Aloft si presenta come un film intimista, di stile, a tratti manieristico, un raffinato ritratto di un dramma famigliare che si distacca dal resto dei lungometraggi dalla stessa tematica sopratutto a causa della sua ambientazione. Dalle prime alle ultime scene, la pellicola si svolge in mezzo a lunge distese di ghiaccio e boschi innevati di un luogo non meglio precisato, instillando un forte senso di suggestione, per la magnificenza dei luoghi naturali, ma anche di freddezza e distacco che permeano l'intera pellicola. Il tema del distacco è d'altronde ricorrente nel suddetto film, quasi a servire da leit motif, e segnerà più volte i risvolti individuali della vita dei protagonisti.
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Aloft si presenta come un film intimista, di stile, a tratti manieristico, un raffinato ritratto di un dramma famigliare che si distacca dal resto dei lungometraggi dalla stessa tematica sopratutto a causa della sua ambientazione. Dalle prime alle ultime scene, la pellicola si svolge in mezzo a lunge distese di ghiaccio e boschi innevati di un luogo non meglio precisato, instillando un forte senso di suggestione, per la magnificenza dei luoghi naturali, ma anche di freddezza e distacco che permeano l'intera pellicola. Il tema del distacco è d'altronde ricorrente nel suddetto film, quasi a servire da leit motif, e segnerà più volte i risvolti individuali della vita dei protagonisti. La trama, essenziale e drammatica quanto basta, segue attravverso l'intrecciarsi di due livelli narrativi dfferenti- passato e futuro, flashback e flashforward- la storia di Nana; madre single di due bambini. Il figlio maggiore Ivan sviluppa sin dall'infanzia una passione per la falconeria mentre al suo fratellino viene diagnosticata una rara forma di malattia che la madre non è in grado di affrontare in termini di spese per le cure mediche. Nana per questo si rivolgerà disperata ad un rinomato guaritore, ma durante il percorso per raggiungerlo il falco di Ivan, Inti, provocherà un incidente e verrà abbattuto. Da quel momento si percepisce la prima frattura che viene a installarsi nel rapporto madre-figlio, che si accentuerà col passare del tempo e il deteriorarsi della salute del bambino piccolo, Gully. Nana verrà altresì convinta dal sedicente guaritore di possedere egli stessa doti guaritive e spinta a intrapendere lo stesso 'mestire'. Parallelamente a questa storia, la regista ci traspota nel presente dove assistiamo alla vita grigia e piuttosto infelice di Ivan ormai sposato e padre di famiglia. Un giorno Ivan viene avvicinato da una giovane reporter francese che con la scusa di eseguire un documentario sui falchi (da lui allevati e ammaestrati) lo convincerà a intraprendere un viaggio all'estremo nord del paese per ricongiungersi con la madre che non vede da più di vent'anni. Nel dipanarsi della storia, tra un balzo nel passato e l'altro, si scoprirà che alla base di questa frattura ormai incolmabile tra Nana e Ivan c'è un incidente stradale causato dallo stesso figlio. Un incidente che costò la vita al fratello più piccolo e malato.
Il film, dunque, si presenta come un prodotto di stile e di qualità, che senza raddolcire troppo i passaggi narrativi mette in piedi un conflitto famigliare che non solo non si attenua ma si acutizza col passare del tempo. La convivenza tra madre e figlio diventerà sempre più tesa e conflittuale, segnata da bruschi dialoghi e accuse rivolte l'una all'altro, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno. Questa frattura si culminerà con la separazione/ abbandono di Ivan da parte di Nana, senza troppi sensi di colpa o preoccupazioni a carico.
Il dramma messo in scena dalla Llosa si focalizza nel rappresentare le fragili dinamiche famigliari ma ciò nonostante non riesce mai a risultare pienamente un prodotto incisivo e memorabile. L'impegno c'è e si vede, abbiamo a che fare con un prodotto curato nei minimi dettagli; dalla gelida ed evocativa fotografia naturale del luogo, all'interpretazione intesa e magnetica della Connelly (in splendida forma). Sfortunatamente però il film fallisce nel trasmettere le complicate ed instabili emozioni vissute dai protagonisti. Complice forse un'ostentata, e peraltro immotivata, freddezza emotiva dimostrata dai personaggi di Nana e Ivan, entrambi rilegati ad un inflessibile rigore sentimentale, ovviamente in piena armonia con l'ambiente che li circonda. Molto interessante è invece l'approccio che il film tenta di accennare tra la superstizione, riti di guarigione e autosuggestione. Alcune scene sono in bilico tra il reale e surreale, tra l'onirico e il concreto (vedi la scena dell'altalena) ed ecco perchè risultano di forte impatto visivo. L'intera pellicola riecheggia aspetti mistici ed evocativi inquadrati nella disperata ricerca della donna di guarire il figlio seguendo pratiche non ortodosse, affidandosi ad autoproclamati curatori e al ricongiungimento con la natura più intima e selvaggia. Ma nonostante queste buone premesse il prodotto finale si rivela piuttosto scoordinato, algido e meccanico. Gli attori sono mal gestiti a causa di uno script troppo ricco di idee ma sviluppato male nella realizzazione tecnica e non riescono a risollevare il peso della pellicola. Anche alcuni degli intrecci che si vengono a creare tra i protagonisti risultano alquanto forzati e inverosimili (la reporter francese che rifiuta le cure convenzionali per ricercare quelle mistiche, il figlio che in un lasso di tempo così grande non si pone mai domande sul destino di sua madre etc.). La risoluzione finale poi, è ben lontana da risultare catartica per protagonisti e spettatori. Madre e figlio si ritrovano a tu per tu dopo molti anni e dopo aver elaborato il dolore e il lutto per la perdita, ognuno a seconda della propria prospettiva; Ivan affrontando una doppia perdita, rapprsentata dalla morte del fratellino e dalla separazione da Nana matura un carattere introverso e rabbioso. Nana, dal canto suo, affranta dalla morte prematura di un figlio malato e debole, incapace di restaurare il rapporto col figlio maggiore che a sua insaputa ha causato la tragedia, si dedica all'arte di guaritrice rifugiandosi all'estremo nord, in un vano tentativo di soffocare il dolore.
Il melodramma famigliare della Llosa affascina ma non riesce a coinvolgere mai pienamente lo spettatore. La scena rubano l'ottima scenografia e fotografia nonchè le suggestive scene con protagonista il falco. Per il resto la regia si districa freddamente in un abile incrocio tra passato e presente, vantandosi di avere al suo servizio attori di indubbia bravura quali la Connelly, Murphy e la Laurent. L'intento di indagare ancora una volta all'interno dei fragili equilibri famigliari riesce soltanto in parte e la pellicola viene penalizzata da un finale rigorosamente composto e formale che non fa emergere alcun aspetto catartico e risolutivo del travagliato rapporto Nina-Ivan, lasciando un retrogusto di amarezza e incompletezza. In definitiva si tratta di un buon film, delicato e poetico, che poteva certamente risultare ottimo se trattato diversamente. 3/5.
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