biso93
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sabato 18 febbraio 2017
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il mondo agli occhi di terry
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The zero theorem e' un film del 2013 scritto e diretto dal buon Terry Gilliam ed interpretato tra gli altri da Christoph Waltz nel ruolo principale. Il buon vecchio Terry ritorna in grande stile, mostrandoci di nuovo che questo caro regista e' ancora in grando di dire la sua, se chi di competenza gliene desse opportunita'. Gilliam riprende alcune tematiche a lui care, riprende il grande George Orwell e ci regalo un film di fantascienza, punk, futuristico e allo stesso tempo vintage e contemporaneo. Tutto cio' e' reso possibile da una grande e ormai nota fantasia dell' autore e alla sua grande capacita' di amalgamare fluidamente questi vari concetti. La societa' ormai e' pienamente consumista e incontentabile, le corporation dominano il mondo, la nostra connessione virtuale e' constante ed invadente e siamo constantemente sotto controllo per chi di dovere possa darci cio' che vogliamo.
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The zero theorem e' un film del 2013 scritto e diretto dal buon Terry Gilliam ed interpretato tra gli altri da Christoph Waltz nel ruolo principale. Il buon vecchio Terry ritorna in grande stile, mostrandoci di nuovo che questo caro regista e' ancora in grando di dire la sua, se chi di competenza gliene desse opportunita'. Gilliam riprende alcune tematiche a lui care, riprende il grande George Orwell e ci regalo un film di fantascienza, punk, futuristico e allo stesso tempo vintage e contemporaneo. Tutto cio' e' reso possibile da una grande e ormai nota fantasia dell' autore e alla sua grande capacita' di amalgamare fluidamente questi vari concetti. La societa' ormai e' pienamente consumista e incontentabile, le corporation dominano il mondo, la nostra connessione virtuale e' constante ed invadente e siamo constantemente sotto controllo per chi di dovere possa darci cio' che vogliamo. Film intelligente ed interessante, con un bel cast in grando di caratterizzare molto bene anche piccole parti, Waltz da un ennesima conferma delle sue capacita' e la breve durata della pellicola dona una buona fluidita' ad una sceneggiatura che a volte fatica un po. Forse un Gilliam gia' visto ma perfettamente di riportare il suo pensiero ai giorni nostri. Vivamente consigliato!!
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astromelia
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lunedì 17 ottobre 2016
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una c.........ta pazzesca
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come direbbe fantozzi.....non mi pare ci fosse bisogno di questo film,non so cosa si voglia dimostrare di ciò che non sia già stato descritto,in più talmente kitch e noioso per non dire inverosimile,da rasentare la stupidità,mi ero approcciata con ben altro pensiero visto il titolo....
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vanessa zarastro
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domenica 24 luglio 2016
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fantascienza vintage
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In generale non sono un’appassionata di fantascienza, ma ho deciso di vedere “The Zero Therom” avendo letto delle buone recensioni e del suo regista, ormai settantacinquenne, che propone una sorta di vintage science fiction.
In effetti il film non è affatto male essendo contemporaneamente divertente e malinconico, ironico e catastrofico e sembrerebbe essere una versione pop di “Brazil”, film cult di Terry Gillian del 1985.
Qohen Leth (un eccezionale Crisopher Waltz) in un’ambientazione distòpica, parla di sé in prima persona plurale e vuole a tutti i costi lavorare in casa, perché aspetta una fantomatica telefonata in cui dovrebbero spiegargli il senso della vita.
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In generale non sono un’appassionata di fantascienza, ma ho deciso di vedere “The Zero Therom” avendo letto delle buone recensioni e del suo regista, ormai settantacinquenne, che propone una sorta di vintage science fiction.
In effetti il film non è affatto male essendo contemporaneamente divertente e malinconico, ironico e catastrofico e sembrerebbe essere una versione pop di “Brazil”, film cult di Terry Gillian del 1985.
Qohen Leth (un eccezionale Crisopher Waltz) in un’ambientazione distòpica, parla di sé in prima persona plurale e vuole a tutti i costi lavorare in casa, perché aspetta una fantomatica telefonata in cui dovrebbero spiegargli il senso della vita. Così ottiene dal Mangement (Matt Demon) di poter lavorare alla risoluzione di una misteriosa formula matematica: il "Zero Theorem" senza dover mai uscire da casa, dotandosi di un iper-computer, ma monitorato da varie micro-spie piazzate in punti strategici (nella testa del Cristo in croce ad esempio). Ci lavorerà diversi mesi senza arrivare a risolverlo, ma se lui non vuole uscire nel mondo – rappresentato peraltro variopinto, allegro e mascherato –il mondo vuole entrare da lui.Il dott. Shrink-Rom (Tilda Swinton) è un’app strizzacervelli con cui interagisce tra un lavoro e uno squillo di telefono. Bainsley (Mélanie Thierry)è una deliziosa ragazza (replicante?) che lo vuole aiutare e con la quale, lentamente ma immancabilmente nasce un amore reale iniziato come realtà aumentata. Bob (Lucas Hedges)è il geniale adolescente figlio del Capo che, essendo un nativo digitale, lo aiuta nel solving problems informatico.
Il film “The Zero Therom” mi ha particolarmente evocato “Blade Runner” nell’ambientazione, anche se non ha l’imponente struttura urbana di quel film, anzi, essendo il protagonista agorafobico, è girato prevalentemente negli interni. Ma è proprio lì che il futuro si mostra pieno di memorie; da un lato c’è il vero e proprio riuso (la casa di Qohen Leth è una vecchia chiesa sconsacrata mentre gli uffici della Mancom sono situati in una sorta di piccolo Grand Central newyorkese) di spazi adibiti a fini diversi, dall’altra che le sovra-imposizioni dell’onnipresente digitale, delle pubblicità mobili e di immagini in movimento. Sembrerebbe che la città plurale e post-moderna coincida con quella bidimensionale animata sopra le vecchie strutture tridimensionali liberty, déco o, meglio, in stile eclettico. Così pure in “Blade Runner” appariva dal passato il pianoforte con i vecchi spartiti tradizionali, e le foto incorniciate.
l temi dominanti sono il nonsense dell’esistenza, la fede o l’assenza di essa e cioè “il buco neo”, ma la soluzione desiderata è comunque la fuga così come anche in “Blade Runner”.
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filibro
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domenica 10 luglio 2016
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banale e noioso
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Film per nulla originale, seppur cerchi in tutti i modi di sembrarlo.
Protagonista misantropo, solitario e semiautistico, che però cerca il senso della vita in un mondo forzatamente e artificialmente colorato e giocoso, controllato da multinazionali e da grandi fratelli.
Il grottesco, il paradosso, la paranoia, il controllo, la realtà virtuale .. tutte cose viste e riviste, condite da un Waltz costretto in un ruolo pesantissimo, intrappolato in una sceneggiatura lenta e inutilmente cervellotica. Tematiche che alla fine si risolvono in un nulla di fatto, come questo film di Gillian di cui vale la pena solo ricordare il cameo di Matt Damon, fantastico nei suoi capelli platinati e coi suoi improbabili completi in corredo con ogni tipo di tappezzeria, e la spigliatezza di Melanie Thierry, unica nota sexy e frizzante di un film fastidiosamente noioso e inutile.
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Film per nulla originale, seppur cerchi in tutti i modi di sembrarlo.
Protagonista misantropo, solitario e semiautistico, che però cerca il senso della vita in un mondo forzatamente e artificialmente colorato e giocoso, controllato da multinazionali e da grandi fratelli.
Il grottesco, il paradosso, la paranoia, il controllo, la realtà virtuale .. tutte cose viste e riviste, condite da un Waltz costretto in un ruolo pesantissimo, intrappolato in una sceneggiatura lenta e inutilmente cervellotica. Tematiche che alla fine si risolvono in un nulla di fatto, come questo film di Gillian di cui vale la pena solo ricordare il cameo di Matt Damon, fantastico nei suoi capelli platinati e coi suoi improbabili completi in corredo con ogni tipo di tappezzeria, e la spigliatezza di Melanie Thierry, unica nota sexy e frizzante di un film fastidiosamente noioso e inutile.
Peccato, perchè il Gillian di Brazil e delle Dodici Scimmie mi era piaciuto
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writer58
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domenica 10 luglio 2016
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orwell, 50 anni dopo...
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"The Zero Theorem" è un film che nasce all'insegna della continuità. Anche se sono passati 30 anni da "Brazil", Gilliam continua a sviluppare la stessa ricerca stilistica e di contenuto, una ricerca in cui la presentazione di una società disumanizzata si salda con le tematiche del senso della vita, dell' identità, del conformismo e della rivolta individuale. Un regista che ci propone un'estetica visionaria, sovrabbondante, dai colori saturi e le forme tondeggianti, dagli ambienti immensi e fortemente caratterizzati, quasi un videogioco che rappresenta il futuro con gli strumenti del passato, una sorta di "Blade runner" ambientato nel 2039 e non nel 2019 e girato a inizio di secolo.
Una società in cui il dominio sulle coscienze individuali è già consolidato e i singoli competono tra di loro per interpretarne le logiche di sottomissione.
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"The Zero Theorem" è un film che nasce all'insegna della continuità. Anche se sono passati 30 anni da "Brazil", Gilliam continua a sviluppare la stessa ricerca stilistica e di contenuto, una ricerca in cui la presentazione di una società disumanizzata si salda con le tematiche del senso della vita, dell' identità, del conformismo e della rivolta individuale. Un regista che ci propone un'estetica visionaria, sovrabbondante, dai colori saturi e le forme tondeggianti, dagli ambienti immensi e fortemente caratterizzati, quasi un videogioco che rappresenta il futuro con gli strumenti del passato, una sorta di "Blade runner" ambientato nel 2039 e non nel 2019 e girato a inizio di secolo.
Una società in cui il dominio sulle coscienze individuali è già consolidato e i singoli competono tra di loro per interpretarne le logiche di sottomissione. Una società in cui tutto è apparenza, pubblicità, connessione, upload di dati, come se ci trovassimo dentro la promozione di uno smartphone.
Qohen è un programmatore della Mancom, un gigante del web intermedio tra Apple e Facebook, vive in una chiesa piena di vetrate, statue, arredi antichi, in cui il volto di Gesù è sostituito a una telecamera che lo mette in contatto con la compagnia. E' una persona asociale, parla di sè in prima perona plurale, non sopporta di essere toccato, ha un'avversione per gli spazi esterni al limite dell'agorafobia, non mangia e non beve nulla, tranne ciò che si prepara a casa. Aspetta da anni una "chiamata", una voce al telefono che gli riveli il senso della sua vita, la missione a cui è destinato. A lui viene affidata la risoluzione dello "Zero Theorem", il postulato che l'universo è destinato a collassare in un gigantesco buco nero che annullerà tempo,spazio, materia, fino a ridurre il cosmo intero a zero...
Da un punto di vista visivo, il film di Gillian è sontuoso, barocco, pieno di dettagli vintage (Il telefono a cornetta, la rete neurale che assomiglia agli oblò di una nave). Il messaggio che veicola è quello di una sconfitta (più collettiva che individuale), anche se il protagonista -un ottimo Waltz- nell'attesa della sua "chiamata" perde l'occasione di cambiare per davvero la propria vita. Come a dire che la salvezza sta nel cogliere gli spiragli di relazione e libertà e non nelle fedi o nell'accettazione di un modello imposto da entità impersonali.
W.
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vincenzo ambriola
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sabato 9 luglio 2016
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la vanità di terry gilliam
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Qohen vive da alienato in un mondo incomprensibile. Aspetta una telefonata e che dovrebbe spiegargli il senso della sua vita. Per non vivere a contatto con gli altri alienati che lo circondano accetta di affrontare una missione impossibile, dimostrare il teorema zero. Il resto della storia è così confuso che non è possibile raccontarlo oggettivamente. L'informatica ha pervaso la nostra società, trasformando modi di vivere e di agire che si ritenevano essere oramai stabilizzati. Qualcuno dice che non abbiamo più i calcolatori al nostro servizio ma che siamo noi ad essere diventati delle periferiche (abbastanza) intelligenti da svolgere compiti che le stesse macchine si rifiuterebbero di fare.
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Qohen vive da alienato in un mondo incomprensibile. Aspetta una telefonata e che dovrebbe spiegargli il senso della sua vita. Per non vivere a contatto con gli altri alienati che lo circondano accetta di affrontare una missione impossibile, dimostrare il teorema zero. Il resto della storia è così confuso che non è possibile raccontarlo oggettivamente. L'informatica ha pervaso la nostra società, trasformando modi di vivere e di agire che si ritenevano essere oramai stabilizzati. Qualcuno dice che non abbiamo più i calcolatori al nostro servizio ma che siamo noi ad essere diventati delle periferiche (abbastanza) intelligenti da svolgere compiti che le stesse macchine si rifiuterebbero di fare. Questa visione, portata all'estremo, produce film visionari che in alcuni casi appassionano e fanno riflettere. Non solo Blade Runner, con la sua premonizione sugli androidi e sull'impatto dell'intelligenza artificiale robotica sulla nostra vita quotidiana, ma anche Matrix, Minority Report e tanti altri capolavori che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia del cinema. In questo film manca tutto, i dialoghi risotti a un vacuo cianciare pseudo filosofico ispirato a tutte le fonti possibili immaginabili, la scenografia a tratti puerile e scontata, i personaggi appiattiti su fragili macchiette senza identità, la trama inesistente e incoerente. Si salva lui, Christoph Waltz, magnifico nella caleidoscopica interpretazione di Qohen, teatrale spesso e ispirato sempre, e la musica protagonista delle (poche) scene che meritano di essere ricordate. Tutto il resto è vanità del regista.
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zummone
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venerdì 8 luglio 2016
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una noia mortale
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Con tutto il rispetto, Gilliam invecchia molto male... Questo mattone è indigeribile e fa rimpiangere i bei tempi... indifendibile su tutta la linea, soprattutto la sceneggiatura. Che amarezza!
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stefano capasso
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mercoledì 15 ottobre 2014
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scegliere il caos per vivere
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Qohen vive in una ipotetica società del futuro, fondata sull'apparenza e sull'immagina. Apparentemente una società piena di colori e individui originale, nasconde una profonda inquietudine. In realtà tutto è vietato, esiste solo il lavoro e le lusinghe di martellanti proposta di benessere spirituale e materiale. In primo piano i social network vero tessuto connettivo tra tutte le componenti Qohen che è cosi scisso da usare il noi invece dell’io, lavora alla programmazione del teorema zero, un algoritmo che vuole provare l’assurdità dell’esistente senza sosta e a ritmi frenetici. Aspetta che una telefonata arrivi a rivelargli il suo vero talento che gli potrà cambiare la vita.
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Qohen vive in una ipotetica società del futuro, fondata sull'apparenza e sull'immagina. Apparentemente una società piena di colori e individui originale, nasconde una profonda inquietudine. In realtà tutto è vietato, esiste solo il lavoro e le lusinghe di martellanti proposta di benessere spirituale e materiale. In primo piano i social network vero tessuto connettivo tra tutte le componenti Qohen che è cosi scisso da usare il noi invece dell’io, lavora alla programmazione del teorema zero, un algoritmo che vuole provare l’assurdità dell’esistente senza sosta e a ritmi frenetici. Aspetta che una telefonata arrivi a rivelargli il suo vero talento che gli potrà cambiare la vita.
Col suo stile paradossale e grottesco Giliam parla della società di oggi, dove tutto è vissuto quasi in modo asettico, dalle relazioni sociali ai piaceri personali. Dopo una prima parte in cui viene descritta questa martellante realtà ipnotica e irreale, nella seconda parte del film, il film lascia spazio alle emozioni. Grazie a una relazione con una donna, che si trasforma da amore virtuale a reale, e all’amicizia con un giovane che ancora ha una visione pura, il protagonista comincia ad uscire dal sistema. Che è un sistema di controllo che si basa sulla paura dell'uomo, la paura del caos e dell'incertezza. Il profitto del sistema è quello di organizzare il caos, fornendo allo stesso tempo proposte per una vita migliore che verrà, spingendo tutti a non vivere aspettando qualcosa che non arriverà mai. Ritrovare le emozioni e i sentimenti all’interno di noi, permette di affrontare quel caos dentro il quale c'è la vita, semplice, sana e reale. The Zero Theorem è un film ricco di spunti e simboli, intriso di un profondo senso critico, quasi dolorose verso i costumi del mondo di oggi. A tratti confuso e incomprensibile, trova una sua ragione di esistere quando nella seconda parte vengono messi in gioco i sentimenti come l’amore e l’amicizia, che danno una orientamento a questa storia per il resto troppo complessa
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[+] l’angosciante perdita identitaria ed esistenziale
(di antonio montefalcone)
[ - ] l’angosciante perdita identitaria ed esistenziale
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mirkcasapula
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mercoledì 5 febbraio 2014
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solito genio terry gilliam!
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Non può non piacere un film del genere!
[+] a chi si droga, forse ..
(di filibro)
[ - ] a chi si droga, forse ..
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andrea fratini
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martedì 26 novembre 2013
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spunti geniali mal sviluppati
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In un mondo diventato caotico e dove le persone non stanno nè bene nè male, ma semplicemente “non stanno”, un addetto alle ricerche sulle “entità” è incaricato da una misteriosa agenzia di dimostrare matematicamente il teorema 0, ossia la prova che l’universo è inutile e che un giorno avverrà il big bang al contrario. Gilliam parte bene, poi, come di consueto nei suoi ultimi film, perde la bussola e la trama gli sfugge di mano, al punto che nell’ultima mezzora non si capisce più niente e si scivola nel banale e nello svogliato. Non bastano alcune trovate geniali, come il crocefisso con una videocamera al posto del viso, le pubblicità che inseguono le persone per la strada e un eden virtuale in cui Adamo ed Eva si perdono in un amore semi pornografico: è vero, il regista evita di prendersi troppo sul serio e questo è un pregio, ma tirando le somme alla fine il tutto è una baracconata che si autodistrugge e che crolla come del resto si sfaldano di fatto durante la pellicola le architetture barocche della scenografia, fra parentesi un po’ disneyane e derive new age.
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In un mondo diventato caotico e dove le persone non stanno nè bene nè male, ma semplicemente “non stanno”, un addetto alle ricerche sulle “entità” è incaricato da una misteriosa agenzia di dimostrare matematicamente il teorema 0, ossia la prova che l’universo è inutile e che un giorno avverrà il big bang al contrario. Gilliam parte bene, poi, come di consueto nei suoi ultimi film, perde la bussola e la trama gli sfugge di mano, al punto che nell’ultima mezzora non si capisce più niente e si scivola nel banale e nello svogliato. Non bastano alcune trovate geniali, come il crocefisso con una videocamera al posto del viso, le pubblicità che inseguono le persone per la strada e un eden virtuale in cui Adamo ed Eva si perdono in un amore semi pornografico: è vero, il regista evita di prendersi troppo sul serio e questo è un pregio, ma tirando le somme alla fine il tutto è una baracconata che si autodistrugge e che crolla come del resto si sfaldano di fatto durante la pellicola le architetture barocche della scenografia, fra parentesi un po’ disneyane e derive new age. Per raccontare il caos bisogna saper fare qualcosa di meglio di un film caotico.
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