nino raffa
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mercoledì 22 dicembre 2021
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natura morta con resurrezione
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John May, impiegato di un municipio londinese, si occupa dei cittadini che muoiono soli. Prende in consegna l’appartamento, lo svuota, cerca di rintracciare amici o parenti, quasi sempre inutilmente. Crede che nessuno debba scomparire senza il segno o l’omaggio di una parola. Sulla piccola scrivania dell’ufficio nel seminterrato dispone – come una delicata natura morta – qualche lettera, una collanina, delle fotografie; e da queste poche tracce ricompone vite intere, affidate all’invenzione di calde orazioni funebri che consegna a perplessi sacerdoti per essere lette dal pulpito.
Meticoloso, maniacale quanto basta, sorvegliato anche nell’attraversare la strada, John è a sua volta solo.
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John May, impiegato di un municipio londinese, si occupa dei cittadini che muoiono soli. Prende in consegna l’appartamento, lo svuota, cerca di rintracciare amici o parenti, quasi sempre inutilmente. Crede che nessuno debba scomparire senza il segno o l’omaggio di una parola. Sulla piccola scrivania dell’ufficio nel seminterrato dispone – come una delicata natura morta – qualche lettera, una collanina, delle fotografie; e da queste poche tracce ricompone vite intere, affidate all’invenzione di calde orazioni funebri che consegna a perplessi sacerdoti per essere lette dal pulpito.
Meticoloso, maniacale quanto basta, sorvegliato anche nell’attraversare la strada, John è a sua volta solo. Le sue giornate sembrano coincidere con quelle foto di sconosciuti, che a casa dopo una giornata di lavoro, attacca con cura su un album come fossero i grandi affetti della sua vita.
Questa pietosa routine dura più di vent’anni, finché il suo ufficio viene cancellato dai tagli al budget del municipio. In più – ragiona il capo mentre lo licenzia – i morti sono morti e basta; i funerali sono per i vivi: meglio quelli deserti in cui non soffre nessuno. Lui mette negli scatoloni tutte le pratiche, sistema l’ultima carpetta sulla scrivania e spegne per sempre la luce dell’ufficio. Chiede solo – a sue spese – altri tre giorni per chiudere il caso di Billy Stoke: il barbone alcolizzato di quell’ultimo fascicolo.
John riuscirà a ricomporre vita e affetti di Billy, e dentro di essi troverà pure una donna. In pochi giorni smette la grisaglia d’ordinanza e veste informale. Compra per lei un piccolo dono, e attraversa, per la prima volta spensierato, una strada. Un confine tra un prima e un dopo. La morte gli ha teso una trappola perfetta, nascondendosi dietro l’amore per fargli abbassare la guardia. Anche lui è solo: gli toccherà un funerale deserto.
Finale perfetto, nella realistica assurdità con cui spesso la vita accade. Eppure squarciato, quasi fuori tempo massimo, da una potente esplosione di speranza. Still Life di Uberto Pasolini racconta senza sbavature una storia originale tra la vita e la morte, gettando una luce poetica su questa soglia incognita. Umanissimo inno religioso, a prescindere da Dio o da qualsiasi fede nel soprannaturale. John May pratica ogni giorno la religione nella sua etimologia profonda di relegere, osservare, stare attenti; per estensione, curare ciò che ci circonda, anche nella sua parte invisibile e misteriosa. L’album in cui, ogni sera, incolla con devozione qualche foto, rilega d’amore la sfilacciata trama del mondo.
Ottimo il protagonista – un insuperabile Eddie Marsan – con le sue piccole sorvegliate manie, la fede solitaria negli altri. Il suo luminoso grigiore.
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m.barenghi
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venerdì 27 dicembre 2013
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il "circolo virtuoso" di uberto pasolini
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Still life, letteralmente "natura morta", racconta la vita "minimale" di un impiegato comunale della South London addetto alla gestione delle salme di persone apparentemente senza famiglia. Ne ritaglia le fotografie, che andranno a far parte del suo personalissimo album di famiglia (che non ha!); ne osserva l'ambiente vitale e ne raccoglie le reliquie, che gli serviranno per redarre un sermone funebre che nessuno ascolterà -a parte lui stesso-, dato che raramente le ricerche di possibili familiari che possano assistere alle esequie trovano esito positivo. E questi defunti rappresentano tutto il suo mondo, sia nello spoglio ufficio dove lavora e in cui cataloga minuziosamente ed accuratamente tutti i reperti che raccoglie, sia a casa, connotata principalmente appunto dal citato album di fotografie e da pasti squallidi ed abitudinaria base di tonno in scatola.
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Still life, letteralmente "natura morta", racconta la vita "minimale" di un impiegato comunale della South London addetto alla gestione delle salme di persone apparentemente senza famiglia. Ne ritaglia le fotografie, che andranno a far parte del suo personalissimo album di famiglia (che non ha!); ne osserva l'ambiente vitale e ne raccoglie le reliquie, che gli serviranno per redarre un sermone funebre che nessuno ascolterà -a parte lui stesso-, dato che raramente le ricerche di possibili familiari che possano assistere alle esequie trovano esito positivo. E questi defunti rappresentano tutto il suo mondo, sia nello spoglio ufficio dove lavora e in cui cataloga minuziosamente ed accuratamente tutti i reperti che raccoglie, sia a casa, connotata principalmente appunto dal citato album di fotografie e da pasti squallidi ed abitudinaria base di tonno in scatola.
Detto così verrebbe voglia di far di tutto tranne che andare a vedere questo film: che è invece un'opera tutt'altro che deprimente, dai fortissimi toni consolatori, pervasa da una fine ironia e talora persino comica, stilisticamente e ritmicamente perfetta, fotograficamente eccellente, splendidamente recitata (non esiste il movimento di un muscolo del fantastico Eddie Marsan che non sia funzionale all'espressività e al racconto!). Soprattutto il film, molto english nello stile, oltre che nella produzione, ci ricorda in modo evidente un concetto fondamentale, mediato dalle culture africane e tornato di attualità in queste settimane in cui è scomparsa una delle grandissime figure del nostro tempo, Nelson Mandela: la nostra esistenza è riconducibile a un sistema di relazioni con tutto quello che ci circonda, materiale o immateriale, presente o assente, vivente o defunto, e solo nell'armonia di queste relazioni conciste il segreto della nostra pace interiore. E' il concetto di ubundu delle culture africane: quello che ha reso possibile la grande riappacificazione in Sudafrica appunto negli anni di Mandela. L'agire disinteressatamente per gli altri, oltre a metterci in risonanza armonica con il resto del mondo, contribuisce a promuovere, in contrapposizione all'utilitarismo e al menefreghismo, quel "circolo virtuoso" cui accennavo nel lancio, e di cui avremmo così tanto bisogno per risollevare le sorti morali del paese e dell'intera cultura occidentale. Il finale del film, che alcuni hanno trovato quasi pacchiano, è invece il suggello meraviglioso e commovente a questi concetti.
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grester
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domenica 16 novembre 2014
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vita che rivive
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Film bellissimo, che mi ha commosso. Non tanto perchè parla della morte o della solitudine, ma perchè parla della delicatezza di un'anima bella. Chiusa in un corpo goffo, in una vita monotona, in una precisione maniacale, in una ripetitività ossessiva di giornate apparentemente sempre uguali, cerca qualcosa di più grande. Forse è il desiderio di trovare nelle vite degli altri una bellezza che non ha saputo costruire nella sua, dando le spalle al flusso dell' esistenza (così come fa nei suoi viaggi in treno). Ma ecco che, quando intravede la possibilità di un incontro con un'altra anima sensibile, tutti i freni si allentano, si spezzano gli schemi e , finalmente, si può lasciar andare al flusso della vita.
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Film bellissimo, che mi ha commosso. Non tanto perchè parla della morte o della solitudine, ma perchè parla della delicatezza di un'anima bella. Chiusa in un corpo goffo, in una vita monotona, in una precisione maniacale, in una ripetitività ossessiva di giornate apparentemente sempre uguali, cerca qualcosa di più grande. Forse è il desiderio di trovare nelle vite degli altri una bellezza che non ha saputo costruire nella sua, dando le spalle al flusso dell' esistenza (così come fa nei suoi viaggi in treno). Ma ecco che, quando intravede la possibilità di un incontro con un'altra anima sensibile, tutti i freni si allentano, si spezzano gli schemi e , finalmente, si può lasciar andare al flusso della vita.
Anche se fa male vedere spezzata così repentinamente la sua esistenza terrena, sai che è passato al di là con la gioia nel cuore e con il trepidante entusiasmo di un ragazzo.
E la sua non è sata una vita inutile. Questo è un uomo che ha saputo, forse inconsapevolmente, ridare dignità alle vite degli altri, magari anche alla nostra. Allora capiamo che il valore non sta in ciò che facciamo, ma nel "come" lo facciamo. "Io amo il mio lavoro", dice, e lo ama davvero. E se non saranno i vivi a riconoscerglielo, i morti sì, perchè loro, ormai, sanno tutto.
Vorrei fare i miei complimenti al regista , sceneggiatore e produttore Uberto Pasolini, per il suo coraggio. Nel marasma di film assurdi che ci vorticano intorno, questo ci fa fermare a riflettere e a contemplare la bellezza. Di un volto anonimo che via via acquista luce, di colori grigi che piano piano diventano azzurri, di una solitudine che finalmente si trasforma in compagnia. Grazie!
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no_data
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domenica 3 maggio 2015
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piccolo capolavoro purtroppo misconosciuto
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Una chicca imperdibile per gli amanti del vero cinema. Il grigiore della vita di un semplice impiegato dell'ufficio comunale addetto al riconoscimento dei morti dimenticati assume le valenze di un canto dolente ma pieno di speranza.
Il regista lavora di sotrazione lasciando il protagonista in un mondo asettico e solo apparentemente privo di emozioni.
Starà all'anonimo travet i trovare la chiave della vita, dell'amore e , ahimè, della morte. Un senso di latente religiosità pervade questo film laico e lento.
Finale di rara e struggente bellezza.
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chicchiddu
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sabato 21 dicembre 2013
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rivoluzionario
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Nell'epoca del soldo facile, del fare il meno possibile per ottenere il massimo, dell'enfatizzazione delle emozioni più sguaiate, della volgarità e superficialitá, dell'individualismo e della accidia in particolare per il proprio lavoro, questo film é rivoluzionario. Rivoluzionaria è la semplice storia di un piccolo grande uomo che ama la vita al punto di preoccuparsi dei morti che nessuno cerca, che ama il proprio lavoro fino a incarnarne lo spirito intimamente e professandolo con umile fierezza, un piccolo uomo che se ne frega della vulgata, delle mode, delle convenzioni e sceglie di vivere in base ai propri ferrei principi, e che cerca con tutto se stesso di motivare la passione e gli affetti negli altri, di riportarli all'umanitá dimenticata, senza peraltro che gli sia richiesto.
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Nell'epoca del soldo facile, del fare il meno possibile per ottenere il massimo, dell'enfatizzazione delle emozioni più sguaiate, della volgarità e superficialitá, dell'individualismo e della accidia in particolare per il proprio lavoro, questo film é rivoluzionario. Rivoluzionaria è la semplice storia di un piccolo grande uomo che ama la vita al punto di preoccuparsi dei morti che nessuno cerca, che ama il proprio lavoro fino a incarnarne lo spirito intimamente e professandolo con umile fierezza, un piccolo uomo che se ne frega della vulgata, delle mode, delle convenzioni e sceglie di vivere in base ai propri ferrei principi, e che cerca con tutto se stesso di motivare la passione e gli affetti negli altri, di riportarli all'umanitá dimenticata, senza peraltro che gli sia richiesto. Ed é rivoluzionario perché ci fa capire che basta una piccola, qualsiasi storia come questa (sapendola raccontare così però!) per affrontare temi profondissimi, fondamentali, e direi attualissimi nella nostra società, senza bisogno di chissà quali teorie o manifestazioni divine, sconvolgimenti epocali, o bacchette magiche, ma solo in punta di piedi, limpidi, con gesti, parole e sguardi colmi di sensibilità illuminata che colpiscono come un macigno, nella melassa allo stesso tempo caciarona e ovattata in cui siamo immersi.
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stefanomaria
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domenica 29 dicembre 2013
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poesia allo stato puro
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Ci sono momenti nella vita dei quali si riesce a godere intensamente ogni singolo attimo, ogni stilla di tempo che ci scorre tra le dita, negli occhi, nelle parole, negli sguardi di chi ci sta intorno, nelle azioni nostre e degli altri. Beh, a me non è capitato proprio così quando, entrato nella sala, le immagini di 'Still life' hanno cominciato a scorrere sullo schermo: una vaga trepidazione si è impossessata di me: temevo monotonia, piattezza, noia, tristezza e, quella sera di qualche giorno fa, proprio non ero in vena di sorbirmi tutto ciò; ma avvertivo, anche, una certa curiosità, un interesse masochistico che mi spingeva ad andare avanti nella visione, a non demordere e, anzi, ad essere più attento alle sfumature, alle espressioni dei personaggi, allo sviluppo della storia, all'ambientazione, ai movimenti di macchina.
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Ci sono momenti nella vita dei quali si riesce a godere intensamente ogni singolo attimo, ogni stilla di tempo che ci scorre tra le dita, negli occhi, nelle parole, negli sguardi di chi ci sta intorno, nelle azioni nostre e degli altri. Beh, a me non è capitato proprio così quando, entrato nella sala, le immagini di 'Still life' hanno cominciato a scorrere sullo schermo: una vaga trepidazione si è impossessata di me: temevo monotonia, piattezza, noia, tristezza e, quella sera di qualche giorno fa, proprio non ero in vena di sorbirmi tutto ciò; ma avvertivo, anche, una certa curiosità, un interesse masochistico che mi spingeva ad andare avanti nella visione, a non demordere e, anzi, ad essere più attento alle sfumature, alle espressioni dei personaggi, allo sviluppo della storia, all'ambientazione, ai movimenti di macchina... E non sono stato deluso: poesia allo stato puro, una trama originalissima che mi ha fatto godere e fremere di piacere intenso, attori assolutamente appropriati mai sopra le righe, una fotografia bellissima nella sua semplicità, una sapiente fissità di macchina che, da sola, valeva il prezzo del biglietto, una misurata commozione che non prende mai il sopravvento per diventare melensaggine, la morte e la solitudine (argomenti insidiosissimi) trattate con delicatezza e levità rare.... Insomma, credetemi, un film come non ne vedevo da secoli: poetico (ma questo l'ho già detto...) come solo il cinema orientale o africano (che io, personalmente, prediligo) sa fare, fantasioso, onirico, mistico, che pizzica sapientemente corde profonde del nostro animo, e che sa essere anche latentemente ironico; passato e presente che si mischiano insieme regalando una visione uniforme e rassicurante della realtà, dello scorrere del tempo e dei rapporti col prossimo, una visione che ricorda molto da vicino la 'corrispondenza di amorosi sensi' di foscoliana memoria, ma trattata con tocco tenue, leggero e spruzzato di umorismo (un po' rigido...) di marca anglosassone.
Cosa dirvi di più? Io sono uno di quelli che, per interesse prettamente cinematografico (ma anche con una buona dose di masochismo, come ho già detto....) si è andato a vedere l'ultimo di Checco Zalone; il cinema a me piace moltissimo, lo considero un po' la lettura visiva della vita, di noi e degli altri, un punto di vista alternativo al mio, e una piccola fessura nell'anima del regista, attraverso la quale si riesce ad intravedere la sua vera essenza; ma, se in moltissimi film di oggi (ma anche di ieri...) da quello spiraglio si vede solo il simbolo dei dollari (come le pupille di Zio Paperone quando si prospettava un lauto guadagno, per intenderci...), in alcuni altri (e per palese volontà del regista) il 'messaggio' è ben lungi dall'essere la sola e squalificante acquisizione economica, ma il desiderio è quello di comunicare ad un livello più alto ed edificante, un livello che con sempre più sforzo si raggiunge, un livello che deve essere conquistato con impegno, dedizione, serietà e rispetto per noi, pubblico, che tanto scemi non siamo (a parte le tendenze masochistiche di cui sopra...).
Vi basta?
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eroyka
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venerdì 3 gennaio 2014
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semplice, lineare, delicato e profondo.
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Con una trama così lineare e "normale" che sembra un film quasi noiso ma che in realtà non lo diventa mai. Nella sua semplicità e realtà va a toccare molto nel profondo, ma quasi senza farsene accorgere, paure ancestrali quali la morte, il distacco, la solitudine. La sua delicatezza è la sua forza.
Un film da vedere e rivedere per fare un viaggio dentro il proprio intimo.
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lia_manelli
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mercoledì 19 febbraio 2014
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still life è poesia
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John May vive solo in un appartamento nella zona popolare della sua città. Meticoloso, preciso e routinario, la sua vita ruota attorno al lavoro, il cui compito (ma forse è più corretto dire missione) è quello di ritrovare i parenti di persone decedute apparentemente sole al mondo. In realtà, scavando un po’ a fondo tra ricordi, fotografie e oggetti personali abbandonati, riesce a scoprire i motivi di tale solitudine, spesso giustificata dai comportamenti non proprio esemplari assunti durante la vita passata. Ad ogni modo, a John May non interessa sapere cosa hanno fatto queste persone in vita: vorrebbe solo radunare parenti ed amici per dar loro un ultimo saluto.
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John May vive solo in un appartamento nella zona popolare della sua città. Meticoloso, preciso e routinario, la sua vita ruota attorno al lavoro, il cui compito (ma forse è più corretto dire missione) è quello di ritrovare i parenti di persone decedute apparentemente sole al mondo. In realtà, scavando un po’ a fondo tra ricordi, fotografie e oggetti personali abbandonati, riesce a scoprire i motivi di tale solitudine, spesso giustificata dai comportamenti non proprio esemplari assunti durante la vita passata. Ad ogni modo, a John May non interessa sapere cosa hanno fatto queste persone in vita: vorrebbe solo radunare parenti ed amici per dar loro un ultimo saluto. Un saluto che chiunque merita. Si ritrova quasi sempre di fronte mura invalicabili, fatte di risentimenti e profonde delusioni, che lo portano ad essere il solo a partecipare ai funerali di questi sconosciuti, divenuti ormai di famiglia per lui. Più di tutti, il suo ultimo caso, che sarà un ulteriore occasione di riflessione sulla propria vita, non tanto diversa da quella condotta da Big Billy prima della sua morte. Il film esige uno spettatore/osservatore attento ai dettagli e pronto a mettere in discussione sé stesso, proprio come il protagonista: è impossibile non mettersi nei suoi panni, sentire quello che prova, che vede e che sente. Incredibile la sua capacità di esprimere emozioni così forti e profonde da scuotere l’anima, grazie ad un’interpretazione magistrale di Eddie Marsan. Le immagini sono forti e piene di significato, non c'è una sola scena che sia fuori posto o di troppo. E' tutto studiato per entrare completamente in sintonia con i personaggi e con i luoghi della storia. La stessa riflessione che fa John, la fa anche lo spettatore, che non è seduto in poltrona, ma al suo fianco mentre lo segue nel suo viaggio, interiore ed intimo, con il cuore e la mente. Still life è poesia, di una potenza sconvolgente. Incantevole e sublime.
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mauridal
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mercoledì 26 marzo 2014
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la solitudine dei vivi
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Quando una vita di solitudine si incontra con la morte di un uomo che al contrario ha vissuto pienamente la propria vita, in compagnia di altre vite , si può capire il punto di vista di Uberto Pasolini regista di STILL life che racconta se stesso a confronto con l'idea della morte in solitudine, come tutte quelle che il suo personaggio , il funzionario John May uomo solo e metodico, incontra per dovere d'ufficio. In una Londra grigia, scopriamo il lavoro diJohn, un altrettanto grigio impiegato del municipio londinese che ha il compito di ricostruire un passato alle persone, morte in solitudine, senza famiglia, nè amici per poter poi dare una degna esequie a questi defunti che altrimenti sarebbero definitivamente abbandonati.
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Quando una vita di solitudine si incontra con la morte di un uomo che al contrario ha vissuto pienamente la propria vita, in compagnia di altre vite , si può capire il punto di vista di Uberto Pasolini regista di STILL life che racconta se stesso a confronto con l'idea della morte in solitudine, come tutte quelle che il suo personaggio , il funzionario John May uomo solo e metodico, incontra per dovere d'ufficio. In una Londra grigia, scopriamo il lavoro diJohn, un altrettanto grigio impiegato del municipio londinese che ha il compito di ricostruire un passato alle persone, morte in solitudine, senza famiglia, nè amici per poter poi dare una degna esequie a questi defunti che altrimenti sarebbero definitivamente abbandonati. Argomenti questi,difficili da digerire in un film che è nella realtà dei nostri anni dove la vita e la morte valgono poco, per tutti quegli uomini che hanno ben altro da fare o che vivono per gli unici scopi che le moderne società avanzate si danno, potere ,successo danaro,insomma vita e benessere a tutti i costi. Tuttavia superando l'angoscia che inevitabilmente lo spettatore prova , si accetta l'dea di seguire il poetico e commovente John , nel suo ultimo impegno, poichè il suo ufficio chiude e lui è licenziato. Ma ottiene quindi per ultimo di ricostruire e cercare il passato di un uomo morto in solitudine in una casa proprio vicino alla sua : un uomo, Billy dalla vita esattemente opposta a quella di Jhon , alcolizzato, donnaiolo, con una figlia, fuggito da casa, da moglie e figlia, ancora con altre donne finchè dopo varie vicende tra cui, anche il carcere, ormai vecchio, muore.Tutto questo Jhon lo ricostruisce nel tentativo di trovare amici e parenti per ilfunerale. Da scrupoloso ed efficiente qual'è John trova tutte le persone della vita di Bill, a partire dalle foto della piccola figlia, che trova nella ultima casa dove Bill muore. Ma il destino , il fato vorrà dare una svolta diversa alle speranze di Jhon. Tutti quelli che incontra, compresa la giovane figlia di Billy, per invitarli al funerale, si dichiarano indisponibili, si rifiutano di ricordare Billy. Attraverso questa sconfitta, pure JHon ormai inutile e senza altra funzione o scopo nella vita, cerca il suicidio, A salvarlo ci pensa infine proprio la figlia di Billy che ormai adulta, aveva riabilitato il padre , accettando di partecipare al funerale. John May aveva vinto, portando a termine il suo compito, tornava a vivere , addirittura con la nuova speranza di una bella amicizia con la ragazza, la figlia del defunto Billy. IL fato dicevo, che nei classici antichi spesso dominava sugli uomini, decide diversamente: distratto dalla speranza di una nuova vita John, attraversando una strada , viene investito da un bus rosso, e muore. Ecco l'epilogo della vicenda, john che aveva trovato una degna sepoltura e un degno funerale seguito da amici e parenti per Billy si trova ad essere un defunto anonimo e solitario . Un regista italiano racconta una storia da tragedia classica moderna , in versione inglese, ma con risvolti anche di ironia britannica, morire investito da un double decker, per un londinese è fose il massimo della jella. mauridal
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stefano capasso
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venerdì 25 luglio 2014
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una solitudine senza uscita
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John May lavora per il comune di Londra. E' un servizio particolare quello a cui si dedica: organizzare il funerale delle persone che muoiono sole, rintracciando eventuali parenti o amici. Ama il suo lavoro e lo svolge con meticolosità; scrupoloso annota tutto fino a conservare un suo personale album fotografico delle persone che segue. Si perché vive con profonda empatia la vicenda di questi particolari clienti, si interessa profondamente alla loro vita tanto da riuscire a scrivere dei necrologi cosi dettagliati e celebrativi che sembrano scritti da un parente stretto. E partecipa solo a queste messe, scegliendo con cura anche la musica per la cerimonia.
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John May lavora per il comune di Londra. E' un servizio particolare quello a cui si dedica: organizzare il funerale delle persone che muoiono sole, rintracciando eventuali parenti o amici. Ama il suo lavoro e lo svolge con meticolosità; scrupoloso annota tutto fino a conservare un suo personale album fotografico delle persone che segue. Si perché vive con profonda empatia la vicenda di questi particolari clienti, si interessa profondamente alla loro vita tanto da riuscire a scrivere dei necrologi cosi dettagliati e celebrativi che sembrano scritti da un parente stretto. E partecipa solo a queste messe, scegliendo con cura anche la musica per la cerimonia. Questa è la sua vita, vivo e completamente solo, tra i morti in solitudine. Quando deve organizzare il funerale di un uomo che abita di fronte al suo palazzo, Billy, è come se la vicinanza gli faccia riconoscere un amico. Si attiva con tutte le sue energie, trova parenti ed amici e rivive, attraverso i racconti dei parenti, la storia di questo uomo con passione. E' il suo ultimo lavoro; verrà licenziato perché impiega troppo tempo e per il comune il suo lavoro scrupoloso è uno spreco di soldi. Riuscirà finalmente ad organizzare un funerale con tanti partecipanti, e smessi i panni scuri dell'impiegato che lavora coi morti, la sua vita sembra assumere un colore nuovo, perché Kelly, la figlia di Billy, donna sola anche lei, si interessa a lui. Ma evidentemente il suo compito si era già concluso e il finale sarà tragico e dolce, perché John avrà comunque il suo premio.
Un film molto bello quello di Uberto Pasolini, rigoroso e profondo, con una fotografia che sottolinea perfettamente i contenuti: i colori tenui, le composizioni sempre geometriche, i pochissimi movimenti di macchina si incastrano perfettamente con l'umore e il tono del protagonista.
Il tema della solitudine è trattato con molta delicatezza ed originalità; commuove e suscita tenerezza e induce a pensare che, al meglio, si può arrivare a compiere la migliore delle opere nella solitudine, ma non si può veramente uscirne.
Un lavoro davvero fuori le righe per originalità, delicatezza e gusto estetico.
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