angelo umana
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sabato 6 luglio 2013
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amori persecutori
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Un film Orso d’Oro a Berlino è già garanzia di qualità. Una scelta indovinatissima nel Caso Kerenes è quella dell’attrice protagonista, Cornelia, madre del 34enne Barbu. Un viso che sembra esprimere somaticamente la smania di una madre che – sicuramente per il bene del figlio, a suo dire – vorrebbe avere diritto di organizzazione della vita di costui. Un viso irrigidito nelle espressioni che, si direbbe, esprimono il modo di pensare, recluso nella concezione del ruolo di madre e di signora in vista della media borghesia rumena. Appropriato è anche il viso del figlio, confuso e disperato per aver ucciso con la sua auto un ragazzo 14enne che gli attraversava la strada e, allo stesso tempo, oppresso da una madre invadente, che tende ad essere onnipresente nelle decisioni del figlio.
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Un film Orso d’Oro a Berlino è già garanzia di qualità. Una scelta indovinatissima nel Caso Kerenes è quella dell’attrice protagonista, Cornelia, madre del 34enne Barbu. Un viso che sembra esprimere somaticamente la smania di una madre che – sicuramente per il bene del figlio, a suo dire – vorrebbe avere diritto di organizzazione della vita di costui. Un viso irrigidito nelle espressioni che, si direbbe, esprimono il modo di pensare, recluso nella concezione del ruolo di madre e di signora in vista della media borghesia rumena. Appropriato è anche il viso del figlio, confuso e disperato per aver ucciso con la sua auto un ragazzo 14enne che gli attraversava la strada e, allo stesso tempo, oppresso da una madre invadente, che tende ad essere onnipresente nelle decisioni del figlio.
E’ un film sull’ansia di molti genitori di “facilitare” le vite dei figli, opprimendoli infine, naturalmente per “il loro bene”, per troppo amore espresso in modo quasi persecutorio, per egoismo in fondo. Cornelia vorrebbe che tutto andasse come da lei concepito, anche nei confronti del marito e della compagna di suo figlio, un egoismo spacciato per interessamento al bene altrui. Chi esercita questa oppressione ne è anche vittima, il viso – appunto - lo dice. Il corpo troppo “legato” di C. balla al suono di “Meravigliosa creatura” della Nannini (altro tributo alla ns. cantante, ben conosciuta in Romania, è sui titoli di coda), canta e tutto pare esprimere un desiderio di liberarsi dai suoi “must”. In questa organizzazione mentale coercizzata è normale per lei immaginare di risolvere la responsabilità penale del figlio con l’aiuto e il favoritismo di amici influenti, e coi soldi. Darebbe soldi pure alla famiglia del ragazzo ucciso “per non sentirmi rimorsi di coscienza”: ogni atto è rapportato al sé.
Questa madre subisce gli insulti del figlio e il rifiuto di essere aiutato, eppure lei – ad inizio film – lo voleva accanto per il suo compleanno, ma di solito si vogliono accanto i figli per il ns. egoismo (“Ormai non sono più tanto giovane e mentre sono al mondo lo vorrei accanto”). Le risulta inammissibile e destabilizzante che Barbu le ponga la condizione, atto liberatorio per lui, di accettare di sentirlo solo quando vorrà chiamarla. Lei è la madre che chiede “In cosa dovrei cambiare?” e dice la frase rivelatrice dell’amore oppressivo di molti papà e mamme: “I genitori si realizzano attraverso i propri figli, tutto quello che non hanno ottenuto dalla vita lo pretendono per loro”. Non teneva presente, la poveretta, alcune frasi della poesia di Gilbran:
“E i figli sono le risposte che la vita dona ad ognuno di noi
Sono sangue e carne della vostra carne
ma non il vostro sangue e la vostra carne
Loro sono i figli e le figlie della fame che la vita ha di se stessa.
E benché vivano con voi, non vi appartengono
Affidategli tutto il vostro amore ma non i vostri pensieri
Essi hanno i loro pensieri
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime:
Esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi
Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono stati scoccati in avanti”.
Il viso di Cornelia si scioglie, nel pianto e nei tratti, quando parla alla madre del ragazzo investito, ma le parla di suo figlio, che da bambino era “affettuoso, educato, delicato” e sembrano soprattutto parole di rimpianto. Parrebbe siano due le madri che hanno perso il loro figlio: una per l’incidente (dovuto ad una stupida e provocatoria gara tra automobilisti, dotati di Audi e Mercedes), l’altra perché non può più averlo accanto. Questo momento finale – il più bello del film – costituisce l’unico avvicinamento tra Cornelia e Barbu, lui ha accettato di recarsi con lei alla casa dei genitori del ragazzo, ma sono soli, ognuno col suo pianto.
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flyanto
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martedì 25 giugno 2013
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quando una madre è ingerente in tutto e per tutto
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Film in cui si racconta di una madre molto possessiva e prevaricatrice che, a seguito del fatto che il figlio ha investito ed ucciso con la macchina un ragazzo di 14 anni, si adopera in tutti i modi per salvarlo dal carcere pressoché sicuro. Il suo operare sicuro e determinato, che però determina profondi dissapori con il figlio stesso (alquanto succube e debole nel carattere) e con la sua convivente, sicuramente più sicura e volitiva, la porterà a riuscire appieno nel suo intento, non senza qualche sacrificio e lacrima, ma talvolta necessari al buon esito delle varie transazioni. Dall'intera vicenda rappresentata in questa pellicola, emerge in maniera preponderante tutta la tematica concernente l'importanza del potere, sia affettivo che, più estesamente, economico, e quanto lo sviluppo e la riuscita ingenerale delle situazioni dipenda da questo.
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Film in cui si racconta di una madre molto possessiva e prevaricatrice che, a seguito del fatto che il figlio ha investito ed ucciso con la macchina un ragazzo di 14 anni, si adopera in tutti i modi per salvarlo dal carcere pressoché sicuro. Il suo operare sicuro e determinato, che però determina profondi dissapori con il figlio stesso (alquanto succube e debole nel carattere) e con la sua convivente, sicuramente più sicura e volitiva, la porterà a riuscire appieno nel suo intento, non senza qualche sacrificio e lacrima, ma talvolta necessari al buon esito delle varie transazioni. Dall'intera vicenda rappresentata in questa pellicola, emerge in maniera preponderante tutta la tematica concernente l'importanza del potere, sia affettivo che, più estesamente, economico, e quanto lo sviluppo e la riuscita ingenerale delle situazioni dipenda da questo. La madre protagonista del film, così appunto autoritaria, scaltra e fortemente influente in senso materiale e non, diventa il simbolo di come una nazione, la Romania in questo caso, sia così "malleabile" e disposta a farsi sedurre e corrompere dalle lusinghe e dagli allettamenti economici da parte di una piccola "elite" di una classe sociale elevata. Il film risulta assai crudo ed amaro proprio per questo aspetto ma, purtroppo, quanto mai realistico. Lo stile con cui è girato nonchè i dialoghi sono asciutti, lucidi e quanto mai precisi e tutti i personaggi, tra i quali spicca in maniera sublime Luminita Gheorghiu nella parte dell' algida e volitiva madre, sono perfettamente rispondenti ai ruoli loro assegnati. Non ci sono sbavature od eccessi e nell'intera durata del film di poco più di 100 minuti è condensata impeccabilmente l' intera vicenda e la sua tematica. Un vero gioiello.
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jean remi
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venerdì 8 novembre 2013
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una storia immersa in una società corrotta.
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Il film racconta con semplicità una storia così reale, così di tutti i giorni, così persino banale, che mi ha dato la sensazione di viverla in prima persona, mi sentivo totalmente immerso negli accadimenti.
Cornelia (Luminita Gheorghiu), vera interprete principale e mattatore del film, si impone su tutti, dal marito, alla cognata, alla compagna del figlio, persino sulla domestica; ma è soprattutto sul figlio, oramai trentaquatrenne, che esercita un predominio assoluto, lo priva di vita autonoma tanto che, come scappatoia a questa soffocante presenza, esso risponde con la fuga da ogni responsabilità rifugiandosi nel qualunquismo.
Quando Barbu, appunto il figlio, incappa, non del tutto incolpevole, in un incidente stradale in cui uccide un ragazzino, sarà Cornelia a prendere in mano radicalmente la situazione creando prove a discolpa del figlio per salvarlo dalla galera.
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Il film racconta con semplicità una storia così reale, così di tutti i giorni, così persino banale, che mi ha dato la sensazione di viverla in prima persona, mi sentivo totalmente immerso negli accadimenti.
Cornelia (Luminita Gheorghiu), vera interprete principale e mattatore del film, si impone su tutti, dal marito, alla cognata, alla compagna del figlio, persino sulla domestica; ma è soprattutto sul figlio, oramai trentaquatrenne, che esercita un predominio assoluto, lo priva di vita autonoma tanto che, come scappatoia a questa soffocante presenza, esso risponde con la fuga da ogni responsabilità rifugiandosi nel qualunquismo.
Quando Barbu, appunto il figlio, incappa, non del tutto incolpevole, in un incidente stradale in cui uccide un ragazzino, sarà Cornelia a prendere in mano radicalmente la situazione creando prove a discolpa del figlio per salvarlo dalla galera.
Quello che più mi ha interessato sono le due interpretazioni rispetto al finale del film, il colloquio fuori campo (quindi non udibile) tra il padre del bambino ucciso e Barbu, con la pseudo stretta di mano:
1. è segno di riscatto da parte di Barbu stesso, che probabilmente confessa che correva troppo e che non si è sufficientemente prodigato nei soccorsi
2. è la resa del contadino, che cede alla logica del “dio danaro” avuto e promesso, anche per il futuro, da Cornelia.
Questo lasciare allo spettatore decidere, a fine film, sui destini del bene o del male è a mio avviso fare del buon cinema (Orso d’Oro a Berlino) che in questo caso ha anche dei risvolti sociali poiché tutta questa storia si inserisce nel contesto della società romena, permeata di corruzione, di bustarelle, di scambi di favori, di disposizione a piegarsi a “chi più economicamente può”.
Questo ci impone una riflessione: può essere che la massiccia presenza di romeni nel nostro Paese (1° tra gli immigrati con circa 1 milione di presenze) sia favorita dal fatto che qui trovano terreno fertile che riproduce in qualche modo il modello corruttivo, antilegale del predominio dei poteri forti di cui ci parla il regista relativamente alla realtà della Romania?
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theophilus
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giovedì 28 novembre 2013
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tutto il mondo è paese
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POZIŢIA COPILULUI
Il caso Kerenes, nelle sale italiane, è un drammatico lungometraggio diretto da Calin Netzer e ambientato nella Romania dei nostri giorni. I temi trattati ne fanno, però, un modello applicabile al di fuori di confini geografici e temporali.
Una madre ossessiva (e sinceramente convinta di non esserlo) si adopera con ogni mezzo a sua disposizione per salvare il figlio. La cinepresa è per buona parte della durata del film incollata sugli occhi della protagonista, Luminita Gheorghiu, sulle cui spalle gravano pertanto i maggiori oneri, le responsabilità principali e il compito d’illustrare una vicenda in cui si respira tutta la pesantezza di una classica tragedia greca.
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POZIŢIA COPILULUI
Il caso Kerenes, nelle sale italiane, è un drammatico lungometraggio diretto da Calin Netzer e ambientato nella Romania dei nostri giorni. I temi trattati ne fanno, però, un modello applicabile al di fuori di confini geografici e temporali.
Una madre ossessiva (e sinceramente convinta di non esserlo) si adopera con ogni mezzo a sua disposizione per salvare il figlio. La cinepresa è per buona parte della durata del film incollata sugli occhi della protagonista, Luminita Gheorghiu, sulle cui spalle gravano pertanto i maggiori oneri, le responsabilità principali e il compito d’illustrare una vicenda in cui si respira tutta la pesantezza di una classica tragedia greca. Il regista, dunque, spia come lei vede il mondo. Quegli occhi non tradiscono mai incertezze, ma testimoniano il compito naturale di portare a termine un mandato, il fine per cui lei (come ogni madre) sta al mondo: salvare il proprio figlio.
Netzer riesce molto bene a trattare l’argomento in maniera oggettiva, dipingendolo come un destino ineluttabile. Il maschio è produttore di sperma per continuare le generazioni, la femmina è fattrice e protettrice della specie. Nel film, il risultato è un figlio castrato, un figlio che ha paura di generare ed è ossessionato dalla preservazione di sé, germe inoculatogli dalla madre. Qui è la tragedia, in questo contrappasso non riconosciuto che disgrega dalle fondamenta il nucleo stesso della vita.
Barbu, figlio trentaquattrenne di Cornelia – “donna di 30 anni che ne dimostra 60” – ha investito ed ucciso con la sua auto un ragazzo di quindici. L’incidente automobilistico viene rimosso, caparbiamente cancellato, ridotto a incidente di percorso di un’esistenza matrigna contro cui la donna combatte la sua crociata.
Il mezzo della corruzione è un’arma la cui legittimità non viene mai messa in discussione, serva ovvia di un bene supremo da salvaguardare in ogni caso. Solo alla fine della storia, la donna riuscirà a capire la protesta del figlio, quando lo libera dall’abitacolo dell’auto in cui l’aveva bloccato, impedendogli, di fatto, la possibilità di una crescita, l’assunzione della propria responsabilità, la liberazione di sé. Barbu esce dalla macchina e compuntamente riesce a confessarsi col padre della vittima.
Sembra ovvia retorica e un po’ dispiace scriverlo. Il ‘quadro’ potrebbe essere tranquillamente nostrano e riteniamo probabile che il regista abbia inteso sottolinearlo. Nella colonna sonora si ascoltano, infatti, due canzoni italiane dal titolo inequivocabile, ‘Senza giacca e cravatta’ di Nino D’Angelo e ‘Meravigliosa creatura’ di Gianna Nannini, come pure si assiste ad una prova pubblica di una rappresentazione operistica cantata nella nostra lingua. Il nome della donna, poi, rimanda inequivocabilmente alla matrona romana madre dei Gracchi, “i suoi gioielli”.
Se i ‘colpevoli’ appartengono alla classe borghese, non si può, però, nemmeno dire che la povera gente sia salvata dal regista. La lunga, dolorosa scena finale, in cui Cornelia parte con l’idea di circuire la famiglia della vittima e in cui forse ha inizio la sua redenzione, termina con l’esibizione dell’unico oggetto che i genitori serberanno del figlio: il telefono cellulare attraverso cui hanno ascoltato le sue ultime parole.
Orso D’oro e Premio della Critica Internazionale a Berlino 2013.
Enzo Vignoli
8 agosto 2013.
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diomede917
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martedì 2 luglio 2013
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edipotere
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Il titolo originale, “La posizione del figlio”, rende meglio l’argomento trattato da Il caso Kerens…..
Posizione intesa come posizione fetale che tiene legato e protetto il bambino alla sua mamma.
E’ proprio questo tipo di rapporto che lega Cornelia a suo figlio Barbu, un amore asfissiante che trasforma il ragazzo in un prepotente e arrogante……proprio questo tipo di atteggiamento provoca un incidente stradale dove perde la vita un ragazzino di 14 anni di famiglia molto povera.
A questo punto l’amore materno entra prepotentemente in difesa del suo unico figlio affinchè eviti una dura galera.
In parallelo a questo rapporto edipico si accosta la rappresentazione e la critica della nuova società rumena post Ceaucescu…… un upper class indegnamente rappresentata da questa donna che cerca di muovere tutte le sue conoscenze per cambiare quello che è ovvio e palese in apparenza.
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Il titolo originale, “La posizione del figlio”, rende meglio l’argomento trattato da Il caso Kerens…..
Posizione intesa come posizione fetale che tiene legato e protetto il bambino alla sua mamma.
E’ proprio questo tipo di rapporto che lega Cornelia a suo figlio Barbu, un amore asfissiante che trasforma il ragazzo in un prepotente e arrogante……proprio questo tipo di atteggiamento provoca un incidente stradale dove perde la vita un ragazzino di 14 anni di famiglia molto povera.
A questo punto l’amore materno entra prepotentemente in difesa del suo unico figlio affinchè eviti una dura galera.
In parallelo a questo rapporto edipico si accosta la rappresentazione e la critica della nuova società rumena post Ceaucescu…… un upper class indegnamente rappresentata da questa donna che cerca di muovere tutte le sue conoscenze per cambiare quello che è ovvio e palese in apparenza.
Di contorno troviamo poliziotti che chiedono “consiglio” per un condono e testimoni oculari pronti a barattare una dichiarazione in cambio di tanti soldi.
In questo doppio aspetto che si dipana la storia che il regista tratta con un taglio quasi documentarstico…….i primi venti minuti con la confessione del rapporto conflittuale col proprio figlio e la festa in casa con la colonna sonora di Gianna Nannini hanno ricordato più volte gli elementi un film Dogma…..il tutto poggiandosi sulla bravura della propria protagonista, Luminita Gheorghiu , che dalla prima all’ultima intensa e sofferta scena tiene sulle sue spalle l’intero film.
Ma nonostante il massimo riconoscimento a Berlino e le critiche entusiastiche della critica nostrana ho trovato nella mano del regista Calin Peter Netzer l’anello debole del film……una regia che a un certo punto non riesce a tenere il passo con l’intensità emotiva sia della storia che delle interpretazioni risultando qualche volta in balia degli eventi.
Ciò non toglie che per me il film è da 7 ma avrei voluto certamente dare un voto più alto solo se non avessi sentito una coltre di ghiaccio intorno a me……lo so sono fatto male….
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eugenio
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domenica 15 dicembre 2013
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romania: tra corruzione e edipicità
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E' abbastanza foriero per un film romeno riuscire a descrivere con potenza da Nouvelle Vague la storia di una virago dalle rimembranze shakesperiane ma nel recente “Il caso Kerenes” vincitore (meritato) dell’Orso d’oro al Festival di Berlino il cineasta Netzer vince la sfida con successo.
Il film descrive il rapporto edipido tra un figlio e una “madre tigre” nella Romania di oggi caratterizzata da corruzione dilagante, sprezzo dei sentimenti, miseria umana e assoluta perdita dei valori spirituali, anche quelli delicati e intimi come possono essere la morte di un bambino.
Cornelia, la protagonista della pellicola ha sessant'anni, è sposata con un marito che disprezza e presenta, al contrario, un interesse quasi morboso per l’unico figlio, Barbu, trentaquattrenne labile psicologicamente (la relazione con la fidanzata si tramuta in una convivenza tra perfetti sconosciuti basato su sfuggenti rapporti sessuali).
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E' abbastanza foriero per un film romeno riuscire a descrivere con potenza da Nouvelle Vague la storia di una virago dalle rimembranze shakesperiane ma nel recente “Il caso Kerenes” vincitore (meritato) dell’Orso d’oro al Festival di Berlino il cineasta Netzer vince la sfida con successo.
Il film descrive il rapporto edipido tra un figlio e una “madre tigre” nella Romania di oggi caratterizzata da corruzione dilagante, sprezzo dei sentimenti, miseria umana e assoluta perdita dei valori spirituali, anche quelli delicati e intimi come possono essere la morte di un bambino.
Cornelia, la protagonista della pellicola ha sessant'anni, è sposata con un marito che disprezza e presenta, al contrario, un interesse quasi morboso per l’unico figlio, Barbu, trentaquattrenne labile psicologicamente (la relazione con la fidanzata si tramuta in una convivenza tra perfetti sconosciuti basato su sfuggenti rapporti sessuali). La madre, da perfetta virago, vorrebbe che il suo figlioccio ascoltasse i consigli lasciando la donna ed imponendogli quindi il suo stile di vita come se avesse proprietà sui suoi pensieri. Il ragazzo anche provato dall’assenza di un padre cui non può confidarsi, la evita finchè un maledetto giorno non investe ed uccide con la sua auto un bambino. Sarà solo l’inizio di un dramma non meramente psicologico quanto più prosaicamente giudiziario nel quale “le grandi colpe delle madri” peseranno come una scure sull’incapacità dei figli sullo sfondo di una Romania abbagliata dai fari della corruzione e piegata al valore del denaro. Tutti sono colpevoli in questa pellicola e il realismo da Nouvelle Vague con primi piani e frenetici quanto nervosi cambi di inquadrature del rumeno Netzer (che ricordano pur con valenza minore quelli di Trouffault) ne esemplificano modi e schifose barbarie. Pagare medici legali, comprare testimoni, piangere dinanzi a genitori affranti dal dolore sono tra le più potenti scene che il cinema, come mezzo d’eccellenza di rappresentazione della realtà ci comunica con violenza, rendendoci partecipi di una “storia tra le tante” che colpisce le nostre coscienze incisivamente.
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sir branco
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giovedì 6 ottobre 2016
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genitorialità e corruzione in romania
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"Il caso Kerenes" è un film del 2013 con il quale il regista Calin Peter Netzer ha partecipato alla Berlinale portandosi a casa un bel orsetto d'oro.
Tema principale del film è il rapporto morboso e possessivo di una madre nei confronti del figlio.
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"Il caso Kerenes" è un film del 2013 con il quale il regista Calin Peter Netzer ha partecipato alla Berlinale portandosi a casa un bel orsetto d'oro.
Tema principale del film è il rapporto morboso e possessivo di una madre nei confronti del figlio. Soltanto quando quest'ultimo causerà la morte di un bambino tramite un sorpasso azzardato i due avranno la possibilità di riavvicinarsi. La madre, Cornelia Keneres, è una scenografa teatrale che si destreggia tra gli ambienti dell'alta aristocrazia rumena. Ed è grazie a questo background sociale che cercherà di aiutare il figlio, tramite favori e mazzette. E' difatti con questo pretesto che il film introduce il secondo tema portante riuscedo a ritrarre con un realismo assurdo come la corruzione, i soldi, il potere e tutto il marciume che ne consegue siano naturalmente intrinsechi nella società. La morale che sembra trasparire è che la corruzione non derivi dalla personalità ma dalla possibilità. Ricordando per certi versi il messaggio di "Das Experiment" di Oliver Hirschbiegel. Tutta questo messaggio è impersonificato in un poliziotto, che subirà una trasformazione tanto semplice quanto mostruosa. Per raggiungere questo realismo il regista si è affidato ad una narrazione lenta ma minuziosa, a dialoghi ben scritti e ad una camera a spalla che potrebbe risultare fastidiosa per molti in quanto capace nei suoi momenti più movimentati a farcene ricordare la presenza perdendo un po' in atmosfera.
Terza tematica del film, conseguenza di quello precedente, è la contraposizione tra ceto basso e medio alto, tra ricchi e poveri, dal momento che il bambino investito appartiene appunto a una famiglia povera. La sceneggiatura non si limita a demonizzare la classe privilegiata ma anzi porta avanti una narrazione descrittiva che sfocia nel finale con la creazione di un unico comune denominatore che è il dolore. Inteso sia come dolore universale sia come dolore genitoriale che accomuna tutte le persone.
Il film è stato purtroppo mal distribuito in Italia, ma è reperibile doppiato e in lingua originale su Netflix. Infelice la traduzione del titolo in Italiano difatti la traduzione letterale del titolo rumeno sarebbe "la posizione del bambino/figlio", che si riferisce al feto nell'utero, che avrebbe meglio descritto il tema principale invece del caso Kerenes che sembra voler porre più l'accento invece sulla questione burocratica conseguente all'incidente. Traduzione doppiamente infelice quando poi si scopre che la famiglia si chiama Keneres, e non Kerenes.
Il film riesce a portare avanti una narrazione lenta e a tenerti comunque incollato.
Il merito non è tanto della messa in scena, anzi a tratti fastidiosa, ma per la narrazione minuziosa, i dialoghi necessari nel senso letterale del termine ma sopratutto il merito va a Luminita Gheorghiu, che regala un'interpretazione stratosferica. Soprattutto se teniamo conto della sfida nel rappresentare un personaggio così diverso dalle sue solite interpretazioni di personaggi di ceto medio-basso.
Se un film che parla di genitorialità utilizzando come sfondo la corruzione della società rumena vi incuriosisce, se avete voglia di scoprire un cinema diverso e se volete fare un primo passo nella new wave rumena "Il caso Kerenes" può essere una buona scelta.
P.S.: Sto sperimentando con il video-editing, se volete supportarmi in questo esperimento andate su youtube.com/watch?v=X_fLMJjtVZU per vedere la videorecensione de "Il caso Kerenes" e se possibile fatemi sapere cosa ne pensate. Vi ringrazio :)
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no_data
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venerdì 28 luglio 2017
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una società ancora povera
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Orso d'oro meritato. Quel che mi è piaciuto è stata la linearità dell'assunto che, per tutto il film, non viene mai messo in discussione. I cattivi sono cattivi e di buoni... non se ne vede. La madre (ottima attice) è un'arpia, il padre un invertebrato, il figlio un poveraccio schiacciato dalle donne che gli sono vicine. I genitori del ragazzino ucciso, da parte loro, si arrendono alla logica imperante nella Romania di oggi: chi ha più soldi ha più potere, tanto da far cambiare un verbale di polizia in un commissariato. Notevole l'ambientazione: ci si muove in un ambiente sociale molto elevato ma le abitazioni e gli arredi sono a livello delle nostre classi più povere.
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francesco2
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sabato 29 luglio 2017
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familismo nel male e nel bene
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Da un raffronto tra questo film ed « Un padre, una figlia » emerge, per osservatori
del tutto esterni –come chi scrive- un doppio risvolto del familismo nella società rumena.
Ne costituirebbe un male, in quanto importante nella corruzione diffusissima
in un ufficio o in una struttura pubblica ; ne costituirebbe, paradossalmente, anche un
vantaggio, ove la famiglia diventi l’unica salvezza in una società cosi desolante, dal
punto di vista materiale e morale. Del resto, in maniera (tanto ?) più contenuta, in
un paese « molto più vicino a noi » ?
Detto questo, tuttavia, nel « caso Keirenes » quel meccanismo che sancisce la
sostanziale riuscita dell’opera di Mungiu, come anche delle « Nevi del Kilimangiaro » di
Guédiguan, ovvero introdurre un elemento ed evidenziarne al contempo l’
insita contradditorietà, risulta qui sostanzialmente assente.
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Da un raffronto tra questo film ed « Un padre, una figlia » emerge, per osservatori
del tutto esterni –come chi scrive- un doppio risvolto del familismo nella società rumena.
Ne costituirebbe un male, in quanto importante nella corruzione diffusissima
in un ufficio o in una struttura pubblica ; ne costituirebbe, paradossalmente, anche un
vantaggio, ove la famiglia diventi l’unica salvezza in una società cosi desolante, dal
punto di vista materiale e morale. Del resto, in maniera (tanto ?) più contenuta, in
un paese « molto più vicino a noi » ?
Detto questo, tuttavia, nel « caso Keirenes » quel meccanismo che sancisce la
sostanziale riuscita dell’opera di Mungiu, come anche delle « Nevi del Kilimangiaro » di
Guédiguan, ovvero introdurre un elemento ed evidenziarne al contempo l’
insita contradditorietà, risulta qui sostanzialmente assente. Sotto questo
aspetto, anche l’ambiguità nel ruolo dell »investitore », che la madre palesa
in una delle ultime scene non mi convince più di tanto, ed appare più che altro inseribile
nella sua natura di scena-madre, l’opposto delle poche parole di cui il giovane –quasi
sicuramente- ha bisogno con i parenti della vittima.
Il tutto appare comunque troppo carico ed aumenta le mie –parziali –perplessità sul
film, che a volte sembrerebbe danneggiato da piccole dosi di presunzione, ad esempio
nelle scene in cui la madre cerca affannosamente denaro ed oggetti : stride, anche qui, la
differenza con Mungiu ed il suo « 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni ». Paradossalmente parlando, il
dialogo tra le due protagoniste femminili, come anche –parzialmente- l’incontro con il testimone,
interpretato molto brillantemente, aggiungono di più, pur nella loro didascalicità.
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filippo catani
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lunedì 2 dicembre 2013
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una madre terribile
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Romania. Poco fuori da Bucarest un giovane investe un ragazzo di 14 anni uccidendolo sul colpo. L'uomo, alle prese con i sensi di colpa e non solo, dovrà pure fronteggiare l'invadente madre disposta letteralmente a tutto pur di evitargli la galera.
Orso d'oro a Berlino per un film coraggioso e decisamente tosto che fa i conti con diverse tragedie che sembrano però avere un'unica radice: un contorto rapporto madre-figlio. Questa terrificante donna (recentemente solo la madre dei ragazzi di Animal Kingdom aveva suscitato la stessa inquietudine) è abituata a dettare legge a casa e fuori e a ottenere qualsiasi cosa desideri con le buone o le cattive essendo molto ben appoggiata nella società "bene".
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Romania. Poco fuori da Bucarest un giovane investe un ragazzo di 14 anni uccidendolo sul colpo. L'uomo, alle prese con i sensi di colpa e non solo, dovrà pure fronteggiare l'invadente madre disposta letteralmente a tutto pur di evitargli la galera.
Orso d'oro a Berlino per un film coraggioso e decisamente tosto che fa i conti con diverse tragedie che sembrano però avere un'unica radice: un contorto rapporto madre-figlio. Questa terrificante donna (recentemente solo la madre dei ragazzi di Animal Kingdom aveva suscitato la stessa inquietudine) è abituata a dettare legge a casa e fuori e a ottenere qualsiasi cosa desideri con le buone o le cattive essendo molto ben appoggiata nella società "bene". Proprio questi contatti verranno spremuti per fare pressioni sulla polizia che ha fermato il figlio per aver travolto e ucciso un ragazzo. Fin dall'arrivo al commissariato si notano subito le differenze: da una parte la povera famiglia del morto che veste in abiti semplici e vive in un casa in campagna mentre dall'altra parte mamma e zia che bardate di pelliccia, BMW e amicizie altolocate brigano per la salvezza del loro congiunto. La donna poi non si fa scrupoli a cercare di sistemare tutta la situazione mediante denaro da offrire ora a un testimone locale ora alla famiglia del giovane ora a cercare un appoggio per alcuni parenti del poliziotto. Questa donna non solo ha annientato il marito ma ha finito per condizionare terribilmente il figlio che cerca di liberarsi di lei ma allo stesso tempo deve fare i conti con diversi problemi sia caratteriali sia nel rapporto con la compagna (una donna divorziata con una bimba che ovviamente alla madre non sta per niente bene). Insomma un film coraggioso per cui meritano sicuramente una menzione il regista Netzer e la straordinaria Luminita Gheorghiu per una pellicola dalla atmosfere grige come la fotografia e praticamente priva di colonna sonora.
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