gianleo67
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martedì 25 luglio 2017
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la doppia impossibilità di un piazzista di farmaci
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Informatore farmaceutico giovane e spregiudicato, Bruno cerca di sopravvivere in un sistema dove corruzione e illegalità uniscono a doppio filo industria, professioni e mondo accademico in un inestricabile dedalo di interessi e connivenze.
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Informatore farmaceutico giovane e spregiudicato, Bruno cerca di sopravvivere in un sistema dove corruzione e illegalità uniscono a doppio filo industria, professioni e mondo accademico in un inestricabile dedalo di interessi e connivenze. Messo sotto pressione dalla sua azienda ed assillato dal desiderio di maternità della consorte, si propone per un salto di livello che rischia di compromettere definitivamente la sua carriera.
La risposta italiana ad Insider - Dietro la verità, è un dramma didascalico dal registro thriller e dalle atmosfere cupe che innesta la discesa agli inferi di un manovale dell'intrallazzo farmaceutico nell'impietoso spaccato di un sistema corruttivo in cui l'avidità e l'interesse personale rischiano di compromettere non solo la salute di pazienti incolpevoli ma anche la natura più intima delle relazioni umane. Forte di una tradizione cinematografica che ha sempre guardato con sconsolato disincanto alle degenerazioni di un costume nazionale declinato secondo le peculiari dinamiche del settore di interesse (da Impiegati per l'ambiente dei travet a Ultimo minuto per quello del calcio secondo Pupi Avati; da Il Portaborse per la politica corsara ad Apnea per l'industria venefica sotto l'egida di Nanni Moretti), Morabito ricapitola tutti i guasti di un sistema economico che combina ricatto occupazionale e ingordigia professionale, trust industriali e baronati accademici, prestigio sociale e compromesso familiare, calcando però troppo la mano sul versante di una ricostruzione romanzesca di calcolato squallore umano (pure il medico con l'assillo onanistico) o di improbabili sussulti etici (il dottorino incorruttibile) e finendo per cacciarsi nel cul de sac di un film a tesi che è distante dalla realtà quanto può esserlo una visione del tutto opposta.
Se il meccanismo della trappola per topi in cui è ingabbiato il protagonista si avvale di una buona scrittura che non manca però di concessioni alla retorica (un Savonarola con la faccia di Travaglio e qualche sceletro nell'armadietto) e di qualche passaggio a vuoto (l'amico cavia aiutato per la coscienza), la messa in scena si riscatta meglio nelle atmosfere livide di una capitale del malaffare inquadrata tra soggettive e camere a mano e nel crescendo di una tensione che si gioca sul doppio binario dell'escalation professionale e della tenzone familiare. Insomma il farmaco come metafora di un inquinamento della vita pubblica che finisce per avvelenare perfino i più intimi rapporti coniugali, regge bene nell'impronta personale di un regista che non sarà un maestro del brivido cispadano, ma che si tiene fortunatamente lontano dalla insostenibile leggerezza della fiction nostrana. Prefinale a sorpresa con depistaggio lessicale solo per chi non sa che la corruzione è un reato diverso da quello di estorsione. Ottime tutte le caratterizzazione; bravo Santamaria come commesso venditore che finisce per barattare l'anima con le sue ambizioni e bravissima Isabella Ferrari quale ex reginetta di bellezza che si è riciclata egregiamente come quadro intermedio con i tacchi a spillo e col coltello fra i denti.
Produzione Italo-Svizzera sostenuta da contributi e finanziamenti pubblici, è stato presentato al Festival internazionale del film di Roma 2013 e premiato in Italia e in... Albania.
"Due topi in una gabbia...dentro la gabbia c'è un pezzo di formaggio dove passa la corrente elettrica
...non possono ne' mangiare, ne' non mangiare. La doppia impossibilità.
Finisce che i topi impazziscono e cercano di mangiarsi l'uno con l'altro."
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emanuelemarchetto
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sabato 18 marzo 2017
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capitalismo e salute
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Bruno lavora come informatore farmaceutico per un'azienda di medicine, la Zafer. Ad alcuni clienti offre gadget e veri e propri regali, che vanno dai pranzi ai cellulari, fino a sponsorizzazioni per partecipare a congressi medici all'estero.
Pur di non perdere il posto di lavoro, Bruno, che per la pressione sta assumendo anche farmaci ansiolitici, chiede a Giovanna di affidargli un compito più impegnativo, uno "squalo", ovvero un grosso cliente che di solito tratta solo con le alte sfere della casa farmaceutica.
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Bruno lavora come informatore farmaceutico per un'azienda di medicine, la Zafer. Ad alcuni clienti offre gadget e veri e propri regali, che vanno dai pranzi ai cellulari, fino a sponsorizzazioni per partecipare a congressi medici all'estero.
Pur di non perdere il posto di lavoro, Bruno, che per la pressione sta assumendo anche farmaci ansiolitici, chiede a Giovanna di affidargli un compito più impegnativo, uno "squalo", ovvero un grosso cliente che di solito tratta solo con le alte sfere della casa farmaceutica.
Il film racconta bene l'ambiente del commercio, spietato e scorretto, che porta le persone ad agire con cinismo per sopravvivere in un ambiente competitivo. Ma l'analisi si fa ancora più allarmante in quanto si sta parlando di medicinali, dove le spietate regole del mercato non dovrebbero esistere. Il personaggio di Mastrandrea rappresenta perfettamente un uomo che ha sposato perfettamente questo cinismo, mettendo in secondo piano amore, amici e salute (prende infatti degli ansiolitici per tirare avanti).
La regia di Morabito si muove sinuosamente in un ambiente poco conosciuto e lo racconta senza fronzoli, sottolineando così la gravità di un problema perfettamente radicato e difficilmente risolvibile. Curioso il piccolo ruolo di Marco Travaglio, consigliato al regista da Isabella Ferrari, con cui il giornalista porta in giro i suoi spettacoli.
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rambaldomelandri
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lunedì 28 dicembre 2015
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La prima impressione dopo aver visto il film, scelto alla cieca durante le feste di Natale in uno degli ultimi videonoleggi rimasti, è stata la sorpresa per non averne saputo niente prima: sia per non aver letto alcuna recensione al tempo della sua uscita, sia soprattutto per la mancanza di un dibattito sugli argomenti trattati. Argomenti scabrosi e universali, raccontati attraverso il progressivo sfrangiarsi della vita di un uomo che va alla deriva nel suo lavoro e nel suo rapporto di coppia.
"Informatore medico-scientifico" è colui che, lavorando per una casa farmaceutica, è incaricato di far conoscere i prodotti al principale veicolo di promozione degli stessi: il medico di famiglia.
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La prima impressione dopo aver visto il film, scelto alla cieca durante le feste di Natale in uno degli ultimi videonoleggi rimasti, è stata la sorpresa per non averne saputo niente prima: sia per non aver letto alcuna recensione al tempo della sua uscita, sia soprattutto per la mancanza di un dibattito sugli argomenti trattati. Argomenti scabrosi e universali, raccontati attraverso il progressivo sfrangiarsi della vita di un uomo che va alla deriva nel suo lavoro e nel suo rapporto di coppia.
"Informatore medico-scientifico" è colui che, lavorando per una casa farmaceutica, è incaricato di far conoscere i prodotti al principale veicolo di promozione degli stessi: il medico di famiglia. Questo è il mestiere che il protagonista, Bruno, interpreta come un mezzo per emergere all'interno della Zafer -la sua azienda- a qualsiasi costo, coccolandosi quotidianamente i medici che conosce da tempo, consapevole del costo della dignità di ciascuno di essi: a qualcuno regala un tablet, ad altri propone un convegno a Phuket, ad altri ancora offre solamente una cena. Ma tutti si impegnano a "spingere" i suoi prodotti, e non importa che il principio attivo si trovi anche nei generici, o che esistano studi che documentano effetti collaterali pericolosi.
Il film si apre con la scena in cui la sua capoarea spiega a tutti i venditori che il ritorno per l'azienda deve essere di 11 a 1: un regalo del valore di 2.000 euro fatto a un medico deve generare da parte di questi prescrizioni per un controvalore almeno di 22.000 euro. Chi rimane sotto questa soglia viene espulso dall'azienda, come accade a un collega di Bruno, che si uccide nel parcheggio. Non un grido da parte dei colleghi che accorrono dopo lo sparo; né un cenno nelle giornate successive, fatte di continue pressioni da parte dell'azienda e visite a vari medici che accettano come assodata e ineludibile la scelta di prescrivere farmaci non necessari pur di incassare gli incentivi della Zafer. Soltanto un giovane medico, che ha ereditato 1.500 pazienti e per questo costituisce una preda altamente appetibile, resiste alle sue lusinghe, arrivando a denunciarlo per comparaggio quando il protagonista supera la soglia dell'ammiccamento per provare apertamente a corromperlo. Mentre Bruno affonda nelle sabbie mobili di scelte professionali arbitrarie, deve affrontare anche il desiderio di maternità della moglie, sempre più potente con lo scorrere delle lancette dell'orologio biologico, e non troverà altra soluzione che somministrarle di nascosto pillole anticoncezionali che le provocheranno un collasso e faranno emergere quanto accaduto.
Non è semplice scrivere di un film di denuncia come questo, inserito in uno dei filoni storicamente più prolifici del cinema italiano, per la difficoltà di scindere il significante (il piano dell'espressione) dal significato (il piano del contenuto). Denuncia meritoria, che recensioni piccate ritengono tardiva (il comparaggio da qualche anno è diventato reato), o peggio falsa. In realtà la capacità del regista, al di là della magistrale direzione degli attori (Claudio Santamaria ed Evita Ciri su tutti) e di qualche schemtismo narrativo forse eccessivo, è proprio quella di rappresentare un mondo chiuso, autoreferenziale, in cui lo scivolamento verso la deriva etica lavorativa si sovrappone alla scelta di negare alla moglie la maternità nel modo più scorretto. Non sono i simboli del successo a testimoniare la perdita della propria dignità, quanto le azioni di ogni giorno, che da dilemmi morali si trasformano lentamente in scelte ordinarie.
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rambaldomelandri
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domenica 27 dicembre 2015
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La prima impressione dopo aver visto il film, scelto alla cieca durante le feste di Natale in uno degli ultimi videonoleggi rimasti, è stata la sorpresa per non averne saputo niente prima. Per non aver letto alcuna recensione al tempo della sua uscita, ma soprattutto per la mancanza di un dibattito sugli argomenti trattati.
Argomenti scabrosi e universali, raccontati attraverso il progressivo sfrangiarsi della vita di un uomo che va alla deriva nel suo lavoro e nel suo rapporto di coppia. "Informatore medico-scientifico" è colui che, lavorando per una casa farmaceutica, è incaricato di far conoscere i relativi prodotti al principale veicolo di promozione degli stessi: il medico di medicina generale.
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La prima impressione dopo aver visto il film, scelto alla cieca durante le feste di Natale in uno degli ultimi videonoleggi rimasti, è stata la sorpresa per non averne saputo niente prima. Per non aver letto alcuna recensione al tempo della sua uscita, ma soprattutto per la mancanza di un dibattito sugli argomenti trattati.
Argomenti scabrosi e universali, raccontati attraverso il progressivo sfrangiarsi della vita di un uomo che va alla deriva nel suo lavoro e nel suo rapporto di coppia. "Informatore medico-scientifico" è colui che, lavorando per una casa farmaceutica, è incaricato di far conoscere i relativi prodotti al principale veicolo di promozione degli stessi: il medico di medicina generale. Questo è il mestiere che il protagonista, Bruno, interpreta come un mezzo per emergere all'interno della Zafer -la sua azienda- a qualsiasi costo, coccolandosi i medici con cui è in contatto da tempo, consapevole della tariffa di ognuno. A chi regala un tablet, a chi un convegno a Phuket, a chi semplicemente offre una cena. Ma tutti si impegnano a "spingere" i suoi prodotti, e non importa che il principio attivo si trovi anche nei generici, o che esistano studi che documentano effetti collaterali pericolosi.
Il film si apre con la sua capoarea che spiega a tutti i venditori che il ritorno per l'azienda deve essere di 11 a 1. Un regalo del valore di 2.000 euro fatto a un medico deve generare da parte di questi prescrizioni per un controvalore almeno di 22.000 euro. Chi rimane sotto questa soglia viene espulso dall'azienda, come accade a un collega di Bruno, che si uccide nel parcheggio. Non un grido da parte dei colleghi che accorrono dopo lo sparo; né un cenno nelle giornate successive, fatte di continue pressioni da parte dell'azienda e visite a vari medici che accettano come assodata e ineludibile la scelta di prescrivere farmaci non necessari pur di incassare gli incentivi della Zafer. Soltanto un giovane medico, che ha ereditato 1.500 pazienti e per questo costituisce una preda altamente appetibile, resiste alle sue lusinghe, arrivando a denunciarlo per comparaggio quando Bruno supera la soglia dell'ammiccamento e del non detto per provare apertamente a corromperlo. Mentre Bruno affonda nelle sabbie mobili di scelte professionali arbitrarie, deve affrontare anche il desiderio di maternità della moglie, sempre più potente con lo scorrere delle lancette dell'orologio biologico, e non troverà altra soluzione che somministrarle di nascosto pillole anticoncezionali che le provocheranno un collasso, facendo emergere così il suo tradimento.
Non è semplice scrivere di un film di denuncia come questo, inserito in uno dei filoni storicamente più prolifici del cinema italiano, per la difficoltà di scindere il significante (il piano dell'espressione) dal significato (il piano del contenuto). Denuncia meritoria, che recensioni piccate ritengono tardiva (il comparaggio da qualche anno è diventato reato), o peggio falsa. In realtà la capacità del regista, al di là della magistrale direzione degli attori (Claudio Santamaria ed Evita Ciri su tutti), è proprio quella di rappresentare un mondo imperfetto in cui lo scivolamento verso la deriva etica lavorativa si sovrappone alla scelta di negare alla moglie una possibile maternità nel modo più scorretto. Non sono i simboli del successo a testimoniare la perdita della propria dignità, quanto le azioni di ogni giorno, che da dilemmi morali si trasformano lentamente in scelte ordinarie.
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filippo catani
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lunedì 29 dicembre 2014
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uno spaccato duro da digerire
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Un informatore farmaceutico cerca di fare di tutto per non essere licenziato e per farlo ricorre ad ogni stratagemma fin quando tutti i nodi verranno al pettine.
La pellicola getta una luce oscura sul mondo della medicina italiano e soprattutto sulle tante troppe connivenze che ci sono tra medici e aziende farmaceutiche. In cambio di prescrizioni gonfiate ecco arrivare regali di ogni tipo dal computer portatile fino a convegni che in realtà non esistono e si trasformano in occasione di vacanza e non solo. Il protagonista della vicenda è disposto a tutto pur di mantenere il posto e lo status sociale raggiunto e per questo è disposto a sacrificare tutto e tutti. Bene il cast con la Ferrari gelida e cinica con i suoi sottoposti quanto fragile davanti ai capi d'azienda a causa del suicidio di un collega.
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Un informatore farmaceutico cerca di fare di tutto per non essere licenziato e per farlo ricorre ad ogni stratagemma fin quando tutti i nodi verranno al pettine.
La pellicola getta una luce oscura sul mondo della medicina italiano e soprattutto sulle tante troppe connivenze che ci sono tra medici e aziende farmaceutiche. In cambio di prescrizioni gonfiate ecco arrivare regali di ogni tipo dal computer portatile fino a convegni che in realtà non esistono e si trasformano in occasione di vacanza e non solo. Il protagonista della vicenda è disposto a tutto pur di mantenere il posto e lo status sociale raggiunto e per questo è disposto a sacrificare tutto e tutti. Bene il cast con la Ferrari gelida e cinica con i suoi sottoposti quanto fragile davanti ai capi d'azienda a causa del suicidio di un collega. Se la cava bene Santamaria così come un inedito Travaglio. Ecco forse l'unico appunto che si potrebbe fare è forse nell'esagerazione della vicenda che può essere inserita all'interno di una voluta iperbole ma che toglie un po' di realismo alla sceneggiatura.
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omero sala
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lunedì 10 novembre 2014
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la pillola
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Facendo le debite proporzioni (o, per dirla più dottamente, si parva licet componere magnis), il regista Antonio Morabito con questo film si inserisce (dignitosamente se non degnamente) nel filone del cinema di denuncia (detto anche “impegnato”) che in Italia ha una lunghissima tradizione e nobili ascendenti (basti ricordare alcuni giganti del cinema degli anni Sessanta, eredi del neorealismo, che rispondono ai nomi di Francesco Rosi, Elio Petri, Damiani, Vancini, i fratelli Taviani, Ferreri, Pasolini, Bellocchio, Lizzani, Bertolucci, Loi; ai quali si aggiungono, in anni più recenti, Amelio, Francesca Comencini, Moretti, i figli d’arte Marco Risi e Ricky Tognazzi, Garrone, Giordana, Lucchetti, Sorrentino).
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Facendo le debite proporzioni (o, per dirla più dottamente, si parva licet componere magnis), il regista Antonio Morabito con questo film si inserisce (dignitosamente se non degnamente) nel filone del cinema di denuncia (detto anche “impegnato”) che in Italia ha una lunghissima tradizione e nobili ascendenti (basti ricordare alcuni giganti del cinema degli anni Sessanta, eredi del neorealismo, che rispondono ai nomi di Francesco Rosi, Elio Petri, Damiani, Vancini, i fratelli Taviani, Ferreri, Pasolini, Bellocchio, Lizzani, Bertolucci, Loi; ai quali si aggiungono, in anni più recenti, Amelio, Francesca Comencini, Moretti, i figli d’arte Marco Risi e Ricky Tognazzi, Garrone, Giordana, Lucchetti, Sorrentino).
La storia è quella del conflitto tutto interiore - fra etica e carriera - che dilania Bruno, un informatore medico (interpretato da un convincente Claudio Santamaria).
La necessità di mantenere il sempre precario posto di lavoro costringe il povero piazzista a soffocare scrupoli e rigurgiti di coscienza e adeguarsi alla strategia di marketing della sua aggressiva casa farmaceutica che per imporsi sul mercato pressa i suoi galoppini e li incoraggia a corrompere medici e ricattare primari (icastica la figura della feroce capoarea interpretata da una ripugnante Isabella Ferrari).
Il regista dimostra grande equilibrio nel bilanciare le caratteristiche documentaristiche (da inchiesta televisiva) e le suggestioni narrative e drammatiche (da fiction cinematografica) della vicenda.
Ed è abilissimo nel suscitare l’empatia nei confronti del protagonista.
Il povero spettatore da una parte si indigna nel vedere il livello di cinismo raggiunto dai venditori di medicine (farmacodipendente), dall’altra partecipa alle angosce di questo pover’uomo pressato da un sistema ormai immodificabile. Il contrasto non è fra il senso civico e il degrado morale (fra i quali la scelta sarebbe facile e scontata), ma fra la rabbia e pena: rabbia per la condizione in cui siamo ridotti e pena per chi è nello stesso tempo meccanismo e vittima di questo ingranaggio infernale.
Per questa ragione la visione di questo film ci lascia allibiti e oppressi dal senso d’impotenza.
Veniamo a conoscere i livelli inimmaginabili di corruzione in un settore che riguarda direttamente la nostra sopravvivenza e ci viene fatto capire che la cruda realtà non potrà essere minimamente scalfita da nessuna consapevolezza, da nessuna denuncia. A meno che non arrivi una Gabanelli a fare nomi e garantire effetti miracolosi.
È curioso notare, a margine, alcuni contorsionismi paradossali: in un film che tratta di medicinali, il protagonista è farmacodipendente, procura clandestinamente farmaci non omologati per salvare la vita di un amico (cavia umana per un’azienda farmaceutica) e mette in grave pericolo la moglie somministrandole furtivamente dosi massicce di anticoncezionali.
Per dimostrare infine che il cinismo fa scuola e non ha confini, è necessario aggiungere che l’atroce film è ben fatto ma è anche furbo: esce infatti al momento giusto e coglie con grande tempestività il clima di disfattismo grillesco e di antipolitica leghista che attraversa i nostri giorni. A voler essere maligni, si può rivoltare sui produttori la stessa accusa che gli autori rivolgono ai venditori di medicine.
Se la pillola di populismo è ben confezionata (con un poco di zucchero …), il popolo – paziente – la manderà giù, e lo speziale sarà ripagato.
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angelo bottiroli - giornalista
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sabato 26 luglio 2014
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assolutamente da vedere per il tema trattato
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Opera prima del regista Antonio Morabito autore, finora, solo del film documentario “Anarchici a Carrara” del 2007, questo “Venditore di medicine” è sicuramente un ottimo film perché tratta un tema scottante come quello dell’abuso delle prescrizioni da parte di alcuni medici di base e pone l’accento su uno spaccato della società attuale ed in particolare sul business dei medicinali e del loro mondo.
Forse il film non sarà piaciuto ad alcuni medici o ai rappresentati di medicine che non ne escono affatto bene, ma il film indubbiamente mischia in maniera sapiente la crisi attuale , la necessità di avere un lavoro, il giro di affari che ruota attorno alle case farmaceutiche e i medici compiacenti.
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Opera prima del regista Antonio Morabito autore, finora, solo del film documentario “Anarchici a Carrara” del 2007, questo “Venditore di medicine” è sicuramente un ottimo film perché tratta un tema scottante come quello dell’abuso delle prescrizioni da parte di alcuni medici di base e pone l’accento su uno spaccato della società attuale ed in particolare sul business dei medicinali e del loro mondo.
Forse il film non sarà piaciuto ad alcuni medici o ai rappresentati di medicine che non ne escono affatto bene, ma il film indubbiamente mischia in maniera sapiente la crisi attuale , la necessità di avere un lavoro, il giro di affari che ruota attorno alle case farmaceutiche e i medici compiacenti.
Strepitosa l’interpretazione dell’attore principale, il 40enne romano Claudio Santamaria (Diaz, i primi della lista, gli sfiorati e tantissimi altri) che dimostra come gli attori italiani sappiano recitare e forse meglio di tanti mostri sacri di Hollywood.
La sua interpretazione è impeccabile e fatta soprattutto di mimica e di espressioni più che di parole.
Sempre serio e preoccupato riesce a rendere benissimo le ansie e le preoccupazioni di un qualsiasi lavoratore dipendente alle prese con una crisi strisciante che mette a rischio il proprio lavoro ed obbliga spesso le persone ad essere senza scrupoli.
Tra le parti di secondo piano meritano di essere segnalate l’interpretazione di Isabella Ferrari, implacabile capo del venditore di medicine e in un piccola parte ma significativa, il giornalista Marco Travaglio, semplicemente perfetto nel grande professore.
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minnie
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martedì 3 giugno 2014
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malasanità
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E poi dicono che il cinema italiano non sa fare attualità. Questo film a me è molto piaciuto! Somiglia a un altro film di una bravissima regista in cui Claudia Gerini faceva la tagliatrice di teste in un'azienda; stesso clima di uomo mangia uomo, come i topolini dell'esempio del collega di Bruno, stessa disperazione anche se il finale lì era più speranzoso mentre qui, se Bruno non cambia mestiere - ma pare di capire che non possa - c'è veramente da star male con lui. Morabito ha centrato l'obiettivo mostrando il mondo dei rappresentanti di medicinali anello intermedio di una catena che porta alle case farmaceutiche e arriva fino ai poveri malati terminali come l'amico che forse avrebbe avuto subito sollievo da un medicinale artatamente tenuto a prezzi proibitivi e che Bruno, nell'unica buona azione che fa, gli procura.
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E poi dicono che il cinema italiano non sa fare attualità. Questo film a me è molto piaciuto! Somiglia a un altro film di una bravissima regista in cui Claudia Gerini faceva la tagliatrice di teste in un'azienda; stesso clima di uomo mangia uomo, come i topolini dell'esempio del collega di Bruno, stessa disperazione anche se il finale lì era più speranzoso mentre qui, se Bruno non cambia mestiere - ma pare di capire che non possa - c'è veramente da star male con lui. Morabito ha centrato l'obiettivo mostrando il mondo dei rappresentanti di medicinali anello intermedio di una catena che porta alle case farmaceutiche e arriva fino ai poveri malati terminali come l'amico che forse avrebbe avuto subito sollievo da un medicinale artatamente tenuto a prezzi proibitivi e che Bruno, nell'unica buona azione che fa, gli procura. Non si capisce invece, se non considerando lo stato di stress in cui Bruno (interpretato da un ottimo Santamaria) versa, la sua crudeltà nei confronti della moglie, un bel personaggio di donna (intenso il volto di questa attrice!) a cui apparentemente non manca nulla se non un figlio e l'agio e la disponibilità ormai di tempo per farlo insieme a colui che ritiene uno sposo consenziente. Giusto che la donna gli volti le spalle di fronte a un tale brutto tradimento, tradimento della speranza stessa nella continuità della vita, della sigla di un vero amore qual è la maternità e anche la paternità che Bruno, da squalo qual è, si nega e le nega. Bravissimo (ma non è una sorpresa) Marco Travaglio nel ruolo del professore integerrimo almeno fino a quando non si scoprono i traffici delle sue cliniche private. Qualche preparazione preventiva è necessaria, per esempio nel sapere come sia proibito indagare sul numero di pazienti di un medico dell'Asl,dettaglio da addetti ai lavori, qualche carenza nell'audio (i dialoghi spesso non si sentono) ma nel complesso il film di Antonio Morabito funziona davvero alla grande, sottolineato dall'ottima musica di Andrea Guerra. E anche Bari, la mia città, fa da sfondo perfetto a una vicenda metropolitana che non dà adito a prospettive di salvezza. Ma qualche medico che non si arrende a un sistema corrotto c'è e lotta insieme a noi!
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melania
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sabato 17 maggio 2014
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interessante
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Il film è molto ben fatto e,anche se estremizzato,è realistico.Ha un ritmo pregnante ed intenso,l'ho seguito con molto interesse.Bravissimi Claudio Santamaria e Isabella Ferrari.Consigliabile!
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luke77
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sabato 17 maggio 2014
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un film avvincente che fa pensare
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Una vita come tante altre: un lavoro, un auto, una bella casa...una realtá quasi banale. Ma in tutto questo, emerge pian piano tutta la mostruositá nascosta che anche una vita "normale" puó celare. Il personaggio principale del "Venditore di medicine" viene risucchiato in un vortice, in parte perché non del tutto conscio dei meccanismi perversi della societá di oggi che schiacciano e "costringono", ed in parte perché in quei rari momenti di luciditá consapevole, si rende conto di essere caduto in una trappola psicologica da cui non riesce ad uscire perché privo della necessaria energia morale.
Forse é il risultato di un certo tipo di capitalismo malato e portato agli eccessi, che impera nella societá odierna e da cui nessuno di noi, in varia misura, ne é completamente esente.
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Una vita come tante altre: un lavoro, un auto, una bella casa...una realtá quasi banale. Ma in tutto questo, emerge pian piano tutta la mostruositá nascosta che anche una vita "normale" puó celare. Il personaggio principale del "Venditore di medicine" viene risucchiato in un vortice, in parte perché non del tutto conscio dei meccanismi perversi della societá di oggi che schiacciano e "costringono", ed in parte perché in quei rari momenti di luciditá consapevole, si rende conto di essere caduto in una trappola psicologica da cui non riesce ad uscire perché privo della necessaria energia morale.
Forse é il risultato di un certo tipo di capitalismo malato e portato agli eccessi, che impera nella societá odierna e da cui nessuno di noi, in varia misura, ne é completamente esente. Difatti, la costante minaccia di un lavoro precario la cui perdita potrebbe cambiare radicalmente il suo tenore di vita, una vita spesso legata a valori assolutamente falsi e privi di importanza, spinge il "venditore" alla competizione sfrenata, ad accettare compromessi con la sua coscienza che sembrano provarlo anche fisicamente. Il suo viso si trasforma sempre piú in una maschera grottesca di dolore, di angoscia, di rassegnazione. Le sue spalle sembrano "curvarsi" sotto il peso di una vita crudele che non lascia scampo. Pensa di non avere alternativa e sceglie, ogni giorno, quello che secondo lui é il male minore.
Solo alcuni brevi sprazzi di luce in un mondo grigio e metallico, come quando per pietá aiuta l'amico morente, lo contraddistinguono come umano. Per tutto il resto é un automa, senza sentimenti apparenti.
Il successo nella competizione diventa quasi giustificazione dell'essere spietato, cinico. E' un balsamo che porta solo temporaneo sollievo. Ma in realtá é autodistruzione. Sporca irrimediabilemte l'anima.
Il film assorbe completamente e non ha tempi morti. Lo si guarda tutto d'un fiato. Senza respirare. E soprattutto lascia qualcosa: un amaro in bocca, un leggero malessere che stringe il cuore. Succede ogni volta che si é costretti dalla propria coscienza a rimuginare su qualcosa di spiacevole che non si vuole affrontare.
E nello specifico, che anche vita e morte di un essere umano, sono solo merce, prodotto. Risultato di una deviazione sociale "normalizzata" e banalizzata.
Il finale é intelligente ed esprime tutta la contraddittorietá di un Santamaria credibile e sofferente. Ma anche gli altri attori sono all'altezza. Forse Travaglio lo é stato un pó meno, ma credo sia giustificabile non essendo un attore professionista.
Mi sarei inoltre aspettato, non so perché, un piccolo cameo a "Il Medico della Mutua" dell'Albertone nazionale. Giusto cosí, per un fugace sorriso dolce-amaro.
E' un film duro, senza fronzoli. Pietra e acciaio. Fa male e disillude.
Ma merita.
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