona allo scopo di voler realizzare un, lungo, ipnotico flusso di coscienza tra il protagonista, le due donne e la rada comunità.
Donne che appaiono assai contrastanti negli animi: come giovane e inesperta, incapace di conoscere la vita, passionale e dipendente dai soldi del marito appare Nihal, così Necla al contrario, ha fatto del pragmatismo, dell’accidia e dell’incapacità di vivere ogni giorno con determinazione la sua ragione di esistere. In mezzo sta Aydin, l’uomo tutto d’un pezzo, che si è fatto da solo, dalle velleità letterarie, ora capace solo di “sprecare i soi anni migliori a fare cose di cui a nessuno interessa”: un libro sulla storia del teatro turco e pubblicazioni di articoli su un giornale che nessuno legge. Al di là di questo apparente “fumoso” interesse l’uomo non nasconde il suo lato “affaristico” e meramente economico.Cresciuto in una casa senza elettricità che “non sapeva come poter essere felice”, che ha cercato di cambiare il paese e il mondo, che ha realizzato una fortuna da zero, Aydin appare come una sorta di signorotto appartenente a una borghesia ottocentesca russa, un possidente, questo il termine giusto, che ha accumulato,accumulato tanta “roba” senza però risultare pienamente appagato, lucido e umano e che ora si inganna continuamente cercando di non vedere quello che appare sotto i suoi occhi :un matrimonio di cui non esiste più nulla se non una passiva convivenza e un rapporto meramente di sguardi quasi muto con una sorella che lo disprezza nel suo intimo).
In una regione remota dove sono nette e precise le grandi differenze tra nobilità e povertà, tra ricchezza e indigenza, tra razionale perfezione odiatrice del mondo e arretratezza civile frutto di una religiosità conservatrice e bigotta, si crea un gigantesco affresco di una volta, un romanzo epico fuori dal tempo dove prevale la luce fioca della candela e il fuoco del camino alla comodità cittadina.
La robusta camera di facciata dell’albergo nasconde al suo interno una terribile forma di incomunicabilità che si manifesta evidente in trascinanti dialoghi apparentemente illogici, lenti, frutto di una quotidianeità, di un astio, di un dolore sintomatico di una nazione, la Turchia contemporanea che disprezza il popolino e la religione intesa come “mera superstizione e innocente sogno”.
Aydin è un attore, i dialoghi che esplicita con una moglie annoiata, incapace di guadagnarsi da vivere, una nobildonna d’altri tempi dedita alla beneficenza, trasudano di semplicità e di orgogliosa forza da uomo che ha raggiunto una posizione di rispetto, che tenta vanamente di lottare contro una disgregazione morale, ideale, principi saldi di cui ora non possiede più alcun controllo.
Costruito a “riquadri dialogici”, tante scene che si avvicinano con il labile pretesto dell’ambientazione crocevia di più esistenze, l’albergo, Il regno di inverno è un riuscito film psicologico che trae forza da immagini rurali per scavare nell’intimità più nascosta di un protagonista giunto ora all’inverno della propria vita, degli spietati giudizi (con la moglie, con la sorella, con i sottoposti) che nascondono una pacata rassegnazione, un immotivato desiderio di cambiare una vita che si infrange sotto le ferite di un tempo che passa immobile eppure irriducibile come un treno diretto in una grande città ma che mai arriverà.
Abile nell’intessere i dettagli tra uomo e donna, Ceylan usa la parola come mezzo evocativo per far riflettere sui non detti che nascondono spesso una verità spiacevole con cui difficilmente si vorrebbe avere a che fare, figlia di insoddisfazioni e rivalse (come lo splendido dialogo tra Nihal e Aydin o nella parte finale tra Nihal e Ismail, l’ubriacone alcolizzato esponente vinto dell’indigenza). E l’unico mezzo per riuscirci a quanto pare è la parola capace di far emergere i conflitti tra chi possiede ed è intrappolato dai possedimenti e chi invece è isolato dalla stessa incapacità di avere sullo sfondo di un paesaggio e di un’azione, candida e pallida, pronta a infrangersi irrimediabilmente come vetro rotto da mano infantile.
Coscienza è solo una parola che i vigliacchi sanno usare ed è stata inventata con lo scopo precipuo di tenere in soggezione i fatti(Shakespeare).
Palma d’oro al festival del cinema di Cannes. Per tutti gli amanti della lentezza e del piacere di una volta.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a eugenio »
[ - ] lascia un commento a eugenio »
|
|
d'accordo? |
|
folignoli
|
martedì 27 gennaio 2015
|
un documento di inestimabile valore
|
|
|
|
È evidente il fatto che Winter Sleep non può essere letto solo dal punto di vista narrativo, della storia. Film del genere vanno giudicati innanzitutto studiando a fondo la cinematografia (e biografia) dell’autore, altrimenti si rischia di dare giudizi oltre che affrettati, monchi di tutto il percorso interiore del regista. Io partirei da una scena, quella in cui la moglie del protagonista contesta al marito che gli articoli che lui scrive, non vengono letti da quasi nessuno. In quella frase, in un nucleo densissimo, c’è tutto il cinema di Ceylan. I suoi film apprezzatissimi nei Festival, sono praticamente sconosciuti. Il pubblico medio, ignora l’esistenza di un poeta come Ceylan.
[+]
È evidente il fatto che Winter Sleep non può essere letto solo dal punto di vista narrativo, della storia. Film del genere vanno giudicati innanzitutto studiando a fondo la cinematografia (e biografia) dell’autore, altrimenti si rischia di dare giudizi oltre che affrettati, monchi di tutto il percorso interiore del regista. Io partirei da una scena, quella in cui la moglie del protagonista contesta al marito che gli articoli che lui scrive, non vengono letti da quasi nessuno. In quella frase, in un nucleo densissimo, c’è tutto il cinema di Ceylan. I suoi film apprezzatissimi nei Festival, sono praticamente sconosciuti. Il pubblico medio, ignora l’esistenza di un poeta come Ceylan. Ma è così importante essere conosciuti al grande pubblico? Nella società odierna, riceve più attestazioni di bravura un frivolo cabarettista capace solo di essere volgare, che un regista di cinema d’autore. Riceve più consensi una ragazza seminuda su facebook che un regista che racconta una parte del mondo che altrimenti mai avremmo conosciuto. Interroghiamoci. Se si vuole incanalare la disputa sul livello della frivolezza, allora si giudica un film del genere, solo attraverso la capacità di offrire interesse al pubblico. Al contrario, se si vuole analizzare la questione più a fondo, è necessario dire che Winter Sleep è un documento di inestimabile valore, poiché racconta ciò che nessuno ha mai fatto. Quelle popolazioni che vivono in Anatolia, dai ritmi così diversi di quelli del mondo civilizzato. Ma oltre a raccontare cose semisconosciute, il film regala anche un’atmosfera in grado di allietare lo spettatore minimamente colto. Ci si può avvicinare per caso ad un regista del genere, ma per poterlo stimare diventa obbligatorio vedere la sua filmografia. A partire dai cortometraggi che si trovano in rete, fino ad arrivare ai suoi primi film di successo, Uzak, Il piacere e l’amore.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a folignoli »
[ - ] lascia un commento a folignoli »
|
|
d'accordo? |
|
no_data
|
martedì 27 gennaio 2015
|
il gran bel vestito dell'uomo invisibile
|
|
|
|
Solo in epoca post-moderna e in mondo dominato dall'estetismo un film del genere può vincere a Cannes la Palma d'Oro come "Miglior Film". Va senz'altro sottolineato che ampi meriti andrebbero a chi ha lavorato alla fotografia e alla realizzazione estetica del film, con ottime riprese che valorizzano al massimo gli spettacolari paesaggi turchi. Un gran bel vestito, cucito da un grande stilista(Nuri Bilge Ceylan) e curato nei particolari.
Non lo stesso però, a mio modo di vedere, si può dire di una sceneggiatura che fa dei dialoghi il suo punto di forza (per così dire), i quali generano un mostro colpevole di crimini contro la pace acustica di quel quieto e silenzioso tempio che è l'Anatolia.
[+]
Solo in epoca post-moderna e in mondo dominato dall'estetismo un film del genere può vincere a Cannes la Palma d'Oro come "Miglior Film". Va senz'altro sottolineato che ampi meriti andrebbero a chi ha lavorato alla fotografia e alla realizzazione estetica del film, con ottime riprese che valorizzano al massimo gli spettacolari paesaggi turchi. Un gran bel vestito, cucito da un grande stilista(Nuri Bilge Ceylan) e curato nei particolari.
Non lo stesso però, a mio modo di vedere, si può dire di una sceneggiatura che fa dei dialoghi il suo punto di forza (per così dire), i quali generano un mostro colpevole di crimini contro la pace acustica di quel quieto e silenzioso tempio che è l'Anatolia. L'indossatore del "gran bel vestito" infatti non esiste, o qualora esistesse ha così tanti dubbi su se stesso da non vedersi riflesso in uno specchio.
Così come quando ripetendo più volte la stessa parola questa perde totalmente di significato, i personaggi si disperdono nei meandri dei loro annoianti discorsi borghesi così privi di fondamento e ridondanti da perdere qualsiasi ragion d'essere e scatenando nell'ascoltatore una nevrosi per l'animo.
Nel complesso la pellicola del regista turco si rivela un piacere per gli occhi ma un dramma per le orecchie, un gran bel vestito per l'uomo invisibile.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a no_data »
[ - ] lascia un commento a no_data »
|
|
d'accordo? |
|
filippo catani
|
giovedì 8 gennaio 2015
|
vite congelate
|
|
|
|
Ritiratosi ormai da tempo dalla scena teatrale, un ex attore gestisce varie proprietà tra cui un albergo nella provincia turca e ha intenzione di scrivere un libro sulla storia del teatro del suo paese. L'uomo vive con la sorella e la giovane moglie.
Premiato con la Palma d'Oro, questo film diretto da Ceylan torna un po' alle atmosfere di C'era una volta in Anatolia. Proprio le ambientazioni e la fotografia sono tra i punti forti di questa pellicola insieme ad uno struggente accompagnamento con il pianoforte. Il film è un po' una riflessione esistenziale che tocca il protagonista e i suoi familiari alle prese con la monotona vita di provincia. I rapporti tra marito e moglie sono ormai ridotti ai minimi termini non solo per la differenza di età ma anche e soprattutto per un diverso modo di vedere la vita.
[+]
Ritiratosi ormai da tempo dalla scena teatrale, un ex attore gestisce varie proprietà tra cui un albergo nella provincia turca e ha intenzione di scrivere un libro sulla storia del teatro del suo paese. L'uomo vive con la sorella e la giovane moglie.
Premiato con la Palma d'Oro, questo film diretto da Ceylan torna un po' alle atmosfere di C'era una volta in Anatolia. Proprio le ambientazioni e la fotografia sono tra i punti forti di questa pellicola insieme ad uno struggente accompagnamento con il pianoforte. Il film è un po' una riflessione esistenziale che tocca il protagonista e i suoi familiari alle prese con la monotona vita di provincia. I rapporti tra marito e moglie sono ormai ridotti ai minimi termini non solo per la differenza di età ma anche e soprattutto per un diverso modo di vedere la vita. Le loro vicende si intrecceranno poi con quelle della famiglia dell'Imam locale. Oltre alle atmosfere (bellissime le scene con la neve) sono quindi i dialoghi tra i vari personaggi a dare corpo e tono al film lungo le tre ore della sua durata. Un film certo particolare e da seguire ma che sicuramente brilla come una piccola gemma della cinematografia turca.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a filippo catani »
[ - ] lascia un commento a filippo catani »
|
|
d'accordo? |
|
jean remi
|
giovedì 1 gennaio 2015
|
immeritato il premio ricevuto a cannes.
|
|
|
|
Le tre stelle attrubuite potrebbero sembrare una contradizzione, tuttavia ho trovato il film totalmente decontestualizzato rispetto al meraviglioso ambiente (la Capadocia) dov'è stato girato, simbolo di sofferenza e di povertà, dove ricchi ed annoiati borghesi intelettualoidi, si confrontano, come in una commedia russa di Checov circa la loro esistenzialità, mentre il mondo intorno a loro precipita nella miseria. Buona l'interpretazione, la fotografia, l'ambientazione, ma manca totalmente la "storia" tirata per i capelli sin dall'inizio. Immeritato il premio avuto a Cannes.
|
|
[+] lascia un commento a jean remi »
[ - ] lascia un commento a jean remi »
|
|
d'accordo? |
|
|