pepito1948
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giovedì 19 dicembre 2013
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una favola triste e morbida
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Lui è un impiegato del Municipio, fa il curatore della memoria di chi se ne è andato senza salutare nessuno, ma soprattutto senza essere salutato da nessuno. Si fa segugio per seguire le tracce lasciate nella vita degli altri, per rinfocolare affetti perduti, per ripristinare un filo rotto chissà quando e chissà come. Lui archivia, raccoglie foto e impingua fascicoli, si attiva perchè nessuno resti senza vita dopo la sua morte. Lui scava negli animi di chi ha dimenticato, riannoda storie spezzate, ricostruisce ponti tra il di là e il di qua. E quando toccherà a Lui, senza nessuno che getterà una manciata di terra calda sulla sua bara, la sua solitudine svanirà sotto l' accorrere centripeto di una folla di altre solitudini piene di gratitudine e riverenza.
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Lui è un impiegato del Municipio, fa il curatore della memoria di chi se ne è andato senza salutare nessuno, ma soprattutto senza essere salutato da nessuno. Si fa segugio per seguire le tracce lasciate nella vita degli altri, per rinfocolare affetti perduti, per ripristinare un filo rotto chissà quando e chissà come. Lui archivia, raccoglie foto e impingua fascicoli, si attiva perchè nessuno resti senza vita dopo la sua morte. Lui scava negli animi di chi ha dimenticato, riannoda storie spezzate, ricostruisce ponti tra il di là e il di qua. E quando toccherà a Lui, senza nessuno che getterà una manciata di terra calda sulla sua bara, la sua solitudine svanirà sotto l' accorrere centripeto di una folla di altre solitudini piene di gratitudine e riverenza.
E' un film perfetto quello di U. Pasolini, girato in un' Inghilterra dai colori tenui, dove tutto è scandito da una severità di fondo che va per linee rette, senza curve o oscillazioni, dove Lui è seguito passo passo e a distanza dalla mdp con devozione e con religioso rispetto per la sua solitaria missione, quella di assicurare a chi non è più una manifestazione di calore, del suo calore prima di quello degli altri, e una ricerca per riscoprirne il Graal della vita che fu. Il tutto intriso di una poetica quasi favolistica, senza tempo e senza connotazioni spaziali significative.
Il film sembra parlare di morte ma in realtà non è così; come dice Pasolini è un film sulla vita ed il suo intrinseco valore, soprattutto sulle vite dimenticate che non lasciano scie, secondo un principio solidaristico di valenza universale che vorremmo fosse patrimonio di tutti.
E’ un film sugli “isolati”, perché ogni isola sia collegata da un istmo alla terraferma da cui si è staccata, che spezzi l’oceano nebuloso dell’oblio, della tabula rasa. E’ un film che ha per eroe un “nessuno” silenzioso e felpato che con ossessiva pervicacia si batte per onorare i morti che nessuno ha accarezzato nel momento dell'addio. E’ un film triste perché è attraversato dal brivido della morte e dell'abbandono, che uccide più della morte stessa.
E’ come una nebbiolina vaporosa come spray di latte, del colore dei capelli bianchi, spessa e avvolgente, sospesa nel vuoto pieno di suoni ovattati, ma insieme morbida e leggera nel suo stringente abbraccio invisibile: ti fa vedere la sua brumosa opacità e l'umidità penetrante e insieme la sua esaltante morbidezza.
Lui è Eddie Marsan, splendido protagonista con la faccia da impiegato del Municipio ma con il piglio del nobile segugio e dell’imperturbabile pontiere tra la morte e la vita.
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maria f.
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venerdì 3 gennaio 2014
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evviva i buoni film!
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Non mi ha suscitato nessuna vera emozione.
Forse perché la morte ancora non mi spaventa, pur avendo un’età in cui potrebbe essere un evento abbastanza vicino.
In sala ho sentito commenti di persone anziane di questo tenore: ”Che film triste, mi sono pentita di averlo scelto”.
Perché? Forse questa fase della vita ci è estranea? Eppure il nostro essere nati contemplava anche quest’ultima operazione. Il pacchetto insomma conteneva inscindibilmente sia l’una sia l’altra condizione.
No, il film non mi ha reso triste, né proverei malinconia nel pensare al mio funerale fatto in solitudine.
Il problema è di altra natura, e appartiene al defunto e a coloro che gli sopravvivono: lasciare ed essere lasciati racchiude una certa amarezza per le cose non dette, rimandate, a volte taciute, il senso di vuoto per un amore non espresso, trascurato, negato.
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Non mi ha suscitato nessuna vera emozione.
Forse perché la morte ancora non mi spaventa, pur avendo un’età in cui potrebbe essere un evento abbastanza vicino.
In sala ho sentito commenti di persone anziane di questo tenore: ”Che film triste, mi sono pentita di averlo scelto”.
Perché? Forse questa fase della vita ci è estranea? Eppure il nostro essere nati contemplava anche quest’ultima operazione. Il pacchetto insomma conteneva inscindibilmente sia l’una sia l’altra condizione.
No, il film non mi ha reso triste, né proverei malinconia nel pensare al mio funerale fatto in solitudine.
Il problema è di altra natura, e appartiene al defunto e a coloro che gli sopravvivono: lasciare ed essere lasciati racchiude una certa amarezza per le cose non dette, rimandate, a volte taciute, il senso di vuoto per un amore non espresso, trascurato, negato.
Tuttavia devo riconoscere la grande generosità di John May nel prendersi cura nella fase della sepoltura di persone vissute in solitudine perché dimenticate o perché per propria scelta emarginatesi.
Questo riguardo faceva parte delle sue incombenze come impiegato comunale, eppure la premura con cui svolgeva questo compito, donando cioè degna sepoltura al de cuius, mi fa scoprire anche la profonda sensibilità del personaggio che forse con queste attenzioni voleva rendere omaggio a un corpo che durante la vita terrena, nel bene e nel male, aveva racchiuso, aveva custodito un’entità spirituale - che a secondo del credo - può essere chiamata anima, intelligenza, volontà o in mille altri modi .
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catcarlo
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venerdì 3 gennaio 2014
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still life
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John May è un uomo molto meticoloso (basta vedere come sbuccia le mele) e molto solo. Sarebbe difficile scovare qualcuno più adatto di lui al suo lavoro: cercare i familiari di persone morte senza nessuno accanto e, nel caso il tentativo fallisse, organizzarne il funerale. La scrupolosità spinge John fino a presenziare alle cerimonie (spesso in perfetta solitudine) e a scrivere l’elegia per il defunto, ma questo non può bastare all’ennesimo capetto che cerca di far carriera calpestando gli altri: l’ufficio è un ramo secco e va tagliato. Resta un ultimo caso, quello dell’alcolizzato Billy Stoke che abitava, invisibile, proprio davanti a lui.
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John May è un uomo molto meticoloso (basta vedere come sbuccia le mele) e molto solo. Sarebbe difficile scovare qualcuno più adatto di lui al suo lavoro: cercare i familiari di persone morte senza nessuno accanto e, nel caso il tentativo fallisse, organizzarne il funerale. La scrupolosità spinge John fino a presenziare alle cerimonie (spesso in perfetta solitudine) e a scrivere l’elegia per il defunto, ma questo non può bastare all’ennesimo capetto che cerca di far carriera calpestando gli altri: l’ufficio è un ramo secco e va tagliato. Resta un ultimo caso, quello dell’alcolizzato Billy Stoke che abitava, invisibile, proprio davanti a lui. Malgrado il licenziamento pendente, John si dedica con la consueta dedizione a un’indagine che lo porta pian piano in territori sconosciuti, quasi che la vita del morto, così diversa dalla sua - tra guerra delle Falklands, donne prese e lasciate, figli che significano che qualcosa di lui comunque resterà - finisse per influenzarlo: condivide una bottiglia di whisky con due barboni e, soprattutto, incontra la figlia maggiore di Billy, Kelly. Il cambiamento di prospettiva è rappresentato da un rivoluzionario (per lui) maglioncino azzurro, ma il destino è in agguato: il quale destino è cinico e baro come e più del solito, ma consente di scoprire che John era meno solo di quanto lui stesso pensasse. Uberto Pasolini, produttore italiano ormai anglicizzato (il suo maggior successo è ‘Full Monty’), firma la sua seconda regia con questa storia che pare uscire dai racconti neri di Ambrose Bierce, ma il cui protagonista può ricordare anche il signor Josè al centro di ‘Tutti i nomi’ di Josè Saramago – si veda l’album con le foto dei ‘clienti’ in cui May pare cercare di costruirsi un senso di appartenenza che nella realtà non esiste: un piccolo uomo, né meglio né peggio di tanti altri, al quale solo una persona sconosciuta e ormai scomparsa regala un nuovo modo di vedere la vita. Ne esce una commedia nella quale l’amaro è addolcito solo da qualche sorriso sparso qua e là (finale incluso) e dove interno ed esterno sembrano riflettersi: un’anonima periferia inglese fatta di case popolari costruite in serie, un appartamento senza personalità, un ufficio ridotto all’essenziale, tutti ambienti in cui John si muove imperturbabile, difeso dalla barriera di cui si è circondato per ripararsi dal mondo (anche la notizia del licenziamento viene accettata senza muovere un muscolo). Autore anche della sceneggiatura, Pasolini ne racconta la storia con una successione di brevi quadri in cui gli attori pronunciano battute ridotte all’essenziale, come se i loro personaggi non sapessero mai bene cosa dirsi: la scelta – quasi ovvia, per altro – di privilegiare le inquadrature strette consente al regista di sottolineare i dettagli, a dir poco fondamentali, e di indagare il volto e i gesti di Eddie Marsan, il caratterista inglese che interpreta John May tenendo tutto il peso del film sulle sue spalle. Compito portato a termine in modo davvero impeccabile immergendosi nell’anonimato del piccolo travet di periferia e poi comunicandone la sottile evoluzione con pochi tratti appena accennati, fino a quando l’incontro con il bel viso di Kelly (Joanne Froggat) non lo fa arrivare laddove non è più possibile tornare indietro. Perché, in fondo, anche se la vita può apparire cristallizzata (come da titolo – tradurlo correttamente ‘natura morta’ non rende l’idea), essa può evolversi in qualsiasi momento seguendo sentieri inattesi: una delle molte riflessioni che regala questo film piccolo e malinconico ma di grande intensità la cui visione non sembra fatta per le festività natalizie e invece cade a proposito per ricordare che tra scintillii e festeggiamenti, la solitudine fa più male.
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nico74ur
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sabato 4 gennaio 2014
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il rispetto della vita e della morte.
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Parole chiave:
dedizione, responsabilità, senso del dovere, profondità, empatia, senso della ritualità, rispetto dei morti.
Nell'epoca della superficialità, della velocità, dell'eterno presente, John May è intriso di tutto ciò che si oppone a questo.
Lui è lento (nel senso buono), profondo, empatico, rispettoso del mondo e di chi non c'è più ma che c'è stato, pur se spesso ai margini e in disparte.
Tutto in apparenza scorre calmo, sempre uguale. Poi, d'improvviso accadono rivoluzioni che stravolgono John e la sua vita,
cui finalmente viene data la chance di potersi esprimere.
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Parole chiave:
dedizione, responsabilità, senso del dovere, profondità, empatia, senso della ritualità, rispetto dei morti.
Nell'epoca della superficialità, della velocità, dell'eterno presente, John May è intriso di tutto ciò che si oppone a questo.
Lui è lento (nel senso buono), profondo, empatico, rispettoso del mondo e di chi non c'è più ma che c'è stato, pur se spesso ai margini e in disparte.
Tutto in apparenza scorre calmo, sempre uguale. Poi, d'improvviso accadono rivoluzioni che stravolgono John e la sua vita,
cui finalmente viene data la chance di potersi esprimere. E John si esprime come meglio sa, meravigliando vivi e morti.
Regia sopraffina, come la fotografia e l'interpretazione di Eddie Marsan.
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amgiad
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domenica 5 gennaio 2014
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la vita della natura morta
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Credo che i regista sia stato perfetto nel comunicarci le intenzioni che lo muovevano a questo film. la grande umanità del protagonista risalta ad esempio confrontata al nuovo efficientismo da macchietta (blairiano o cameroniano). ci sono cose che non hanno prezzo, come far ritrovare una "famiglia" dispersa. Grande interpretazione di eddie marsan che neanche a crearlo poteva avere la faccia e i tempi giusti e che ci rende il protagonista reale (ma dove l' abbiamo visto anche noi? sull' autobus, alla coop, a scuola?). Unico appunto: avrei evitato l' ultima scena (l' omaggio dei fantasmi). non aggiunge niente e va in controtendenza. John May amava i vivi e solo per questo curava i morti.
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(di danascully)
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michela papavassiliou
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mercoledì 8 gennaio 2014
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la paura di vivere come una natura morta
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La Poesia diventa fotogramma in questa pellicola italo britannica del 2013 firmata da Uberto Pasolini. Nella quiete di un paese di campagna inglese Eddie Marsan, nei panni di John May, si occupa di trovare parenti ed amici alle povere anime trapassate in solitudine.
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La Poesia diventa fotogramma in questa pellicola italo britannica del 2013 firmata da Uberto Pasolini. Nella quiete di un paese di campagna inglese Eddie Marsan, nei panni di John May, si occupa di trovare parenti ed amici alle povere anime trapassate in solitudine. A May il compito di organizzare il funerale . L'uomo da anni effettua il suo lavoro con grande senso di responsabilita' e dedizione. Scapolo, senza famiglia lui stesso, partecipa, malgrado la sua apparente indole algida, emotivamente alla dipartita di tutti quegli sconosciuti, conservandone le foto in album che ogni tanto sfoglia la sera nella solitudine domestica e redigendo i testi dei discorsi durante le funzioni religiose . Agli uffici comunali del piccolo paese viene guardato con aria di commiserazione ed il suo appassionato operato non viene apprezzato minimamente. L'amministrazione anzi vorrebbe che lui fosse piu' veloce e che si sbarazzasse di questi scomodi ospiti del cimitero cittadino utilizzando la spicciola cremazione ad una sepoltura in piena regola. C'e' comunque aria di ridimensionamento in direzione ed al puntiglioso e metodico protagonista viene chiesto senza troppi preamboli di andarsene. John chiede di poter cocludere un'ultima pratica su cui sta lavorando prima di lasciare il posto di lavoro. Parte cosi per Londra alla ricerca della figlia del defunto Billy Stoke ed incontra la dolce Kelly, interpretata da Joanne Froggatt, di cui rimane irrimediabilmente attratto. Nella grande citta' e con questa nuova compagnia la vita di May comincia ad acquisire alcuni elementi cromatici fino ad ora a lui sconosciuti e per la prima volta accarezza il sogno di una svolta sostanziale alla sua esistenza. "Still Life" si muove tra le righe non scritte della nostra esistenza, nelle pieghe oscure del silenzio, dell'assenza di umane attenzioni, nello sguardo appartato alla nostra anima, alla paura della solitudine, alla disperazione di vivere senza sentirsi vivi proprio come una natura morta, alle ansie che ci porta il nulla e con grande maestria ci accompagna per mano a sbirciare sulle nostre ansie piu' ancestrali il cui seme giace nel senso di abbandono infantile. Da Vedere. MP
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massi(mo)rdini
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venerdì 10 gennaio 2014
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solitudini
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Uberto Pasolini, sul cui cognome eviteremo di soffermarci con improbabili confronti, esordisce alla regia con una storia dolce e malinconica al tempo stesso.
Protagonista della pellicola è John May, funzionario municipale addetto alla sepoltura di persone dimenticate, che si vede sollevato dall'incarico in seguito al ridimensionamento della sua sezione lavorativa: il suo nuovo caporeparto, infatti, non esita ad approfittare della crisi economica per chiudere quei dipartimenti ritenuti ormai poco fruttuosi. Tra questi vi è ovviamente anche l'ufficio di May, il quale, a causa della meticolosità con cui svolge le sue indagini, viene ingiustamente accusato di dilatare tempi e costi; diventa quindi impossibile per lui proseguire nel proprio operato ma ottiene comunque la possibilità di concludere, felicemente, il suo ultimo caso.
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Uberto Pasolini, sul cui cognome eviteremo di soffermarci con improbabili confronti, esordisce alla regia con una storia dolce e malinconica al tempo stesso.
Protagonista della pellicola è John May, funzionario municipale addetto alla sepoltura di persone dimenticate, che si vede sollevato dall'incarico in seguito al ridimensionamento della sua sezione lavorativa: il suo nuovo caporeparto, infatti, non esita ad approfittare della crisi economica per chiudere quei dipartimenti ritenuti ormai poco fruttuosi. Tra questi vi è ovviamente anche l'ufficio di May, il quale, a causa della meticolosità con cui svolge le sue indagini, viene ingiustamente accusato di dilatare tempi e costi; diventa quindi impossibile per lui proseguire nel proprio operato ma ottiene comunque la possibilità di concludere, felicemente, il suo ultimo caso. Riuscirà infatti a riunire le persone che hanno fatto parte della vita di Billy Stoke, ex veterano della Falkand morto solo e alcolizzato, permettendo loro di celebrarlo almeno nel ricordo. Lo stesso non capiterà a lui che, euforico per la prospettiva di incontrare la figlia dello stesso Billy per un appuntamento, verrà travolto da un autobus, dimenticandosi per la prima volta in vita sua di controllare il traffico. La vita solitaria da lui condotta farà sì che nessuno venga ad assistere alle sue esequie; le uniche a rendergli un commovente omaggio saranno infatti le anime delle persone di cui si è occupato, le stesse di cui ha condiviso solitudine e abbandono, e che, sottratte all'oblio grazie alle sue attenzioni, possono ritenersi ancora in vita.
Il film si dimostra modesto ma non mediocre: difficilmente verrà incluso in qualche top ten ma si farà ricordare dallo spettatore per l'atmosfera serena e pacata, in grado di conferire dignità alla più comune delle storie. John May non è un uomo speciale, come erroneamente riporta la locandina del film: fa solamente parte di quello strato di società che passa inosservato o viene appositamente ignorato in quanto non riveste un peso essenziale nelle nostre vite, almeno dal punto di vista economico. È semplicemente un personaggio gentile, interpretato con una recitazione controllata ma non ingessata, la cui mitezza si riverbera nei luminosi paesaggi britannici che si trova ad attraversare. Il regista indugia magistralmente su questi orizzonti, quasi invitandoci a non farci coinvolgere dalla frenesia e dall'indifferenza ormai connaturate in noi: solo non lasciandoci distrarre dallo stress delle incombenze quotidiane eviteremo di essere travolti dalla meschinità che ci circonda. È questo, in definitiva, il monito che ci suggerisce Still Life; una pellicola dal ritmo forse un po' troppo lento per i nostri standard ma che, anche per questo, vale la pena di vedere.
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uncane
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lunedì 20 gennaio 2014
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la morte sua - spoiler alert
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Film piccolo, tenero e alla disperata ricerca di quella poesia rarefatta di certi film di Kaurismaki o nella migliore delle ipotesi il Kim Ki Duk pià buono, che parte da un' idea (?) o meglio da un mestiere, quello del protagonista, molto particolare e sicuramente affascinante. John May rintraccia parenti e conoscenti di persone decedute in solitudine. Non ne trova praticamente nessuno durante quasi tutto il film, ed è sempre l'unico a presenziare ai funerali che organizza e per i quali scrive toccanti discorsi (l'aspetto migliore del film, forse). la pellicola scorre tutto sommato piacevolmente, con i ritmi del genere; ogni tanto un sorriso, ogni tanto un po' di leggera commozione, pochi dialoghi, tanti primi piani del volto buono e normale del protagonista.
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Film piccolo, tenero e alla disperata ricerca di quella poesia rarefatta di certi film di Kaurismaki o nella migliore delle ipotesi il Kim Ki Duk pià buono, che parte da un' idea (?) o meglio da un mestiere, quello del protagonista, molto particolare e sicuramente affascinante. John May rintraccia parenti e conoscenti di persone decedute in solitudine. Non ne trova praticamente nessuno durante quasi tutto il film, ed è sempre l'unico a presenziare ai funerali che organizza e per i quali scrive toccanti discorsi (l'aspetto migliore del film, forse). la pellicola scorre tutto sommato piacevolmente, con i ritmi del genere; ogni tanto un sorriso, ogni tanto un po' di leggera commozione, pochi dialoghi, tanti primi piani del volto buono e normale del protagonista.
Niente di che, se non che ovviamente anche il nostro è un uomo tremendamente solo, ma di lui non sapremo mai più di questo.
Più la storia avanza, però, e più si stabilizza sui binari della prevedibilità più ovvia: John May viene licenziato e si trova a dover sbrigare l'ultima pratica, e lo farà con una caparbietà per lui inusuale, guarda caso troverà anche forse, chissà, l'amore.
Già così il film sta finendo gambe all'aria, ma U. Pasolini non si ferma e vuole giocare tutte le carte possibili, May, che si affaccia su una nuova vita e sta già meglio, muore immediatamente. Proprio ora che forse aveva trovato l'amore, la vita. Al funerale del suo "ultimo caso" c'è un sacco di gente, probabilmente il suo unico successo in oltre vent'anni di professione, ma, tristezza infinita, al suo naturalmente non c'è nessuno. Il disperato tentativo di U.Pasolini di commuovere il pubblico è di per sè commovente, oltre che patetico e ridicolo. Non pago però, il regista vuole sottolineare ancora di più il senso della sua storia, e così si concede un finale che più melenso e televisivo non si può, sempre alla ricerca di una lacrima in sala. Niente da fare, film bocciato, sceneggiatura da banchi di scuola e uno stile che non ha nulla di personale, con l' aggravante di un finale talmente goffo da essere irritante.
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[+] azzeccato
(di brian77)
[ - ] azzeccato
[+] non è un film per tutti
(di lia_manelli)
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irenemelis
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lunedì 16 dicembre 2013
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un detective dei sentimenti
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Una storia semplice e densa quella rappresentata nel film STILL LIFE da Uberto Pasolini.
John May, è impiegato di una municipalità inglese e ha il compito di trovare i parenti di persone decedute senza che nessuno abbia avuto cura di loro quando la vita li ha abbandonati.
John, però, non è solo così solerte e meticoloso impiegato da indagare tra vicini sulle possibili relazioni familiari degli estinti, lui è molto di più: è un detective dei sentimenti.
È sufficiente un breve sopralluogo negli appartamenti (vuoti e prossimi allo sgombro e alla disinfestazione) perché lui riesca a ricostruire un’intera vita: la passione per la danza di un’eccentrica signora, l’amore della sua gatta che considera come una figlia, i vecchi vinili polverosi colonna sonora di gioventù, alcune collane colorate, bottiglie vuote di alcolici e tante foto polverose che celano legami perduti.
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Una storia semplice e densa quella rappresentata nel film STILL LIFE da Uberto Pasolini.
John May, è impiegato di una municipalità inglese e ha il compito di trovare i parenti di persone decedute senza che nessuno abbia avuto cura di loro quando la vita li ha abbandonati.
John, però, non è solo così solerte e meticoloso impiegato da indagare tra vicini sulle possibili relazioni familiari degli estinti, lui è molto di più: è un detective dei sentimenti.
È sufficiente un breve sopralluogo negli appartamenti (vuoti e prossimi allo sgombro e alla disinfestazione) perché lui riesca a ricostruire un’intera vita: la passione per la danza di un’eccentrica signora, l’amore della sua gatta che considera come una figlia, i vecchi vinili polverosi colonna sonora di gioventù, alcune collane colorate, bottiglie vuote di alcolici e tante foto polverose che celano legami perduti.
John, non si arrende davanti a niente.
Per ognuna di quelle persone apre un fascicolo che chiude solo quando ha trovato un familiare. Spesso si tratta di figli dimenticati e traditi che lui cerca con partecipazione di convincere a una riconciliazione postuma e a partecipare al funerale.
Quasi mai ci riesce, gli attriti sono insuperabili, le distanze emotive incolmabili, e allora è lui a occuparsi delle esequie scegliendo la musica più adatta, il rito religioso più consono fino a partecipare personalmente, da solo, all’ultimo viaggio.
Capiamo da subito che la vita di John è tutta qui: nel cercare di riallacciare legami che si sono spezzati tra genitori, amici e parenti del defunto facendo in modo che la morte perdoni tutte le manchevolezze, le incomprensioni e i torti fatti dall’uno e più spesso subiti dagli altri. John, vive le vite degli altri, si appassiona alle ragioni che li hanno fatti incontrare e separare proiettando se stesso come mediatore di quelle vicende.
Tutto sembra consuetudine nella vita di John, come la mela che sbuccia da ventidue anni quotidianamente nella pausa lavoro, finché la macchina burocratica dell’amministrazione pubblica interviene su quella che economicamente è considerato “un ramo secco da tagliare” del quale si può occupare meno dispendiosamente un altro settore. Un solerte e rampante dirigente economista lo licenzia dopo avergli concesso di chiudere l’ultimo caso: quello di Billy Stoke, un alcolista ritrovato morto dopo settimane su segnalazione dei vicini.
John May scopre un vecchio amore, una figlia, dei compagni di missione alle Falkland, degli operai di un’azienda alimentare, degli ubriaconi irrecuperabili. Tutti hanno subito un torto imperdonabile da John, un’offesa che ancora brucia come la passione che ancora li lega a lui. Per la compagna è il ricordo di non aver mai più amato nessuno come lui, per la figlia la perdita definitiva di un padre che ora la rende davvero orfana, per i veterani della guerra il ricordo del suo coraggio che ha salvato loro la vita, per i colleghi di lavoro la tenacia nelle lotte sindacali, per gli alcolisti il suo stile amabile e inimitabile nel conquistare le donne.
È questa l’occasione per John per ricomporre abilmente i suoi e gli altrui affetti.
E per la prima volta il mondo si accorge di lui, di quell’uomo dagli occhi compassionevoli per tutte le vite vissute e finite in solitudine.
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angelo umana
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domenica 15 dicembre 2013
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still life, una vita che risiede
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John May muore a 44 anni investito da un autobus. Lui, sempre così compito e metodico, che attraversava la strada guardando più volte a destra e sinistra, in questo caso era euforico e distratto dalla novità di aver conosciuto Kelly Stoke, una ragazza semplice che lavora in un canile e che gli aveva dato un appuntamento dopo il funerale di suo padre, Billy Stoke. Deve essere morto contento, John.
Ha lavorato per 22 anni nel servizio utenti di un municipio di Londra, si occupava di cercare eventuali parenti di persone morte in solitudine, perché partecipassero al funerale del congiunto, che l’impiegato si occupava di organizzare con la musica e le parole più indicate.
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John May muore a 44 anni investito da un autobus. Lui, sempre così compito e metodico, che attraversava la strada guardando più volte a destra e sinistra, in questo caso era euforico e distratto dalla novità di aver conosciuto Kelly Stoke, una ragazza semplice che lavora in un canile e che gli aveva dato un appuntamento dopo il funerale di suo padre, Billy Stoke. Deve essere morto contento, John.
Ha lavorato per 22 anni nel servizio utenti di un municipio di Londra, si occupava di cercare eventuali parenti di persone morte in solitudine, perché partecipassero al funerale del congiunto, che l’impiegato si occupava di organizzare con la musica e le parole più indicate. Recuperava così nelle abitazioni del defunto carte, fotografie e documenti che lo mettessero sulle tracce di parenti. Di solito però alla funzione religiosa c’erano solo lui, la bara e il prete officiante.
Si applicava in questo lavoro, sempre inappuntabile e meticoloso, si recava nelle abitazioni e cercava oggetti e indizi utili a sapere qualcosa della vita delle persone, con un fare serioso alla Sherlock Holmes per la verità. Impossibile non pensare a Gerd Wiesler de “Le vite degli altri”, stessa vita povera, senza affetti e piena di solitudine, l’appartamento mai frequentato da alcun amico o conoscente e scatolette di carne consumate in una tavola apparecchiata sempre allo stesso modo quasi maniacale. Non aveva presente i versi della poesia:
“Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non rischia di vestire un colore nuovo. Muore lentamente chi evita una passione…. Lentamente muore chi non capovolge il tavolo”.
In effetti era una vita lugubre la sua e non solo per essere circondato da storie di morti che non conosceva, di cui conservava le foto in un album come di matrimonio, ma aveva perfino scelto la sua postazione in cimitero, un bel panorama. Una vita sempre entro i soliti percorsi, gliela cambia il caposervizio che lo licenzia (inaudito per l’Italia: si licenzia nei comuni inglesi!) “per tagliare i rami secchi”, gli dice, ma il lavoro che svolgeva era troppo meticoloso e lento, per persone “della cui esistenza non frega nulla a nessuno”. Gli dice che potrà avere“una nuova vita, più stimolante a contatto coi vivi … I funerali sono per i vivi, niente funerali niente tristezze e lacrime. I morti se ne fregano, si assomigliano tutti”.
Tutto quel cercare gli è servito per conoscere una ragazza, cosa che forse non gli era mai successa, lei è la figlia di quel Billy Stoke che viveva senza più relazioni, salvo due clochard come lui. John aveva pure rintracciato una ex amica di Billy, lei non ci pensa nemmeno a prendere parte al funerale di qualcuno di cui ha perso le tracce da vent’anni: “Che lavoro strano fa lei … tutte quelle vite!”. Nel caso di Stoke però, gli sforzi del “civil servant” col forte senso del dovere, sono serviti a farlo seppellire alla presenza di varie persone. E’ lecito domandarsi se una vita appena più movimentata non gli avrebbe riservato più soddisfazioni e la conoscenza di un possibile amore. Invece dopo quella vita in silenzio, con la solita scriminatura nei capelli e l’immancabile cravatta, in silenzio e senza nessuno sarà sotterrato.
La scenografia fa dono alla salma di John di un romantico ritrovo, attorno alla sua tomba, dei morti tutti uguali i cui parenti lui aveva cercato di far partecipare alle esequie. Inserisce anche una poltrona sostenuta da libri al posto di una gamba, sia nella casa di Billy Stoke, sia nella casa di Kelly, chissà a che scopo. Nonostante la inverosimiglianza con vicende reali o possibili – è incredibile pensare che esista più di un John May al mondo – la storia è ben rappresentata e il film molto ben girato, si rende interessante, ottima l’interpretazione dell’impassibile Eddie Marsan, ma è dubbio che “all’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto” il sonno della morte sia meno duro (Foscolo).
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