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francesco2
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lunedì 24 luglio 2017
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rielaborare nel cinema
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Una rielaborazione in due sensi, quello personale e quello linguistico, nel momento in cui il
cinema si impadronisce di un linguaggio ad esso complementare (mi riferisco alle marionette
inventate dal regista con echi, qualche volta, dell’ormai lontanissimo « Addio, mia concubina ».
Sembrerebbe, comunque, un film che riesce dove, a giudizio di chi scrive, aveva fallito un film
elogiato dai cinefili, ovvero « Valzer con Bashir ».
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myriamdoro
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lunedì 16 marzo 2015
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l'irriducibile presenza dell'immagine mancante
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Una pellicola mediale, mediata, ipermediata. Un’opera che mette in scena l’interdizione. Un’opera che racconta il genocidio cambogiano degli anni 70, in una prospettiva tanto intimistica, quanto storiografica. Scritto e diretto da Rithy Panh, regista cambogiano che trasla sullo schermo il dramma che ha squarciato la sua memoria, tentando di recuperare, tra le fratture, l’immagine mancante; ancora una volta l'essenza del cinema si presta all'assenza della storia.
Un documentario che con la retorica narrativa della fiction si articola su un tessuto intermediale, che interseca con maestria diversi piani della messinscena: al realismo delle immagini di repertorio, la pellicola sovrappone la riproduzione dei personaggi, rimodellati e riformati come le coscienze dei cambogiani, deturpate dall’omologante logica comunista di Pol Pot e dei Kmer rossi.
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Una pellicola mediale, mediata, ipermediata. Un’opera che mette in scena l’interdizione. Un’opera che racconta il genocidio cambogiano degli anni 70, in una prospettiva tanto intimistica, quanto storiografica. Scritto e diretto da Rithy Panh, regista cambogiano che trasla sullo schermo il dramma che ha squarciato la sua memoria, tentando di recuperare, tra le fratture, l’immagine mancante; ancora una volta l'essenza del cinema si presta all'assenza della storia.
Un documentario che con la retorica narrativa della fiction si articola su un tessuto intermediale, che interseca con maestria diversi piani della messinscena: al realismo delle immagini di repertorio, la pellicola sovrappone la riproduzione dei personaggi, rimodellati e riformati come le coscienze dei cambogiani, deturpate dall’omologante logica comunista di Pol Pot e dei Kmer rossi. Con le sue figure agite, eppure narrative, il regista reifica la spersonalizzazione di un popolo privato della propria identità.
Ibrida nella forma e nello stile, la pellicola sembra quasi eludere ogni pretesa di completezza rappresentativa: la diaspora lascia aperti dei vortici nella memoria, narrazioni senza trama, essenze interdette. The missing picture cerca di mettere in scena un’immagine irrappresentabile, un’immagine che si da nella sua assenza, un dramma soggettivo che è, secondo una logica ologrammatica, il dramma di un popolo intero. Un’autohistoria fittizia, finzionale, funzionale. Un dialogo al rimpallo tra ciò che è stato e ciò che è inscenato: ed è quando la voce narrante comincia a tacere davanti alla deflagrazione documentata che il rispetto vien fuori. Una finzione rispettosa e una realtà rispettata nella sua irrispettosa violazione di libertà umane.
La retorica soggettiva della sceneggiatura con le sue pause, i suoi silenzi, le sue interdizioni abbandona il film ad un ritmo lento, estenuante, penetrante, cercando di tracciare un’immagine indelebile nella memoria collettiva. È come se recuperare, ricostruire, rappresentare le immagini del dramma fosse una forma di riscatto per il ricordo. Un ricordo che continua a giacere sulla pienezza del vuoto lasciato dall’immagine mancante.
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filippo catani
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sabato 24 maggio 2014
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l'abominevole regime di pol pot
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Il film ripercorre i terribili anni dal 1975 al 1979 che videro la Cambogia sconvolta dall'atroce dittatura di Pol Pot e dei suoi Khmer rossi.
Il regista Panh è stato suo malgrado testimone di quanto accaduto in Cambogia. Non solo ha dovuto passare gran parte del tempo ai lavori forzati ma ha dovuto assistere alla morte di tutti i suoi familiari. Proprio da quì scaturisce l'esigenza di puntare i riflettori su quelle terribili annate e sulle atrocità della dittatura. Beni espropriati, solo un cucchiaio come bene personale, tanto lavoro e moltissima propaganda. C'era da attuare il super balzo in avanti e quindi non ci si doveva arrendere e bisognava coltivare anche i terreni aridi.
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Il film ripercorre i terribili anni dal 1975 al 1979 che videro la Cambogia sconvolta dall'atroce dittatura di Pol Pot e dei suoi Khmer rossi.
Il regista Panh è stato suo malgrado testimone di quanto accaduto in Cambogia. Non solo ha dovuto passare gran parte del tempo ai lavori forzati ma ha dovuto assistere alla morte di tutti i suoi familiari. Proprio da quì scaturisce l'esigenza di puntare i riflettori su quelle terribili annate e sulle atrocità della dittatura. Beni espropriati, solo un cucchiaio come bene personale, tanto lavoro e moltissima propaganda. C'era da attuare il super balzo in avanti e quindi non ci si doveva arrendere e bisognava coltivare anche i terreni aridi. Tutti ricevevano la medesima porzione di riso che veniva ulteriormente razionata in caso di carestie. venne dichiarata guerra agli intellettuali e alla cultura e quindi erano proibiti libri, cinema e addirittura gli occhiali. E poi assistiamo alla spersonalizzazione degli esseri umani con il terribile caso del bambino che denuncia la propria madre rea di essersi impossessata di nascosto di un mango. Come dice il film non c'è arma migliore della fame per tenere succubi le persone che sono così deboli e si ammalano facilmene. Chi si opponeva in qualsiasi modo veniva ucciso e nella tragica visione dei khmer rossi e dei loro capi si sarebbe giunti all'ideale di una rivoluzione senza persone. Un milione e mezzo di persone persero la vita. Il tutto mentre il mondo stava a guardare o peggio mentre alcuni settori della cultura vedevano con simpatia l'operato di Pol Pot per creare una società dove trionfavano libertà e uguaglianza. Bello anche l'espediente di alternare a filmati di repertorio delle statuette intagliate nel legno per ricostruire la vita di allora. Quello che più fa male è l'atroce confronto tra la vita prima e dopo la dittatura (struggente in questo senso il momento in cui viene mostrata la vita nel grande mercato alle porte della capitale e il deserto spettrale che regnava dopo). Giustamente insignito della nomination all'Oscar come miglior film straniero, il film ci fa indignare e soprattutto ci mostra il fatto che Pol Pot non ha mai subito un processo per quello di atroce che ha combinato e anzi in seguito è stata pure una pedina all'interno dello scacchiere del sudest asiatico.
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[+] un'opera straziante e ben realizzata
(di antonio montefalcone)
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