liuk!
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giovedì 24 gennaio 2013
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in poche parole...
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eugenio
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giovedì 17 gennaio 2013
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una storia semplice
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Scrivere,scrivere e poi ancora scrivere. Scrivere per necessità,per rispondere a un innato bisogno primigenio di raccontare fatti,esperienze,emozioni, scrivere per rendere partecipi i lettori o – più prosaicamente – sé stessi, di un dramma vissuto internamente dallo scrittore, un oracolo narratore che informa con l’intento di rispondere a un vuoto dell’anima causato da un dolore,da una sconfitta,da una vittoria,da un dato di fatto. La scrittura è questo: informazione,riflessione, valvola di sfogo di masturbazioni cerebrali, di eventi che possono irretire – in senso buono- la mente del lettore per poche ore/giorni/settimane/mesi creando un rapporto unidirezionale di comunicazione empatica che quando termina, lascia in sé un’ amarezza similare alla perdita di un amico.
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Scrivere,scrivere e poi ancora scrivere. Scrivere per necessità,per rispondere a un innato bisogno primigenio di raccontare fatti,esperienze,emozioni, scrivere per rendere partecipi i lettori o – più prosaicamente – sé stessi, di un dramma vissuto internamente dallo scrittore, un oracolo narratore che informa con l’intento di rispondere a un vuoto dell’anima causato da un dolore,da una sconfitta,da una vittoria,da un dato di fatto. La scrittura è questo: informazione,riflessione, valvola di sfogo di masturbazioni cerebrali, di eventi che possono irretire – in senso buono- la mente del lettore per poche ore/giorni/settimane/mesi creando un rapporto unidirezionale di comunicazione empatica che quando termina, lascia in sé un’ amarezza similare alla perdita di un amico. Questa la scrittura,la splendida forma di interpretazione dei pensieri umani che affascina e fa affascinare intere generazioni.
Ne sanno qualcosa gli sceneggiatori Brian Klugman e Lee Sternthal che nel loro recente film d’esordio, “The words” imbastiscono una storia (che per antifrasi potrebbe essere definita semplice) basata proprio sul complicato rapporto che intercorre tra lo scrivente e la sua opera prima il racconto. Come una matrioska in cui non è chiaro cosa è reale e cosa è frutto di fantasia, veniamo a conoscenza,attraverso le parole di Clay Hammond (Dennis Quaid), scrittore famoso di successo in atto di leggere in pubblico i primi capitoli del suo best-seller, delle peripezie di Rory Jansen, pseudo-scrittore fermamente convinto di riuscire a pubblicare il romanzo della sua vita. Romanzo che gli si presenterà bello pronto sottoforma di una vetusta ventiquattro ore trovata dalla fidanzata casualmente e contenente al suo interno, un ancor più vetusto manoscritto che irretirà il giovane sino al plagio, alla pubblicazione e all’immeritato successo. Tuttavia, il ghost-writer che altri non è che un “povero vecchio” (interpretato da un ottimo Jeremy Irons) reduce da una miseranda vicenda umana fatta di guerra,morte e abbandono, si troverà lungo il cammino, quasi per uno scherzo del destino dello scrittore di successo rivendicando la paternità del libro ed esigendo un dazio, un pagamento del tributo. Non soldi, non vile denaro ma la consapevolezza del plagio, l’inesorabile presenza del rimorso nato dall’incapacità di produrre una storia potente,reale,viva in ogni senso alimentata dall’esperienza e impossibile da narrare senza essere stati protagonisti assoluti. Rory dal canto suo, dopo strenui tentativi di discussione con il gretto editore piegato solo dalla logica del successo, non potrà fare altro che accettare quella situazione di pura illusione nel cui baratro a causa della sua stessa incapacità è caduto senza purtroppo essere in grado di risalire visto che, “la compagna di scalate”, la moglie, sarà incapace di indossare per il resto della sua vita la maschera del successo. Le loro vite saranno scandite dalla menzogna, dall’incapacità di guardarsi negli occhi, da presentazioni di libri, il cui primo, trampolino di lancio della carriera di Rory, costituirà fardello imprescindibile, incarnazione del senso libero della scrittura come esplorazione,sfogo, istintualità repressa. Una scrittura morta, naturalmente, con l’autore stesso. All’interno di questa cornice, Clay, l’io narrante, è lo specchio e il riflesso delle azioni di Rory. Il primo è il generatore dell’evento, il secondo il puro strumento di narrazione ma la specificità delle azioni e il concetto sfumato di realtà e finizione ben sottolineato dall’espressione facciale finale di Clay, rendono l’idea di un gioco piu’ profondo,intimo e impetuoso.
Un gioco semplice,una storia dalle molteplici implicazioni ad incastro che si staglia su piani paralleli che non si incontrano mai dove l’arte di narrare attraverso parole è l’onnipresente leit-motiv di ogni azione, dove la finzione e la realtà sfumano all’interno di registri narrativi distinti ed equilibrati, dove le emozioni della vita nascono,crescono e fioriscono. In un verdeggiante giardino colmo di illusioni.
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no_data
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domenica 6 gennaio 2013
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la sottile arte di allungare il brodo...
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Questo film è il perfetto prototipo del prodotto commerciale americano costruito ad arte per chi vuol sentirsi intelligente ed emotivamente appagato. Basterebbe contare il numero di scene narrativamente inutili, fatte di abbracci, effusioni erotiche, pianti e prolungate commozioni, per rendersi conto che il film poteva serenamente durare la metà.
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etabeta
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mercoledì 2 gennaio 2013
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sottostimato..
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...dalle sale cinematografiche come accade purtroppo sempre più spesso.
Invece questo film "fatto a scatole cinesi" nella trama, lo è anche negli innumerevoli quesiti esistenziali che tutti noi ci poniamo ogni giorno.
Chi sono? dove sto andando?
Io sono il lavoro che faccio?
Le 3 attrici principali femminili recitano davvero molto bene, oramai ad Hollywood hanno superato di gran lunga i loro colleghi maschi.
Ma la perla del film a mio giudizio è Jeremy Irons.
Ogni fotogramma della sua interpretazione è qualcosa di favoloso, meraviglioso, poetico.
Purtroppo uno dei pochi grandi attori ancora in vita... speriamo ancora per tanto tempo.
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inadd
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giovedì 4 ottobre 2012
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pessimo
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Film noioso, scontato, senza alcun colpo di scena. Decisamente da non vedere.
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wilke
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martedì 2 ottobre 2012
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noiose scatole cinesi -
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Film noioso, pedante, che aspirerebbe a una sorta di analisi psicologica o introspettiva ma che risulta didascalico e piatto, veramente non ho provato nessuna emozione durante tutta la proiezione se non una certa noia. Fastidiosa anche la cosstante voce narrativa fuori campo che diluisceancora di più l'intensità delle scene e lo svolgersi della storia. Alla fine dello spettacolo ci si domanda a cosa si è assistito, dov'è l'idea..: una serie di scatole cinesi ad incastro senza sorprese ne' mordente. Deludente.
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queenbeelw
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sabato 29 settembre 2012
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restare mediocri o fare successo "imbrogliando"?
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Rory è uno scrittore emergente dalle ambizioni frustrate. Un giorno trova per caso un vecchio manoscritto che gli da la possibilità di avere tutto ciò che ha sempre desiderato: fama, successo, riconoscimenti letterari...e ottiene tutto, semplicemente facendo copia-incolla. Il povero "scrittore" dovrà però fare i conti con la sua coscienza, che si fa sentire ancora di più dopo che il vero autore del libro si fa vivo...
Citazione del film che ho preferito : "Un'altra cosa che fa un uomo, è accettare i propri limiti" (Il padre di Rory a Rory) .
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fra1971
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sabato 29 settembre 2012
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per riflettere..........
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Le parole a volte sono peggio di una ferita al cuore, come sia possibile una cosa del genere? Dipende da cos’hai vissuto, da cosa le parole descrivano nella loro “Messa a Dimora”, un cumulo di vocaboli dentro una ciotola, ben amalgamati con un frullatore, farina, uova e zucchero e la vita di una persona viene spalmata su di un libro di 400 pagine e senza che nemmeno te ne accorgi una parte della tua vita viene passata al setaccio e descritta minuziosamente. Solo chi ha vissuto quelle parole, solo chi ha messo nero su bianco quelle parole sa cosa tutto dietro ci può essere. Dolore, gioia e quant’altro che se riportati con l’impeto di come sono stati vissuti quei momenti può colpire il cuore di chi legge e far intendere che lo scrittore ha sofferto mentre scriveva, un fiume in piena che si è arginato solo con due parole: THE END, la fine.
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Le parole a volte sono peggio di una ferita al cuore, come sia possibile una cosa del genere? Dipende da cos’hai vissuto, da cosa le parole descrivano nella loro “Messa a Dimora”, un cumulo di vocaboli dentro una ciotola, ben amalgamati con un frullatore, farina, uova e zucchero e la vita di una persona viene spalmata su di un libro di 400 pagine e senza che nemmeno te ne accorgi una parte della tua vita viene passata al setaccio e descritta minuziosamente. Solo chi ha vissuto quelle parole, solo chi ha messo nero su bianco quelle parole sa cosa tutto dietro ci può essere. Dolore, gioia e quant’altro che se riportati con l’impeto di come sono stati vissuti quei momenti può colpire il cuore di chi legge e far intendere che lo scrittore ha sofferto mentre scriveva, un fiume in piena che si è arginato solo con due parole: THE END, la fine.
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anna bells
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venerdì 28 settembre 2012
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come scrivere.
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La delicatezza, la passione, il timore di non essere all'altezza, alla ricerca dell'opera capace di farti diventare uno scrittore. Un piccolo e intenso capolavoro cinematografico che attraverso l'arte della scrittura lancia messaggi importanti, attuali e reali. Il così detto treno del destino, quello che passa una volta sola, fa incappare Rory Jansen in un manoscritto ingiallito dal tempo, proprio nel periodo più buio della sua carriera di scrittore, quando le lettere di rifiuto degli editori sono diventate più numerose delle pagine del suo ultimo romanzo.
Un finale non scontato che lascia quella sensazione di voragine nello stomaco, quella sensazione di speranza che "The Words" sia davvero un libro, e usciresti di corsa dal cinema per correre in libreria.
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La delicatezza, la passione, il timore di non essere all'altezza, alla ricerca dell'opera capace di farti diventare uno scrittore. Un piccolo e intenso capolavoro cinematografico che attraverso l'arte della scrittura lancia messaggi importanti, attuali e reali. Il così detto treno del destino, quello che passa una volta sola, fa incappare Rory Jansen in un manoscritto ingiallito dal tempo, proprio nel periodo più buio della sua carriera di scrittore, quando le lettere di rifiuto degli editori sono diventate più numerose delle pagine del suo ultimo romanzo.
Un finale non scontato che lascia quella sensazione di voragine nello stomaco, quella sensazione di speranza che "The Words" sia davvero un libro, e usciresti di corsa dal cinema per correre in libreria. Cinema e scrittura si fondono in un binomio vincente di emozioni, di paure, di glorie di visioni del mondo distorte e reali, di una linea sottile che separa l'uomo dallo scrittore. Non è facile ammettere per chi ambisce a vedere il suo libro in prima pagina di non essere in grado di scrivere il libro giusto, uno scrittore tende teatralmente a credere sempre che il suo lavoro possa diventare importante, famoso, con una critica positiva dal pubblico e dagli esperti.
Lo scrittore, anche se non l'ammette vive con la paranoia di non aver incontrato l'editore giusto, mentre il suo libro giusto lo era. Quando per una volta tutto sembra andare come deve, ne esce fuori la coscienza, la verità e lo scrittore nel giro di un soffio di vento, diventa un ladro di parole, parole che diventano per lui più importanti di tutto il resto e lo mangiano dentro senza possibilità di replica. Per quanto ne sia consapevole lo scrittore non ha la forza di strappare da se stesso quelle parole, perché crede fermamente che siano sue, che il libro sia stato scritto da lui, anche quando queste sono solo fantasie della sua mente.
Emozionante, intenso, soprattutto per chi vuole intraprendere questa strada, la strada dello scrivere.
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angeli g
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martedì 25 settembre 2012
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bello e da vedere...
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è un bellissimo film e con bravi attori...
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