boyracer
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martedì 31 maggio 2011
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il "solito" francese.
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Il cinema francese è sempre un'incognita. Accanto a grandi maestri universalmente riconosciuti,
specialmente nel passato (Jean-Luc Godard, François Truffaut, Claude Chabrol, Eric Rohmer...), si sono più recentemente affiancati altri registi che potremmo definire più "popolari", i quali hanno forse leggermente abbassato il livello artistico ma decisamente aumentato gli introiti in tutto il mondo (Luc Besson, Patrice Leconte, Jean-Pierre Jeunet, Mathieu Kassovitz...).
Ma in molti di loro è spesso sempre presente un'accezione prettamente francese, una sorta di stile comune, che sinceramente risulta poco digeribile allo spettatore italiano.
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Il cinema francese è sempre un'incognita. Accanto a grandi maestri universalmente riconosciuti,
specialmente nel passato (Jean-Luc Godard, François Truffaut, Claude Chabrol, Eric Rohmer...), si sono più recentemente affiancati altri registi che potremmo definire più "popolari", i quali hanno forse leggermente abbassato il livello artistico ma decisamente aumentato gli introiti in tutto il mondo (Luc Besson, Patrice Leconte, Jean-Pierre Jeunet, Mathieu Kassovitz...).
Ma in molti di loro è spesso sempre presente un'accezione prettamente francese, una sorta di stile comune, che sinceramente risulta poco digeribile allo spettatore italiano.
I film introspettivi, infatti, portano sempre con se dialoghi faticosi e un po' logorroici, narrazioni poco avvincenti e un po' piatte, interpretazioni rigorose al limite del mono tono, fotografie e scenografie molto "naturali" che risultano spesso opprimenti per quanto sono squallide e depressive.
E' vero che il genere richiede quello, ma lo stesso genere girato in Italia, per esempio, quando ovviamente a girarlo sono i nostri migliori registi, acquista un respiro più poetico e "movimentato", pur affrontando storie di disperazione e di disagio sociale/psicologico.
Per i film di altro genere, che strizzano l'occhio ai blockbuster americani, resta comunque quel senso di incompiuto o di maldestro che non permette un sincero apprezzamento dell'opera.
In questo ambito i fratelli Dardenne sono gli eredi naturali dei registi del primo gruppo citato (in particolare Rohmer e Chabrol), ed evidenziano esattamente gli stessi loro pregi e difetti.
Rigore stilistico, narrativo e interpretativo, sono un pregio fino a quando non diventano manierismo e freddezza (o addirittura monotonia), perchè comunque lo scopo del cinema, dell'arte in generale, è emozionare e stimolare chi ne fruisce.
Il "ragazzo volutamente e freddamente abbandonato dal padre" (della madre non si sa nulla) può essere certamente un tema forte degno di essere rappresentato con toni dimessi e malinconici, ma un'intera comunità di contorno che non sorride mai (mai!) e un adolescente "difficile" che in pochi giorni diventa con disarmante naturalezza un "criminale" convinto (e solo perchè gli viene chiesto dall'ultimo venuto), sono due pilastri del film minati alla base, e, insieme a tutti gli altri aspetti stridenti, fanno crollare la base stessa del film, che dovrebbe essere la verosimiglianza di una comune ma intensa storia di disagio sociale.
Jean Pierre Junet (Delicatessen, Il favoloso Mondo di Amelie) è tutta un'altra storia, esattamente agli antipodi.
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writer58
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domenica 29 maggio 2011
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così così...
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Questo film dei fratelli Dardenne mi ha lasciato un po' perplesso: da un lato mi è parso un esercizio filmico corretto e sobrio, raccontato con uno stile formalmente corretto; dall'altro, però, non ho potuto non rilevare numerose incongruenze che rendono la pellicola poco convincente da un punto di vista narrativo. Cyril, preadolescente belga di 12 anni, abbandonato dal padre (un deficiente anafettivo che lo scarica in un istituto e scompare di casa, dopo aver venduto la bicicletta del figlio), è intrattabile e ingestibile: scappa dall' istituto in cui è stato confinato, va alla ricerca del padre, non accetta l'idea di essere stato lasciato senza alcuna spiegazione, interroga tutte le persone che hanno incontrato il padre per sapere dove sia la sua nuova casa.
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Questo film dei fratelli Dardenne mi ha lasciato un po' perplesso: da un lato mi è parso un esercizio filmico corretto e sobrio, raccontato con uno stile formalmente corretto; dall'altro, però, non ho potuto non rilevare numerose incongruenze che rendono la pellicola poco convincente da un punto di vista narrativo. Cyril, preadolescente belga di 12 anni, abbandonato dal padre (un deficiente anafettivo che lo scarica in un istituto e scompare di casa, dopo aver venduto la bicicletta del figlio), è intrattabile e ingestibile: scappa dall' istituto in cui è stato confinato, va alla ricerca del padre, non accetta l'idea di essere stato lasciato senza alcuna spiegazione, interroga tutte le persone che hanno incontrato il padre per sapere dove sia la sua nuova casa. Nel suo peregrinare scomposto, incontra una donna - Samantha- che si interessa a lui: gli ricompra la bicicletta, lo ospita nei fine settimana, rinuncia persino al rapporto col fidanzato per stare con il ragazzo, viene ferita al braccio da Cyril mentre tenta di impedirgli di uscire di casa per commettere una rapina e, alla fine, diventa la sua tutrice full time. Ora, dal punto di vista della verosimiglianza narrativa, sorge spontanea la domanda: "ma chi (o cosa) glielo fa fare?". Certo,la figura di Samantha appare come l'opposto di quella del padre, ma entrambe sembrano troppo manichee, troppo esibite nella loro caratterizzazione, quasi il film volesse sviluppare una tesi basata sul conflitto tra rifiuto egoistico e amore incondizionato.
Un altro punto poco convincente è rappresentato dall'incontro tra Cyril e una banda di teppisti-spacciatori minorenni: troppo rapida la sua adesione ai progetti criminali, poco verosimile la dinamica della rapina ai danni di due persone a colpi di mazza, francamente incredibile il riscatto di Cyril che chiede scusa agli aggrediti, viene multato di 1.700 euro (!) - poi dicono che la giustizia italiana è troppo lassista- che verranno pagati da Samantha e si avvia a una convivenza più o meno felice con la sua neo mamma.
Anche se i Dardenne hanno voluto rappresentare una vicenda di infanzia incompresa e rifiutata, quasi un apologo sulla distruzione causata dall'indifferenza e sul potere salvifico dell'amore, mi pare che lo sviluppo della storia contraddica il registro narrativo prescelto. La narrazione è realistica nello stile, ma poco credibile nei fatti che racconta.
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algernon
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domenica 29 maggio 2011
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il ragazzo e la parrucchiera
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come altre volte i Dardenne mettono in scena una storia di disagio infantile. questa volta è un ragazzino dodicenne, Cyril, abbandonato dal padre in un istituto e ostinatamente rifiutato per l'incapacità dello stesso di svolgere il suo ruolo paterno. viene in soccorso Samantha, una donna dolce e forte, che accetta di prenderlo con sé nei fine settimana. arduo si rivela il tentativo di recuperarlo ad una vita familiare e sociale sana, il ragazzo è scontroso e fragile, scappa per cercare il padre, si fa abbindolare da una piccola banda di ragazzi devianti, dal cui capo rimane affascinato, fino al punto di rendersi colpevole egli stesso di comportamenti criminali e violenti. sono la costanza e l'affetto di Samantha a riuscire infine.
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come altre volte i Dardenne mettono in scena una storia di disagio infantile. questa volta è un ragazzino dodicenne, Cyril, abbandonato dal padre in un istituto e ostinatamente rifiutato per l'incapacità dello stesso di svolgere il suo ruolo paterno. viene in soccorso Samantha, una donna dolce e forte, che accetta di prenderlo con sé nei fine settimana. arduo si rivela il tentativo di recuperarlo ad una vita familiare e sociale sana, il ragazzo è scontroso e fragile, scappa per cercare il padre, si fa abbindolare da una piccola banda di ragazzi devianti, dal cui capo rimane affascinato, fino al punto di rendersi colpevole egli stesso di comportamenti criminali e violenti. sono la costanza e l'affetto di Samantha a riuscire infine. film inquietante, nonostante il lieto fine, ottimamente diretto e interpretato. da vedere
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[+] 5/6
(di epidemic)
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silvana14
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domenica 29 maggio 2011
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fratelli dardenne sempre grandi
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I fratelli Dardenne come al solito non si smentiscono trattando temi sempre diversi ma con una sensibilità eccezionale, come gli altri films anche questo non è assolutamente da perdere
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flyanto
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giovedì 26 maggio 2011
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mio commento personale
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Film sull'adolescenza inquieta e ribelle di un ragazzino il cui unico punto fermo e sicuro è costituito dalla sua bicicletta. Delicato e, contrariamente ai loro films precedenti, il film contiene una speranza positiva. Può richiamare anche molti films sull'infanzia di Francois Truffaut, senza raggiungerne però, a mio parere, la sua immensa e profonda poesia.
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renato volpone
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martedì 24 maggio 2011
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la sofferenza per il rifiuto
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Cyril viene rifiutato da un padre che lui reclama con tutte le sue forze, ma deve abbandonarsi all'evidenza e lottare contro il mondo per questa ingiustizia. Finisce per legarsi ad un deliquente e lasciarsi coinvolgere in un malaffare....ma il destino e la forza di volontà di una donna, che per aiutarlo sacrifica anche un amore e la sua vita, lo porteranno a riscattare le cattive azioni. Film intenso, grande recitazione....bellissimo...un pugno nello stomaco, ma grandi emozioni
[+] i fratelli dardenne e il cuore dei bambini
(di lucilla p.)
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angelo umana
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martedì 24 maggio 2011
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è caldo il tuo respiro
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Per un ragazzino è inconcepibile che suo papà non lo voglia più, è ciò che succede a Cyril, ospite di un collegio dove lo raccoglie come "famiglia di appoggio" l'ancora bella Cécile de France (Un pò per caso un pò per desiderio il suo film più bello, a mio parere, finora), la parrucchiera Samantha. Il papà di Cyril è il solito Jérémie Renier, solito perché è lo stesso che in L'enfant - sempre dei fratelli Dardenne - cerca di disfarsi di un "enfant", mostrandosi immaturo e enfant egli stesso.
Cyril sbatterà la testa tante volte contro il muro di questo rifiuto, per fortuna c'è Samantha che da famiglia d'appoggio passa ad essere famiglia stabile per lui che si rifugia nel caldo del suo respiro.
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Per un ragazzino è inconcepibile che suo papà non lo voglia più, è ciò che succede a Cyril, ospite di un collegio dove lo raccoglie come "famiglia di appoggio" l'ancora bella Cécile de France (Un pò per caso un pò per desiderio il suo film più bello, a mio parere, finora), la parrucchiera Samantha. Il papà di Cyril è il solito Jérémie Renier, solito perché è lo stesso che in L'enfant - sempre dei fratelli Dardenne - cerca di disfarsi di un "enfant", mostrandosi immaturo e enfant egli stesso.
Cyril sbatterà la testa tante volte contro il muro di questo rifiuto, per fortuna c'è Samantha che da famiglia d'appoggio passa ad essere famiglia stabile per lui che si rifugia nel caldo del suo respiro. E' un lieto fine come sempre per i Dardenne. Sembrano voler essere didattici per i ragazzi, il film vuole parlare a loro, metterli in guardia.
Il sapore che resta però è di registi sempre uguali a sé stessi, sa delle "palme mosce" di cui parla oggi Anna Maria Pasetti nel Fatto Quotidiano.
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goldy
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martedì 24 maggio 2011
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accorciamo il tiro
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I Dardenne si riconciliano un po' con le istituzioni del loro paese che nei film precedenti venivano asdditate a pubblico ludibrio. E il film, per una volta rincuora e non ha un finale scontato a dimostrazione che i problemi si riescono a risolvere. Basta volerlo.
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laulilla
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domenica 22 maggio 2011
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l'irresponsabilità dei padri
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La storia che i Dardenne questa volta ci raccontano è quasi una denuncia dell’ irresponsabilità dei padri, un ritorno, quindi, a quello stesso tema sul quale, in un film come L’enfant essi avevano iniziato a riflettere. Al centro del racconto, come sempre per i due registi, il mondo degli ultimi: sullo sfondo un istituto – riformatorio dove vive il piccolo Cyril, dodicenne solo e in cerca del padre. Di lui non sappiamo altro, perché nulla ci viene detto della madre; si accenna soltanto al fatto che la sistemazione del bambino è avvenuta al momento della morte della nonna paterna, quando a questo padre era parsa evidente l’impossibilità di occuparsi di lui. Si intuisce una storia di equivoche frequentazioni, di disoccupazione; una squallida vicenda di povertà priva di affetti e di prospettive, nella quale matura la decisione di abbandonare il piccolo all’assistenza pubblica.
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La storia che i Dardenne questa volta ci raccontano è quasi una denuncia dell’ irresponsabilità dei padri, un ritorno, quindi, a quello stesso tema sul quale, in un film come L’enfant essi avevano iniziato a riflettere. Al centro del racconto, come sempre per i due registi, il mondo degli ultimi: sullo sfondo un istituto – riformatorio dove vive il piccolo Cyril, dodicenne solo e in cerca del padre. Di lui non sappiamo altro, perché nulla ci viene detto della madre; si accenna soltanto al fatto che la sistemazione del bambino è avvenuta al momento della morte della nonna paterna, quando a questo padre era parsa evidente l’impossibilità di occuparsi di lui. Si intuisce una storia di equivoche frequentazioni, di disoccupazione; una squallida vicenda di povertà priva di affetti e di prospettive, nella quale matura la decisione di abbandonare il piccolo all’assistenza pubblica. Cyril, che ama incondizionatamente il dissennato genitore, mobilita tutte le sue energie per rintracciarlo, cosa non facile, avendo quest’ultimo cambiato l’indirizzo, il numero di telefono, il lavoro. A questo scopo, Cyril fugge continuamente dal collegio che lo ospita, viene regolarmente riacciuffato, finché si aggrapperà, letteralmente, in un ultimo disperato tentativo, al braccio di una signora, Samantha, che, per fortuna sua, è disposta ad accoglierlo e ad ascoltarlo. Il percorso di maturazione del piccolo è tuttavia molto doloroso e accidentato, poiché costituisce un rovesciamento del normale rifiuto che i figli adolescenti hanno nei confronti dei loro genitori. Quel padre irresponsabile,infatti, continua a vivere a lungo, nell’immaginazione di Cyril, come uomo da difendere e giustificare. Solo dopo vicissitudini gravissime e strazianti, il ragazzo accetterà consapevolmente l’abbandono paterno e la prospettiva di una vita diversa e forse più serena, grazie alla calda accoglienza di una madre elettiva, disposta a tollerare la sua rabbia e le sue intemperanze. La narrazione dei Dardenne è durissima nella descrizione asciutta dell’aridità che circonda il mondo di Cyril quando vanamente ricerca quell’amore che, secondo la sua fantasia, dovrebbe pur esistere nel padre, o nella rappresentazione di quei comportamenti violenti e aggressivi dei ragazzi che, rubandogli la bicicletta, lo attirano nella trappola della reazione rabbiosa, facendone un “pittbull”, cane feroce agli ordini di un non disinteressato padrone, che gli offre l’illusorio rifugio di un bosco, la selva oscura, nella quale egli rischierà davvero di perdersi. I tratti del paesaggio, però, si fanno talvolta più luminosi, grazie alla presenza della donna che ha deciso di salvarlo per farne quel figlio che le manca e per il quale, da madre vera, è disposta a lottare. L’inizio del secondo movimento dell’Empereur beethoveniano accompagna molto opportunamente i momenti in cui la rabbia di Cyril pare sul punto di placarsi, creando quella giusta attesa dello scioglimento finale, dopo il quale soltanto, l’adagio si completerà. Un bellissimo film, molto ben diretto e splendidamente interpretato.
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(di angelo umana)
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pepito1948
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giovedì 19 maggio 2011
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padre e figli
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Di Cyril, ragazzino dal carattere ribelle e pervaso da irrefrenabile furore, si sa molto poco: che è di madre ignota (nel film non viene mai citata); che ha un padre affettivamente lontano e non disponibile nei suoi confronti; che è alla ricerca spasmodica di un rapporto con detto padre; che vive in simbiosi con la sua bicicletta, più volte sottrattagli e sempre in qualche modo ritrovata; che non accetta una sistemazione in un Istituto formativo; che incontra casualmente una donna che, per qualche motivo, accetta di prendersi cura di lui. Il back ground di questa situazione di partenza non è noto, e volutamente i fratelli Dardenne vi soprassiedono per concentrarsi sul doppio percorso del ragazzo verso un padre immaturo ed arido ai limiti della scelleratezza, povero di mezzi, che rifiuta la relazione con il figlio in quanto incompatibile con le proprie scarse speranze di autorealizzazione, e verso una donna che viceversa, pur non avendo alcun legame, vorrebbe accostarsi a lui offrendo ospitalità ed affetto ed addirittura la rinuncia al proprio compagno, e da lui è inizialmente respinta come sgradita intrusa ed elemento di distrazione dall’unico obiettivo della sua vita (la conquista del padre).
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Di Cyril, ragazzino dal carattere ribelle e pervaso da irrefrenabile furore, si sa molto poco: che è di madre ignota (nel film non viene mai citata); che ha un padre affettivamente lontano e non disponibile nei suoi confronti; che è alla ricerca spasmodica di un rapporto con detto padre; che vive in simbiosi con la sua bicicletta, più volte sottrattagli e sempre in qualche modo ritrovata; che non accetta una sistemazione in un Istituto formativo; che incontra casualmente una donna che, per qualche motivo, accetta di prendersi cura di lui. Il back ground di questa situazione di partenza non è noto, e volutamente i fratelli Dardenne vi soprassiedono per concentrarsi sul doppio percorso del ragazzo verso un padre immaturo ed arido ai limiti della scelleratezza, povero di mezzi, che rifiuta la relazione con il figlio in quanto incompatibile con le proprie scarse speranze di autorealizzazione, e verso una donna che viceversa, pur non avendo alcun legame, vorrebbe accostarsi a lui offrendo ospitalità ed affetto ed addirittura la rinuncia al proprio compagno, e da lui è inizialmente respinta come sgradita intrusa ed elemento di distrazione dall’unico obiettivo della sua vita (la conquista del padre). Cyril usa la sua bicicletta, sua inseparabile appendice, come mezzo di trasporto che gli consente di andare ovunque lo spinga la incontenibile rabbia, come legame psicologico con il padre (che pure se ne è disfatto per soldi), come sfogo dell’accumulo di frustrazioni ed infelicità che può liberamente scaricare sui pedali, come strumento di seduzione e di esibizionismo delle sue virtù equilibristiche. Il cammino di riscatto e di maturazione sarà lungo, pieno di insidie, prove più grandi di lui, violenze fisiche e mentali, ma alla fine le conseguenze degli errori compiuti e di un vissuto così traumatico lo metteranno in condizione di scegliere al meglio tra un obiettivo impossibile e l’offerta generosa (anche in termini economici) e sincera di un’accoglienza materna piena di attenzioni e d’amore.
Il cinema dei Dardenne non è nuovo alle tematiche che vertono sull’infanzia difficile e sulla problematicità del rapporto genitori-figli (si pensi al penultimo film, L’Enfant), oltre che sui difetti di una società ben poco attenta alla fragilità di chi ha bisogno della solidarietà o comunque dell’aiuto altrui. Nello sviluppo del racconto emergono la delusione dell’adolescente abbandonato, il fallimento e la fuga dalle responsabilità di un padre snaturato, la violenza di chi sfrutta la minorità psicologica di un ragazzo senza orientamento per coinvolgerlo in eventi scellerati, l’opportunismo cinico perfino delle vittime dei suoi sbagli, apparentemente pronte al perdono L’unica deroga a tale scialbo panorama sociale è rappresentata dalla donna protagonista, bella fisicamente ed interiormente, che si propone senza alcun altro interesse che non sia la spontanea disponibilità a dare affetto e sostegno a chi se ne dimostra bisognoso anche se non sempre meritevole.
Il cinema dei Dardenne si attiene alla scelta di un realismo sociale fatto di storie di quotidiana difficoltà, che richiama per alcuni versi certo verismo a tinte forti dei Cohen e quello crudo e violento di Loach, anch’essi inclini ad opere di decisa denuncia politica o sociale; ma il loro stile è asciutto, apparentemente diretto a nascondere sotto un velo di “normalità” vissuti e situazioni fortemente problematiche, attento a non colpire al cuore lo spettatore; non ci sono immagini scioccanti, il dialogo è piano e privo di battute memorabili, e tale insieme insinua i germi di una riflessione lenta, quasi ad effetto ritardato. La visione di Non è un Paese per vecchi o di Il vento che accarezza l’erba induce ad un accumulo di emozioni che non è facile smaltire in poche ore. Il (o i) film dei fratelli belgi bypassano la pancia e fanno pensare, ripercorrere i tasselli del racconto con un certo distacco, anche se talune soluzioni sceniche sono davvero interessanti, come la cupa e fredda materialità della cucina in cui sono ambientati i pochi incontri tra padre e figlio, che rispecchiano bene l’aridità senza calore e senza sentimenti del primo. Qualcuno ha rimarcato un presunto taglio favolistico del film, dove il giovane Pinocchio, sprovveduto e incline all’errore ed alla trasgressività, è vittima di figuri senza scrupolo, e viene salvato dal provvidenziale intervento della mamma-fatina, da cui è condotto finalmente sulla retta via. Ma non mi sembra una lettura appropriata, vista il forte e realistico riferimento degli autori ad un modello sociale specifico che mal si presta ad uno schema interpretativo di tale genere. Da vedere, ma non appassionante.
CLAUDIO
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(di angelo umana)
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(di rudy_50)
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