lars_42
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martedì 11 ottobre 2011
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dolce e amaro
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Un film davvero toccante, la scelta del cast è molto azzeccata e la regia regala dei magnifici scorci della Danimarca.
Forse la trama risulta un po' lineare, ma il film rimane comunque ben fatto e con un'attenzione minuziosa alla psicologia dei personaggi e ai dialoghi.
Ne consiglio assolutamente la visione, anche se forse è meglio tenere a portata di mano qualche fazzoletto per i momenti più drammatici ;)
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simon
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lunedì 26 settembre 2011
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odio, violenza e...perdono
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la sensibilità di un ragazzo ferito, non solo nel fisico, dai bulli della scuola, incontra la fredda e determinata voglia di vendetta di un suo nuovo compagno, che ancora non è riuscito ad elaborare il lutto per la perdita della madre. Sembra l'inizio di un film con finale inevitabilmente tragico, ed invece alla fine tutto si risolve e trionfa il perdono.
Ma se il finale fosse stato diverso, avrebbe tolto bellezza, fascino, cruda verità a questo film magnifico, spettacolare e sorprendentemente vero?
Per una volta accettiamo un finale forse un pò deludente ma ricco di semplicità e spontaneità, perchè tutti, nel corso della storia siamo i genitori di Christian ed Elias, con loro soffriamo e ci desperiamo per la vita ed il futuro dei nostri figli, preoccupati di non riuscire a comprenderli; tutti siamo ottimi professionisti, allegri e attenti, coscienziosi e scrupolosi nel nostro lavoro, ma dobbiamo scontrarci con una quotidianità familiare che ci fa soffrire e ci dilania l'anima.
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la sensibilità di un ragazzo ferito, non solo nel fisico, dai bulli della scuola, incontra la fredda e determinata voglia di vendetta di un suo nuovo compagno, che ancora non è riuscito ad elaborare il lutto per la perdita della madre. Sembra l'inizio di un film con finale inevitabilmente tragico, ed invece alla fine tutto si risolve e trionfa il perdono.
Ma se il finale fosse stato diverso, avrebbe tolto bellezza, fascino, cruda verità a questo film magnifico, spettacolare e sorprendentemente vero?
Per una volta accettiamo un finale forse un pò deludente ma ricco di semplicità e spontaneità, perchè tutti, nel corso della storia siamo i genitori di Christian ed Elias, con loro soffriamo e ci desperiamo per la vita ed il futuro dei nostri figli, preoccupati di non riuscire a comprenderli; tutti siamo ottimi professionisti, allegri e attenti, coscienziosi e scrupolosi nel nostro lavoro, ma dobbiamo scontrarci con una quotidianità familiare che ci fa soffrire e ci dilania l'anima.
Ottimi gli interpreti, splendida la regia, consentitemi di dire che solo la sensibilità di una donna poteva rendere così speciale un racconto normalissimo.
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ultimoboyscout
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giovedì 8 settembre 2011
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capolavoro o boiata?
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Probabilmente ne l'uno ne l'altro alla fine. Appena finito di vederlo avrei detto boiata, anzi per dirla alla maniera del ragioniere più famoso e sfigato d'Italia avrei trionfalmente sentenziato "In un mondo migliore è un acagata pazzesca!". Poi però per una volta ci ho riflettuto (l'ho visto parecchi giorni fa ormai) e se un film fa riflettere qualcosa da dire ce l'avrà e devo dire che tutto sommato non è così malvagio come l'avevo inizialmente giudicato a caldo. Ha vinto l'Oscar nel 2011 come miglior film straniero quindi è innegabile che qualcosa di buono ci sia, lo spessore e lo stile con cui la regista confeziona la pellicola sono innegabili nonostante passaggi fin troppo schematici che non lascino passare e trasparire emozioni che invece dovrebbero essere forti in film viscerali come questo.
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Probabilmente ne l'uno ne l'altro alla fine. Appena finito di vederlo avrei detto boiata, anzi per dirla alla maniera del ragioniere più famoso e sfigato d'Italia avrei trionfalmente sentenziato "In un mondo migliore è un acagata pazzesca!". Poi però per una volta ci ho riflettuto (l'ho visto parecchi giorni fa ormai) e se un film fa riflettere qualcosa da dire ce l'avrà e devo dire che tutto sommato non è così malvagio come l'avevo inizialmente giudicato a caldo. Ha vinto l'Oscar nel 2011 come miglior film straniero quindi è innegabile che qualcosa di buono ci sia, lo spessore e lo stile con cui la regista confeziona la pellicola sono innegabili nonostante passaggi fin troppo schematici che non lascino passare e trasparire emozioni che invece dovrebbero essere forti in film viscerali come questo. Forte come la tensione morale e una violenza di fondo esplicitata in maniera poco classica ma spaventosamente presente. la Bier non usa mezzi termini e la sottigliezza non è il suo forte, scadendo a volte in una retorica a grana grossa che da alla storia un'andatura meccanica ma sempre sicura e ben scandita. Quello che è certo è che Susanne Bier "studia" ciò che tratta perchè è lampante che conosce ciò che tratta. Molto intensa la recitazione di Persbrandt, meno quella degli altri attori, tutti piuttosto piatti e gelidi. Interessante il parallelo Africa-Danimarca: in un certo senso la violenza è ormai entrata a far parte in pianta stabile del nostro mondo e si presenta sotto forma di un dittatore nero armato con banda al seguito o di un ragazzino che non ha digerito il dramma dell perdita prematura della madre. E per affrontare tali forme di violenza il medico Anton cerca di non cedere mai di fornte all'orrore che essa genera, lui che vive in due situazioni agli antipodi ma analoghe. In Africa affronta la morte nella sua disastrata missione, in Danimarca affronta la vita nella sua disastrata situazione familiare. Il finale è pessimo perchè fondamentalmente non c'entra nulla.
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valeriana
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lunedì 22 agosto 2011
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c'è un limite alla violenza? il perdono, non sempr
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Quale il limite alla violenza? Il perdono, anche se talvolta bisogna che le cose vadano come...vogliono andare. Scena fondamentale nel campo africano! L'istinto della violenza è connaturato agli esseri viventi se non altro per la propria conservazione. A che cosa serve la "civiltà"? A regolarlo, ma non sempre ci riesce. E non basta il buon esempio del comportamento dei genitori per educare i figli alla comprensione degli altri, specie se gli altri si comportano da vioenti senza scusanti.
Questo in sintesi il senso del racconto cinematograficamente perfetto per svolgimento, scelta del casting, recitazione, montaggio veloce, ma chiarissimo. Il finale è forse un po' troppo buonista, ma apprezzo i registi che offrono un respiro di sollievo alla nostra speranza.
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Quale il limite alla violenza? Il perdono, anche se talvolta bisogna che le cose vadano come...vogliono andare. Scena fondamentale nel campo africano! L'istinto della violenza è connaturato agli esseri viventi se non altro per la propria conservazione. A che cosa serve la "civiltà"? A regolarlo, ma non sempre ci riesce. E non basta il buon esempio del comportamento dei genitori per educare i figli alla comprensione degli altri, specie se gli altri si comportano da vioenti senza scusanti.
Questo in sintesi il senso del racconto cinematograficamente perfetto per svolgimento, scelta del casting, recitazione, montaggio veloce, ma chiarissimo. Il finale è forse un po' troppo buonista, ma apprezzo i registi che offrono un respiro di sollievo alla nostra speranza.
Valeriana
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frase
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giovedì 11 agosto 2011
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trascura il ruolo del linguaggio
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Lasciamo stare il cattivismo che pretende di essere migliore del buonismo.
Perché Mymovies ha messo in prima posizione questa recensione?
Comunque: a me è evidente che tutti i drammi descritti nel film derivano da usi diversi del linguaggio e dalla carica emotiva attribuita dalle persone a parole e a segni.
Una questione irrisolta nel film è che cosa accade al tizio dell'autofficina e alla sua famiglia.
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misesjunior
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sabato 9 luglio 2011
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"umano, troppo umano"
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Il film è buono finché si tratta di una ricerca, che in quanto tale va contro gli stereotipi buonisti del "politically correct". Il finale è un anestetico, per farci dimenticare che siamo dotati della facoltà del pensiero
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gabriella
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mercoledì 6 luglio 2011
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il meglio del cinema europeo
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Come sosteneva Anton Cechov "L'arte non tollera la menzogna, perchè l'unico servizio che uno scrittore ( e io aggiungo regista),può rendere all'uomo è aiutarlo ad aprire gli occhi sulla realtà, poichè l'uomo diventerà migliore quando gli avremo mostrato com'è".
Personalmente trovo che il film di Susanne Bier non potesse esprimere al meglio uno spaccato di quotidiana intolleranza molto diffusa dove le relazioni umane sono continuamente minacciate da un male sociale e da un'arrogante supremazia sull'altro, sempre e soltanto a descapito dei più deboli, i più indifesi.
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Come sosteneva Anton Cechov "L'arte non tollera la menzogna, perchè l'unico servizio che uno scrittore ( e io aggiungo regista),può rendere all'uomo è aiutarlo ad aprire gli occhi sulla realtà, poichè l'uomo diventerà migliore quando gli avremo mostrato com'è".
Personalmente trovo che il film di Susanne Bier non potesse esprimere al meglio uno spaccato di quotidiana intolleranza molto diffusa dove le relazioni umane sono continuamente minacciate da un male sociale e da un'arrogante supremazia sull'altro, sempre e soltanto a descapito dei più deboli, i più indifesi.
Così Cristhian ed Elias vengono catapultati in una realtà pesante, difficile da accettare, la morte della madre da parte del primo e la separazione dei genitori del secondo; emergono sentimenti forti, rabbia, dolore, solitudine, inadeguatezza, cui si aggiunge un mondo adulto lontano, superficiale ( vedi la scuola), e un contesto familare che si sta sgretolando. Sono due mondi contrapposti, quello dei grandi e quello dei ragazzi, ma non inconciliabili, anche se la "tolleranza" della violenza fisica sulla sua persona, subita senza reagire da parte del padre di Elias può apparire agli occhi del figlio e del suo amico come una debolezza cui sentono di dover riparare. Eppure lo spettatore sa bene quale compito difficile sia il lavoro di medico di Anton, il padre di Elias, in Africa, tutti i giorni alle prese con efferate violenze,
Francamente non condivido chi afferma sia un film buonista, la storia a lieto fine, e tutti vissero felici e contenti, ecc. ecc., trovo invece sia un film molto forte, molto duro e che la speranza di un mondo migliore appartenga agli uomini comuni, con problemi comuni, di ordinaria quotidianit, e non a gente straordinaria o ai supereroi.
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ipno74
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giovedì 16 giugno 2011
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con la calma non sempre si vince
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Fare una recensione a questo film non è facile in quanto gli argomenti sono diversi; dalla violenza usata per vendetta, alle corna, all'amicizia tra ragazzini, agli insegnati che dopo anni non capiscono come sono i ragazzi, insomma ce ne sono davvero tanti.
Comunque il film scorre bene, sin dall'inizio la drammaticità della violenza in africa si sente.
La regista mette un buon ritmo alla pellicola ed i tratti psicologici dei personaggi sono ben delineati.
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il ciadiano
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sabato 14 maggio 2011
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senza padri
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Colgo un aspetto non sottolineato dalle altre recensioni: il rapporto padre/figlio. Mi sembra che sia un tema importante trattato dalla regista, anzi il fondamentale. Il film ci fa comprendere che proprio dall'inadeguatezza di questo rapporto nasce la violenza. E' questo rapporto che riesce ad inserire quella "razionalità" capace di superare la vendetta, violenza contrapposta a violenza, ed arrivare ad un modo diverso di opposizione. L'incomunicabilità tra Christian e suo padre non gli permette di comprendere le conseguenze della sua vendetta e di trovare altre strade per opporsi alla violenza. Il rapporto tra Elias e suo padre, anche se a inadeguato e a distanza, è quello che salva la situazione e permette il finale "e tutti vissero felici e contenti".
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Colgo un aspetto non sottolineato dalle altre recensioni: il rapporto padre/figlio. Mi sembra che sia un tema importante trattato dalla regista, anzi il fondamentale. Il film ci fa comprendere che proprio dall'inadeguatezza di questo rapporto nasce la violenza. E' questo rapporto che riesce ad inserire quella "razionalità" capace di superare la vendetta, violenza contrapposta a violenza, ed arrivare ad un modo diverso di opposizione. L'incomunicabilità tra Christian e suo padre non gli permette di comprendere le conseguenze della sua vendetta e di trovare altre strade per opporsi alla violenza. Il rapporto tra Elias e suo padre, anche se a inadeguato e a distanza, è quello che salva la situazione e permette il finale "e tutti vissero felici e contenti". Mi sembra che sia un appello alla nostra società diriscoprire l'importanza del padre nella crescita dei figli e un appello ai padri di assumere fino in fondo questa responsabilità.
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luana
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sabato 23 aprile 2011
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buon film
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Film sicuramente ddascalico ma anche racconto agganciato a realtà verosimili. A mio parere la regista vuole comunicarci come la vita sia di fondo un problema morale e zeppo di assilli morali.In primo luogo se lamentiamo l'ingiustizia della vita, quando la giustizia è un concetto dell'uomo e non della vita, dove per esempio non si sceglie quando e come morire. Così la madre di Christian morta di cancro e diventata "cattiva e amara" durante la sua feroce malattia. Così suo figlio che non sopporta quello che vive come un sopruso e che determinato come un adulto, vede dovunque il concetto di colpa,antecedente se vogliamo del concetto di responsabilità, laddove gli viene mostrato trattarsi a volte di mera inconsapevolezza e stupidità.
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Film sicuramente ddascalico ma anche racconto agganciato a realtà verosimili. A mio parere la regista vuole comunicarci come la vita sia di fondo un problema morale e zeppo di assilli morali.In primo luogo se lamentiamo l'ingiustizia della vita, quando la giustizia è un concetto dell'uomo e non della vita, dove per esempio non si sceglie quando e come morire. Così la madre di Christian morta di cancro e diventata "cattiva e amara" durante la sua feroce malattia. Così suo figlio che non sopporta quello che vive come un sopruso e che determinato come un adulto, vede dovunque il concetto di colpa,antecedente se vogliamo del concetto di responsabilità, laddove gli viene mostrato trattarsi a volte di mera inconsapevolezza e stupidità. Ma complessi e labili rimangono i confini tra queste zone del'animo umano. Si apre qui la tematica della violenza tra gli uomini, ineliminabile perchè la malvagità esiste ed agisce (e l'estremo episodio africano è chiarissimo in tal senso) e diventa più o meno gestibile ricollegandosi comunque alla coscienza morale di ciascuno. Questo finale cosiddetto buonista francamente non l'ho visto. Il bambino poteva morire ma non è morto. Esiste anche una riappacificazione con la vita e la presa d'atto delle conseguenze delle proprie azione dettate dalle nostre credenze. Ci sarebbe ancora da dire come tutti i particolari in questo film siano sottili. Il rapporto tra i due ragazzini,al di là dei primi episodi bullismo,è all'insegna del dominato e del dominatore come dire che la nostra indole e carattere ci mettono in una posizione o nell'altra. Il ritmo lento del film dove a volte solo la musica scandisce lo spazio temporale non fa che allargare nella coscienza dei protagonisti e nella nostra, questi interrogativi e queste riflessioni. La Bier sottolinea infine la fondamentale innnocenza dei bambini con una coscienza non ancora formata e con bisogni affettivi molto profondi. Espressiva la carrelata finale sui gioiosi bambini africani nell'inferno della loro terra e il contrappunto della tenerezza che nelle famiglie europee finisce per esprimersi.Commovente.
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