marco santillani
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giovedì 22 agosto 2019
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visto in tv
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Un film sorprendente. Dal trailer non si percepisce la reale forza di questo lungometraggio, recitato benissimo dai due attori protagonisti. Ma anche i pochi altri attori che fanno piccoli ruoli, recitano davvero bene. Credo che la forza prima di tutto sia proprio quella della recitazione spontanea, che rende tutto meravigliosamente vero. E nel cinema di oggi, la sincerità si è un po' persa. Ci si trova immersi in una casolare abbandonato in cui due adolescenti che si conoscono appena, devono passare una intera giornata o forse più. Il motivo di questa convivenza forzata appare ignoto: lo si capirà strada facendo. Il boss Bernardino tiene segregata la sua amata, colpevole di aver flirtato con un altro.
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Un film sorprendente. Dal trailer non si percepisce la reale forza di questo lungometraggio, recitato benissimo dai due attori protagonisti. Ma anche i pochi altri attori che fanno piccoli ruoli, recitano davvero bene. Credo che la forza prima di tutto sia proprio quella della recitazione spontanea, che rende tutto meravigliosamente vero. E nel cinema di oggi, la sincerità si è un po' persa. Ci si trova immersi in una casolare abbandonato in cui due adolescenti che si conoscono appena, devono passare una intera giornata o forse più. Il motivo di questa convivenza forzata appare ignoto: lo si capirà strada facendo. Il boss Bernardino tiene segregata la sua amata, colpevole di aver flirtato con un altro. Oltretutto quest'altro è della fazione opposta alla sua. Bernardino il boss malavitoso non entra in scena subito. I due ragazzi ne parlano, lo citano in continuazione, ma lui non appare. Ce lo immaginiamo come un forzuto uomo dall'aria cattiva, ma invece è un bravo ragazzetto, ben pettinato e con gli occhialetti da impiegato. Ben vengano questi film semplici in grado di raccontare storie sincere e profonde. Reali fintanto da riuscire a fare immedesimare lo spettatore. La giovanissima Veronica, già attraente ed un po' sfacciata, calamìta gli sguardi indiscreti degli adulti. Dapprima facendo credere di essere una prostituta bambina, sfuggita al clan per non esercitare la professione. Successivamente ponendosi come la donna del boss, la donna bambina che ha fatto innamorare Bernardino, anche lui "ino", diminutivo che suggella infine, tutto un racconto fatto di ragazzi, bambini troppo presto diventati grandi.
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stefanocapasso
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lunedì 8 ottobre 2018
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fantasie adolescenziali e malavita
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Salvatore è un adolescente che lavora in giro per Napoli col suo banchetto di granite. Un giorno un piccolo boss locale gli ordina di passare la giornata in un vecchio capannone abbandonato dove un'altra adolescente, Veronica, è stata segregata per le sue frequentazioni con un ragazzo della banda rivale. I due passano la giornata insieme facendo reciproca conoscenza.
Bel film di De Costanzo che racconta la sua Napoli, gli aspetti legati alla malavita organizzata, e come questa influenzi la vita dei giovani. Lavora con giovani attori che parlano uno stretto dialetto napoletano, in un'unica location che viene utilizzata in tutte le sue possibilità. La vicenda dei due protagonisti fa emergere gli strati di cui si compone la vita di due ragazzi napoletani: c
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Salvatore è un adolescente che lavora in giro per Napoli col suo banchetto di granite. Un giorno un piccolo boss locale gli ordina di passare la giornata in un vecchio capannone abbandonato dove un'altra adolescente, Veronica, è stata segregata per le sue frequentazioni con un ragazzo della banda rivale. I due passano la giornata insieme facendo reciproca conoscenza.
Bel film di De Costanzo che racconta la sua Napoli, gli aspetti legati alla malavita organizzata, e come questa influenzi la vita dei giovani. Lavora con giovani attori che parlano uno stretto dialetto napoletano, in un'unica location che viene utilizzata in tutte le sue possibilità. La vicenda dei due protagonisti fa emergere gli strati di cui si compone la vita di due ragazzi napoletani: coinvolti loro malgrado negli ambienti della malavita e al corrente di tutto quello che questo comporta, conservano aspetti fanciulleschi che possono condividere per dare spazio a quegli istinti propri dell’età,; il tutto miscelato con le influenze culturali dei media
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mareincrespato70
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domenica 3 novembre 2013
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un piccolo grande capolavoro espressivo
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Film che rende onore al cinema nella sua alta espressione artistica di laboratorio di immagini, di idee, di creatività, indipendentemente dai (pochi) mezzi a disposizione.
Storia di infanzia, adoloscenza rubata: non c'è consolazione, solo squarci di umanità nella terribile quotidianita sociale da cui non c'è possibilità di fuga, ma solo di evasione temporanea (illusoria?).
Capolavoro firmato da Leonardo Di Costanzo, straordinaria prova evocativa di un mondo forse senza speranza, con il dialetto napoletano che, nella sua forza e purezza, si conferma Lingua vivificante di una Terra bella, terribile, matrigna, con un'identità forte, straripante.
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Film che rende onore al cinema nella sua alta espressione artistica di laboratorio di immagini, di idee, di creatività, indipendentemente dai (pochi) mezzi a disposizione.
Storia di infanzia, adoloscenza rubata: non c'è consolazione, solo squarci di umanità nella terribile quotidianita sociale da cui non c'è possibilità di fuga, ma solo di evasione temporanea (illusoria?).
Capolavoro firmato da Leonardo Di Costanzo, straordinaria prova evocativa di un mondo forse senza speranza, con il dialetto napoletano che, nella sua forza e purezza, si conferma Lingua vivificante di una Terra bella, terribile, matrigna, con un'identità forte, straripante. Nel bene, e (soprattutto qui) nel male.
Indimenticabile la fotografia di Luca Bigazzi, che arricchisce il film con il suo genio creativo, con le luci delle varie ore di questa "giornata particolare" che illuminano gli animi dei due protagonisti, senza poterli rinfrancare definitivamente: perchè la Notte torna sempre.
Uno dei film italiani più belli degli ultimi anni. Se potete, non perdetevelo!
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rita branca
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domenica 15 settembre 2013
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un emozionante intervallo di intensa bellezza
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L’intervallo, film (2012) di Leonardo Di Costanzo con Alessandro Gallo, Francesca Riso, Antonio Buil Puejo; Carmine Paternoster, Salvatore Ruocco
Un delicatissimo film ambientato nella Campania degradata dei nostri tempi, con i dialoghi prevalentemente in napoletano che aggiunge efficacia al contesto in cui si svolge l’azione. I protagonisti sono due adolescenti che hanno abbandonato la scuola, Salvatore per insuccesso, dopo aver ripetuto due volte la terza media perché non gli piaceva, e Veronica per motivi diversi, visto che comunque, a causa delle grazie offerte ai docenti, alla fine dell’anno, ha guadagnato la licenza.
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L’intervallo, film (2012) di Leonardo Di Costanzo con Alessandro Gallo, Francesca Riso, Antonio Buil Puejo; Carmine Paternoster, Salvatore Ruocco
Un delicatissimo film ambientato nella Campania degradata dei nostri tempi, con i dialoghi prevalentemente in napoletano che aggiunge efficacia al contesto in cui si svolge l’azione. I protagonisti sono due adolescenti che hanno abbandonato la scuola, Salvatore per insuccesso, dopo aver ripetuto due volte la terza media perché non gli piaceva, e Veronica per motivi diversi, visto che comunque, a causa delle grazie offerte ai docenti, alla fine dell’anno, ha guadagnato la licenza.
Sono due ragazzi del popolo per i quali la vita è già assai complicata: lui, cicciottello, forse per i troppi panini con cui si nutre, non avendo la mamma che gli prepara i pasti e senza una preparazione scolastica regolare, ma espertissimo in fatto di uccelli, fa il venditore ambulante di bibite al limone, e Veronica, con la sua aggressività e l’abbigliamento procace con borsetta a tracolla, fa pensare a espedienti irregolari.
I due si conoscono di vista, ma in realtà parlano per la prima volta fra loro quando, loro malgrado, sono rinchiusi all’interno delle mura di cinta di una proprietà con parco e edificio abbandonato, dove molto tempo prima, una ragazzina si era suicidata.
Salvatore, privato da alcuni malavitosi, alle dipendenze di un giovane boss innamorato di Veronica, del piccolo mezzo con cui vende le bibite, è costretto, pena la confisca definitiva ed eventuali altre punizioni, a fare da guardiano alla ragazzina, che ovviamente lo guarda in cagnesco e lo maltratta. Veronica è sequestrata poiché non ricambia i sentimenti del boss malavitoso, anzi si fa vedere in giro con un rivale dello stesso. Il film decolla subito con i due giovanissimi attori, rimasti soli a dialogare e vagare per il labirintico edificio, facendo emergere tutta la candida bellezza della loro età e delle loro anime semplici.
Il loro intervallo dalla quotidianità dura fino a sera quando tornano i malavitosi.
Splendida fotografia e recitazione fresca e spontanea, assolutamente convincente.
Da non perdere perché estremamente poetico, davvero un film degno di nota.
Rita Branca
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nicell
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giovedì 8 agosto 2013
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carino
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Un film decisamente ben fatto, con una ella fotografia, e due bravissimin giovani attori. Ma il film si basa su un assunto abbastanza falso, a cui è difficile credere ed è appena appena carino. Trovo inspiegabile l'entusiasmo della critica italiana: se andiamo avanti a fare questi film, il cinema italiano non si risolleva più.
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fabbu
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domenica 4 agosto 2013
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napoli ha molte facce
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Questa piccola, preziosa pellicola ha tanti meriti.
Si potrebbe mettere in cima alla lista la leggerezza con la quale riesce a trattare un tema tragico - la criminalità organizzata vista non come “semplice” malattia del nostro equilibrio sociale, bensì come bestiale alternativa strutturale ad esso - senza (s)cadere nell'approccio sociologico o, peggio, “savianesco”.
Si potrebbe mettere il fuoco sulla delicatezza, quella che viene utilizzata per tratteggiare la dinamica delle relazioni dei due personaggi – tanto più scolvolgente perché ricreata in un contesto inesorabilmente squallido.
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Questa piccola, preziosa pellicola ha tanti meriti.
Si potrebbe mettere in cima alla lista la leggerezza con la quale riesce a trattare un tema tragico - la criminalità organizzata vista non come “semplice” malattia del nostro equilibrio sociale, bensì come bestiale alternativa strutturale ad esso - senza (s)cadere nell'approccio sociologico o, peggio, “savianesco”.
Si potrebbe mettere il fuoco sulla delicatezza, quella che viene utilizzata per tratteggiare la dinamica delle relazioni dei due personaggi – tanto più scolvolgente perché ricreata in un contesto inesorabilmente squallido.
E che dire della mirabile resa dell'atmosfera kafkiana? La tensione che si accumula per tutta la durata del film, sempre sul punto di esplodere, alla fine invece evapora via. Nulla di fatto. Lo scontro di due mondi inconciliabili – la realtà e la possibilità – è rimandato. Un finale antishakespeariano che perfettamente si incarna nello stesso titolo del film: quello che si è raccontato è stato, per l'appunto, un intervallo. Da domani si ritorna alla quotidianità, e ai suoi tormenti.
Invece, a mio parere, il merito più grande di quest'opera è altrove. Forse risiede in un luogo che non è nemmeno necessariamente cinematografico. E più che un merito, si tratta di una risposta. L'eureka ad un quesito irrisolto che insegue, o comunque dovrebbe farlo, tutti coloro che raccontano storie. L'aporia è la seguente: come è possibile conciliare, ammesso che lo sia, una narrazione essenziale, asciutta e in certi momenti chirurgica con atmosfere colorate e rumorose in cui invece l'emotività la fa da padrone? Detto altrimenti: l'understatement, il raccontare per sottrazione, la purezza narrativa tipicamente nordeuropea, che in certi momenti fa pensare a Kristof della Trilogia della Città di K., possono andare a braccetto con il disordine, con il “sovraesposto” e con la promiscuità, tutti stilemi di una cultura tanto lontana come quella napoletana (o forse basta dire mediterranea)?
A dire il vero nel secolo passato questa aporia era stata già affrontata con maestria da un genio assoluto. Il suo nome era Eduardo. Restando invece all'ambito degli artisti, i più vivi complimenti a Leonardo Di Costanzo, sperando che abbia ancora la capacità e il desiderio di percorrere questa no man's land che separa due territori che da sempre si guardano in cagnesco.
Nel frattempo, lecchiamoci i baffi.
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mericol
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lunedì 22 luglio 2013
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tutto a posto,come prima: soltanto un "intervallo"
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Salvatore (Salvatore “u scemu” o Salvatore “u chiattune” ? chiede la ragazza; no “u chiattune”). Salvatore dunque,venditore ambulante di granatine,come il padre,è incaricato da una gang del napoletano, di sorvegliare una giovane donna, una quindicenne, in un enorme edificio abbandonato,probabilmente di recente costruzione, ma in condizioni fatiscenti, nel più assoluto degrado. Mentre in fondo sul panorama,si intravede la città dei grattacieli.
Non si sa neppure all’inizio del film il motivo della segregazione della ragazza, Veronica.
Tra i due protagonisti prima la diffidenza,poi una progressiva comprensione. Lontani fisicamente,ma non visivamente dal mondo cosiddetto “civile”,nel breve periodo di convivenza si risvegliano i bisogni elementari: quelli corporali,la sete,la fame.
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Salvatore (Salvatore “u scemu” o Salvatore “u chiattune” ? chiede la ragazza; no “u chiattune”). Salvatore dunque,venditore ambulante di granatine,come il padre,è incaricato da una gang del napoletano, di sorvegliare una giovane donna, una quindicenne, in un enorme edificio abbandonato,probabilmente di recente costruzione, ma in condizioni fatiscenti, nel più assoluto degrado. Mentre in fondo sul panorama,si intravede la città dei grattacieli.
Non si sa neppure all’inizio del film il motivo della segregazione della ragazza, Veronica.
Tra i due protagonisti prima la diffidenza,poi una progressiva comprensione. Lontani fisicamente,ma non visivamente dal mondo cosiddetto “civile”,nel breve periodo di convivenza si risvegliano i bisogni elementari: quelli corporali,la sete,la fame. Ma poi anche la paura, in parte la diffidenza.
Salvatore non fa mai il carceriere duro. Veronica,da parte sua, progressivamente lo comprende, alla fine si confida. Insieme portano fiori sotto la gigantografia di una giovane donna morta, forse suicida, per colpa dell’ambiente degradato in cui ha vissuto. Veronica rinuncia a fuggire, quando ne ha la possibilità, per non danneggiare Salvatore,sul quale certamente si sarebbe scatenata la violenza degli uomini della gang.
Alla fine compare il capo clan, Bernardino, con un aspetto formale elegante (alla Raffaele Cutolo) regista di tutta l’operazione.
Veronica era stata segregata perché responsabile di avere intessuto un flirt con un giovane di un altro quartiere degradato, quindi verosimilmente di un clan rivale. Ha la tentazione di uccidere Bernardino, ma non ne ha la forza fisica,né morale. Si adagia alle necessità, alla “morale” del suo ambiente. Cede a Bernardino che la porta via,”mansueta”,sulla sua moto. Passa davanti a Salvatore che, pagato dal clan per il “lavoro” svolto,torna col carrettino alla abituale occupazione di gelataio ambulante. Ritorna il padre, anch’egli con il solito furgoncino lavorativo. “Ciao” si dicono “va tutto bene ?”. “Tutto a posto”. Tornato tutto come prima. “tutto a posto”. Si è trattato solo di un “Intervallo”.
Tema amaro ma reale. Conclusione pessimista ma veritiera.
Bella fotografia di Luca Bigazzi.
Bella prova dei due giovani interpreti, presi dal popolo,istruiti nella parte per mesi per la loro prima recitazione Lei Veronica,viso fisso e dolente,poche parole, destino segnato e inesorabile. Lei quindicenne come una donna di 60 anni che le ha passate proprio tutte.
Lui, Salvatore, paffutello, incredulo, a tratti stupefatto nell’osservare le assurdità della vita che è costretto a vivere.
Tra le scene più suggestive: la “fuga” di Veronica (mi ha ricordato la fuga finale di Antoine Doinel ne “I quattrocento colpi” di Truffaut)
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riccardo tavani
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sabato 10 novembre 2012
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speranze sequestrate: un messaggio nella bottiglia
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“L’intervallo” è un piccolo prodigioso film che dimostra quanto la forza delle buone idee cinematografiche può fare a meno di grandi mezzi ed effetti speciali per affermarsi. Una vera lezione d’arte sia per la vicenda narrata che per il modo di narrarla. Una ragazza e un ragazzo da poco usciti dalla soglia dell’adolescenza rinchiusi da mattina a sera, dalla camorra, in un luogo dannato e desolato della Napoli dei nostri giorni. Lei, Veronica, è la vera prigioniera. Lui, Salvatore, è costretto a farle da carceriere. Il torto commesso da Veronica nei confronti del giovane boss del suo quartiere, Bernardino, è di essersi fidanzata con un ragazzo di un altro rione e, soprattutto, appartenente ad una famiglia a lui avversa.
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“L’intervallo” è un piccolo prodigioso film che dimostra quanto la forza delle buone idee cinematografiche può fare a meno di grandi mezzi ed effetti speciali per affermarsi. Una vera lezione d’arte sia per la vicenda narrata che per il modo di narrarla. Una ragazza e un ragazzo da poco usciti dalla soglia dell’adolescenza rinchiusi da mattina a sera, dalla camorra, in un luogo dannato e desolato della Napoli dei nostri giorni. Lei, Veronica, è la vera prigioniera. Lui, Salvatore, è costretto a farle da carceriere. Il torto commesso da Veronica nei confronti del giovane boss del suo quartiere, Bernardino, è di essersi fidanzata con un ragazzo di un altro rione e, soprattutto, appartenente ad una famiglia a lui avversa. Si trova rinchiusa in quel luogo ben dentro la città, ma abbandonato dalla legge e da Dio, perché deve avere modo di riflettere e recedere dal suo oltraggioso fidanzamento. Salvatore vende bibite e granite per le strade della città. Usa un carrettino attrezzato che gli è spicciativamente sequestrato per costringerlo a sorvegliare Veronica, a fare in modo che non scappi da quella assurda quanto inesorabile prigione. Unica dotazione: il panino di Salvatore e una mezza bottiglia in plastica d’acqua. Veronica appare spavalda, ribelle, sicura di sé, anche fisicamente; Salvatore è un ragazzone alto, grosso impacciato, silenzioso, ancora in età scolare ma costretto dalle condizioni economiche e culturali all’abbandono precoce. Il luogo della detenzione, nella finzione cinematografica, è un vecchio collegio femminile completamente in sfacelo, mentre nella realtà è un ex grande complesso ospedaliero chiuso da anni. Il luogo, in ogni caso, è vasto, labirintico, con un gran parco intricato, ambienti interni cadenti, rugginosi e sotterranei allagati, uno addirittura, con una barca semiaffondata. Salvatore dice a Veronica che una ragazza del collegio fu ammazzata dalla camorra per essersi ribellata ai suoi ordini. Pur tra i contrastanti ruoli e caratteri, nasce una solidarietà, una comprensione fondamentale tra prigioniera e carceriere. È la comune condizione di una giovinezza ormai negata dai nostri tempi, di speranze stuprate, di un futuro cancellato dall’orizzonte degli sguardi puri. L’esplorazione del “castello stregato” ha i tratti dell’avventura adolescenziale, di quella scoperta del mondo che porta alla formazione della personalità. Qui il mondo, però, è solo rovi, rovine, acque stagnanti e putritudine. I sogni dell’avvenire sono sostituiti dai fantasmi, dagli incubi di un passato che torna e si ripresenta con la faccia violenta, spietata della sua legge. Un film che pur non lasciando alcuna facile illusione, consolazione o speranza non è disperato. Nel labile filo di comunicazione e sintonia che si stabilisce tra i due ragazzi, nei loro reciproci gesti di preoccupazione l’una per le sorti dell’altro già si intesse una possibilità diversa, un messaggio nella bottiglia che altri domani potranno leggere e attuare.
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babagi
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lunedì 8 ottobre 2012
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l'amore ai tempi dei clan
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L’intervallo inevitabilmente ricorda i tempi della scuola, quando al suono della campanella si scattava dai banchi per raggiungere il cortile dove si finiva per schiamazzare, mangiare e respirare, ricordo che ci facevano aprire le finestre per cambiare l’aria. Era libertà. Nel film di Di Costanzo, l’intervallo è di prigionia si, ma solo fisica. Salvatore e Veronica sono due adolescenti cresciuti forse troppo in fretta. Il primo, che si guadagna qualche soldo aiutando il padre nella vendita di granite, è stato obbligato a fare da carceriere a Veronica, una coetanea, all’interno di un ospedale fatiscente nella periferia di Napoli. Adolescenti all’apparenza molto diversi, sono costretti a non ignorarsi( come forse accadrebbe tra i corridoi della loro scuola) e a guardarsi negli occhi per vedere dentro loro stessi e capire di condividere qualcosa di più di quelle quattro mura.
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L’intervallo inevitabilmente ricorda i tempi della scuola, quando al suono della campanella si scattava dai banchi per raggiungere il cortile dove si finiva per schiamazzare, mangiare e respirare, ricordo che ci facevano aprire le finestre per cambiare l’aria. Era libertà. Nel film di Di Costanzo, l’intervallo è di prigionia si, ma solo fisica. Salvatore e Veronica sono due adolescenti cresciuti forse troppo in fretta. Il primo, che si guadagna qualche soldo aiutando il padre nella vendita di granite, è stato obbligato a fare da carceriere a Veronica, una coetanea, all’interno di un ospedale fatiscente nella periferia di Napoli. Adolescenti all’apparenza molto diversi, sono costretti a non ignorarsi( come forse accadrebbe tra i corridoi della loro scuola) e a guardarsi negli occhi per vedere dentro loro stessi e capire di condividere qualcosa di più di quelle quattro mura. Una vita vissuta su uno stesso sfondo nero che impedisce di essere riconosciuti, perché su uno sfondo nero non si può risaltare e si finisce per essere tutti uguali. Illuminanti diventano allora quelle battute iniziali pronunciate dalla ragazza sulla difficoltà di discernere gli uccelli dal suono del loro canto. Come a dire che il suo canto d’amore è stato confuso con uno di guerra. Ma in mezzo ad uccelli che cantano canti di sfida, l’uccello che canta l’amore riesce a farsi sentire, soccombe o impara a cantare canti di sfida?Questo sembra chiedersi il regista, che con grande originalità tratta il tema della camorra vista e vissuta dal basso, da giovani che immersi in quel fango ci devono vivere ogni giorno. Film di alto contenuto ma di non facile fruizione.
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omero sala
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mercoledì 26 settembre 2012
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tutto a posto
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Salvatore - un impacciato diciassettenne napoletano venditore ambulante di granite - viene costretto da un guappo di periferia, per un giorno, a far da carceriere a Veronica, una quindicenne che, trasgredendo le regole non scritte della malavita, si è messa con un ragazzo appartenente ad una banda rivale.
Per qualche ora Veronica e Salvatore - sequestrati costretti alla forzata convivenza nella vasta area degradata di un manicomio abbandonato - reggono il ruolo dei ruvidi antagonisti fingendosi quegli adulti che non sono: lui scimiotta con goffaggine i modi bruschi del camorrista; lei esibisce la sicurezza della femmina navigata.
Ma il lolitismo esibito da Veronica non è che la corazza dentro cui è costretta a blindarsi e difendersi una bambina indifesa sognatrice.
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Salvatore - un impacciato diciassettenne napoletano venditore ambulante di granite - viene costretto da un guappo di periferia, per un giorno, a far da carceriere a Veronica, una quindicenne che, trasgredendo le regole non scritte della malavita, si è messa con un ragazzo appartenente ad una banda rivale.
Per qualche ora Veronica e Salvatore - sequestrati costretti alla forzata convivenza nella vasta area degradata di un manicomio abbandonato - reggono il ruolo dei ruvidi antagonisti fingendosi quegli adulti che non sono: lui scimiotta con goffaggine i modi bruschi del camorrista; lei esibisce la sicurezza della femmina navigata.
Ma il lolitismo esibito da Veronica non è che la corazza dentro cui è costretta a blindarsi e difendersi una bambina indifesa sognatrice. E la poco convincente sicumera di Salvatore rivela presto l’imbarazzo profondo del buon ragazzo che - disorientato dalla incomprensibile prepotenza che lo circonda - si sente sfasato e fuori posto (e per questo bofonchia continuamente “Tutto a posto”, ripetendo il mantra a se stesso, alla ragazzina, al padre, allo scagnozzo e al boss).
La loro iniziale rancorosa ostilità si tramuta in curiosità e poi in solidale condivisione del disagio, in timidi tentativi di confidenza. Forzati e adulti per forza si abbandonano gradualmente ai loro bisogni di infanzia negata e sognante e al desiderio di essere altrove.
L’avvicinamento è lento, fatto di gesti parsimoniosi, di silenzi eloquenti, di frasi smozzicate e dialoghi rarefatti, di fissità e sguardi furtivi, di annusate circospette, di incessanti giochi al rimpiattino che li porta a nascondersi per cercarsi, a perdersi e trovarsi, ad allontanarsi ed avvicinarsi in continue fughe e ritorni, intimità rifiutate e cercate. E la diffidenza diventa coesione, condivisione, compassione, complicità, simpatia.
Che li unisce non è la sindrome di Stoccolma che imbriglia patologicamente la vittima al carnefice e neppure lo sbocciare di una ingenua attrazione adolescenziale, ma la consapevolezza condivisa di trovarsi in una situazione assurda ed inaccettabile (che richiama la condizione esistenziale, altrettanto inaccettabile ed assurda), la non rassegnata coscienza di vittime incolpevoli, la kafkiana attesa di una sentenza comunque ingiusta, l’istinto di solidarietà che lega gli oppressi.
Il luogo chiuso, immenso ed immensamente desolato, non comprime ma alimenta la loro voglia di evasione ed il loro sogno di libertà: l’area degradata diventa foresta in cui perdersi ascoltando il canto degli uccelli (che da lì non fuggono), le fogne sono un mare da attraversare (su una barca scassata) per raggiungere un’isola incantata, i sotterranei pieni di topi si trasformano in caverne da esplorare in cerca del tesoro, i tetti sono cime da scalare per contemplare gli orizzonti. Napoli è lì, coi suoi palazzoni orrendi a far da quinta immobile, col suo traffico caotico lontano e silenzioso, con gli alti edifici del centro direzionale irreali nelle loro nitide geometrie.
Il finale pare rinunciatario: alla fine , tutto torna “a posto”. Il breve canto dolce che si alza da questa storia, di sfida o d’amore, è un canto interrotto. Ma Salvatore è certo che la cagna che accudisce la sua cucciolata nei sotterranei tanfosi del manicomio, così come è entrata, troverà la strada per uscire.
Nel cielo rombano gli aerei che puntano dritti verso paesi lontani.
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