stizzo
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venerdì 8 aprile 2011
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esempio eccellente del cinema europeo.
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Film biografico e introspettivo. La storia di due famiglie che vivono un dramma comune in un palcoscenico che si divide tra le praterie dell'Africa sahariana e il paesaggio sereno e misterioso dei fiordi scandinavi. Al centro di tutto questo due ragazzini molto particolari colpiti dai problemi familiari: la tragedia della perdita della madre e il divorzio. Quello che colpisce è la bravura degli attori che interpretano personaggi scomodi, drammatici e combattuti interiormente; quelli adulti(Thomsen e Persbrandt ad esempio già conosciuti al cinema europeo e internazionale) che quelli giovani(Rygaard e Nielsen). Attori con caratteristiche particolari e profonde che entusiasmano e commuovono in questo capolavoro del cinema danese.
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astromelia
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domenica 3 aprile 2011
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susanne bier
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...i suoi film sono carichi di pathos sociale,ogni pellicola è un film da archivio personale , da rivedere,scava con mano sapiente tra le pieghe di una società multietnica dove le tematiche esistenziali sono analizzate con precisione certosina,questo film ne è la conferma se ancora esistevano dubbi.......
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laulilla
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domenica 13 marzo 2011
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un mondo migliore è possibile?
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La regista Susanne Bier ha diretto un film molto interessante in cui molti temi si affiancano. Stando al titolo italiano (ma perché mai i titoli italiani dei film sono sempre così irritanti?) il tema centrale si direbbe essere la possibilità di un mondo all'insegna della solidarietà e della non violenza, per il quale è necessaria una profonda rigenerazione morale di ciascuno di noi, in vista di una convivenza civile e pacifica con tutti i popoli e con tutti gli individui (quella suggerita nelle ultime scene del film, forse). Il titolo originale, Hævnen, che nella nostra lingua si traduce con Vendetta, però, sembra aderire meglio al racconto e anche porre più di un interrogativo sulla reale possibilità che gli uomini diventino buoni.
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La regista Susanne Bier ha diretto un film molto interessante in cui molti temi si affiancano. Stando al titolo italiano (ma perché mai i titoli italiani dei film sono sempre così irritanti?) il tema centrale si direbbe essere la possibilità di un mondo all'insegna della solidarietà e della non violenza, per il quale è necessaria una profonda rigenerazione morale di ciascuno di noi, in vista di una convivenza civile e pacifica con tutti i popoli e con tutti gli individui (quella suggerita nelle ultime scene del film, forse). Il titolo originale, Hævnen, che nella nostra lingua si traduce con Vendetta, però, sembra aderire meglio al racconto e anche porre più di un interrogativo sulla reale possibilità che gli uomini diventino buoni. Che la vendetta e l'odio siano forieri di mali certi, è più volte detto nel film, soprattutto dai due personaggi adulti, Anton e Claus. Anton è un medico danese, impegnato in un villaggio africano, dove, in un ospedale nel deserto, presta la sua opera, cercando di alleviare le sofferenze dei malati e dei feriti che gli si presentano spesso dopo aver subito sulla loro pelle le conseguenze dell'odio di Bigman, feroce e ottuso guerriero, che si diverte a sventrare le donne incinte. In Danimarca Anton ha una moglie, che lo vuole lasciare, e un figlio, Elias, fragile adolescente, vittima silenziosa della violenza dei suoi compagni di scuola, che si prendono gioco della sua solitudine, umiliandolo sempre più. Claus è invece un professionista londinese. Egli, che ha un figlio adolescente, Christian, dopo la morte terribile della giovane moglie, stroncata da un tumore, si trasferisce in Danimarca presso l'accogliente villa di una parente che si offre di prendersi cura del piccolo orfano. Elias incontrerrà a scuola Christian, che nutre un sordo odio contro il padre (cui addossa la colpa di aver lasciato morire la madre), e contro tutte le ingiustizie: apprenderà da lui il modo di difendersi dall'aggressione dei compagni, grazie all'uso di un coltello, in seguito accuratamente celato. Al tema della violenza e della vendetta sembra dunque affiancarsi quello della solitudine dei giovani che maturano una loro concezione dei rapporti fra gli uomini, antitetica a quella civile e pacifica dei padri, impotenti a capire le tragedie quotidiane dei loro figli, e ad arginare l'inesorabile crescita del male nei loro cuori. La parte più convincente del film è questa, secondo me, poiché sia la descrizione del comportamento di Elias e Christian, sempre più lontani dal modello morale dei padri, sia la loro accettazione di una logica omertosa e feroce, che diventerà pericolosa per loro stessi, sono raccontate con incredibile durezza e impassibilità, senza retorica e senza cedimenti buonistici. E', invece, meno convincente il racconto del ravvedimento finale, che forse è gradito al pubblico, essendo facilmente autoassolutorio e consolatorio, ma che pare artificioso dopo la perfetta indagine sul radicarsi del male nei due ragazzi. La non violenza non ha, nel film, un grande appeal, forse neppure per Anton che pur sostenendola apertamente, non avrà il coraggio di opporsi al linciaggio di Bigman, quando questi si recherà all'ospedale per farsi curare una ferita purulenta e dolorosa. Il nodo non risolto del film è il problema del rapporto fra giustizia e vendetta: non pare dal racconto, infatti, che porgere l'altra guancia sia il modo efficace per affrontare la violenza altrui. Il tema del male e della difficoltà a vincerlo, assillo di molti registi di formazione luterana, è il vero centro del film: si trova ovunque, nessun uomo ne è immune, in Europa come nel resto del mondo, insidiando la nostra vita continuamente. Forse la regista ha messo in campo troppi temi che impediscono, per la loro rilevanza, di stabilire quale quello intorno al quale il film si dovrebbe sviluppare.
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(di angelo umana)
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angelialcinema
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domenica 13 marzo 2011
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se l'occidente è la vera africa
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Dalla Danimarca così civile, nordica, ma a volte anche intollerante e scorbutica arriva il film che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero lo scorso febbraio e dimostra ancora una volta come gli “stranieri” sappiano creare migliori storie di Hollywood, forse meno originali e meno al limite ma sicuramente più vicina alla realtà di tutti i giorni. C’è di tutto in questo film di Susanne Bier che dal suo maestro Lars Von Trier prende il senso crudo della realtà, l’incomprensione umana, l’ermetismo ma non la sfiducia ed il pessimismo. Tutto nasce dalla storia di due ragazzini, dalla difficoltà di crescere migliori in un mondo peggiore, dove neppure i grandi travolti da eventi personali, esperienze traumatiche riescono ad esserlo, anzi a volte preferiscono chiudere gli occhi, gettare la spugna e preferire pensare che il mondo va come deve andare.
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Dalla Danimarca così civile, nordica, ma a volte anche intollerante e scorbutica arriva il film che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero lo scorso febbraio e dimostra ancora una volta come gli “stranieri” sappiano creare migliori storie di Hollywood, forse meno originali e meno al limite ma sicuramente più vicina alla realtà di tutti i giorni. C’è di tutto in questo film di Susanne Bier che dal suo maestro Lars Von Trier prende il senso crudo della realtà, l’incomprensione umana, l’ermetismo ma non la sfiducia ed il pessimismo. Tutto nasce dalla storia di due ragazzini, dalla difficoltà di crescere migliori in un mondo peggiore, dove neppure i grandi travolti da eventi personali, esperienze traumatiche riescono ad esserlo, anzi a volte preferiscono chiudere gli occhi, gettare la spugna e preferire pensare che il mondo va come deve andare. E’ una lezione sulla cattiveria, l’arroganza, la legge del più forte che sta contagiando il nostro Occidente, sia fra i piccoli che fra gli adulti, anzi soprattutto fra questi e nella loro educazione superficiale ed opportunistica. C’è chi ha parlato di “eccesso di buonismo”, ma se leggete fra le righe Bier ci va giù pesante, dicendoci che tra poco non saremo così lontani da quell’Africa così arretrata e tribale. Concreto.
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pattie
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martedì 8 marzo 2011
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film duro
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Ben fatto.Offre molti spunti di riflessione.
Così, a caldo, direi che molte sono le cose che mi hanno colpito: prima fra tutte l fatto che il dottore, il più convinto pacifista e filantropo, quello che non aveva ceduto neppure davanti agli insulti e alle percosse di quel bruto, quello che accetta di curare il più feroce degli assassini, ha un cedimento quando a colpirlo sono le parole.
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Ben fatto.Offre molti spunti di riflessione.
Così, a caldo, direi che molte sono le cose che mi hanno colpito: prima fra tutte l fatto che il dottore, il più convinto pacifista e filantropo, quello che non aveva ceduto neppure davanti agli insulti e alle percosse di quel bruto, quello che accetta di curare il più feroce degli assassini, ha un cedimento quando a colpirlo sono le parole.
"Fica piccola coltello grande"...le parole sono importanti diceva Moretti, le parole sono pensieri che prendono vita, sono idee che acquistano sostanza, fanno più male delle armi, sono armi.
Seconda considerazione: tutta la vicenda scaturisce dalla fine di un rapporto amoroso. La morte della madre di Christian e la separazione dell'altra coppia. Il primo è una fine definitiva che non ammette repliche, che priva coloro che sopravvivano al lutto di tutto (presenza, contatto fisico, tutto); il secondo è meno drastico ma pur sempre doloroso e incomprensibile per il ragazzino.
Quando però ci si trova davanti alla paura di perdere la persona amata (quando brucia la città) tutti corrono tra le braccia di chi veramente amano. I genitori si ritrovano, Christian viene salvato da se stesso e riesce a ricongiungersi con il padre, riesce anche ad elaborare in modo più sereno e razionale la perdita della madre.
Mi lascia con l'amaro questo lieto fine perché mi ha fatto toccare con mano quanto sottile sia la separazione tra giusto e sbagliato, sano e malato, follia e sanità mentale.
L'Africa è poi il luogo dove tutto viene amplificato, dove questa violenza e il suo contrario convivono nella forma più esasperata...più lacerante.
Film duro!
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vipera gentile
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martedì 1 marzo 2011
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il bullismo, un male sociale.
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Mi è piaciuto molto perchè si sofferma su temi importanti come il bullismo e la guerra. Molto bella la figura del padre di uno di loro che è medico e trascorre lunghi periodi in Africa; la sua umanità non si limita a curare le ferite fisiche dei suoi pazienti, ma anche quelle psicologiche del figlio e del suo amico; soprattutto quest’ultimo sfoga la sua rabbia e la sua frustrazione con atti violenti e pericolosi. Lui cercherà di dimostrare ai ragazzi con coraggio quanto la violenza sia inutile e dannosa. Ma purtroppo solo un episodio gravissimo convincerà il ragazzo più difficile della verità delle sue parole.
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epiere
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sabato 19 febbraio 2011
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bel film ma un pò sopravvalutato
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La Bier ci sa fare:è capace di appassionarti anche per una storia non del tutto originale ,ma comunque non priva di qualche buono spunto,come la figura del padre che non esita a farsi prendere a schiaffi pur di tener fede alle sue convinzioni e di mostrare al figlio la forza della non violenza.Ottimi gli attori e buona vitalità di un cinema scandinavo non nuovo a prove convincenti
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lukemisonofattotuopadre
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sabato 12 febbraio 2011
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inquietante
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Il film finisce bene, dopo aver minacciato lo spettatore con un non specificato disastro, e quindi non può che lasciar sottinteso che di strada bisognerà farla, perché Stefan si lasci dietro tutto il suo dolore. C'è il sapore di pericolo scampato, ma sempre in agguato - altro che buonismo!
La regia propone delle scene molto valide, come quella piena di tensione, lenta e logorante, col buzzurro gretto e violento che prende a ceffoni il padre attivista in Darfur.
Sugli attori non c'è nulla da dire, e come spesso succede, sono i due ragazzini a trionfare, così antitetici: uno che non sorride mai, che sceglierà la violenza per l'odio che cova per tutto il mondo, e l'altro, che vuole riscattare suo padre ma soprattutto se stesso da una vita di insulti e prevaricazioni.
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Il film finisce bene, dopo aver minacciato lo spettatore con un non specificato disastro, e quindi non può che lasciar sottinteso che di strada bisognerà farla, perché Stefan si lasci dietro tutto il suo dolore. C'è il sapore di pericolo scampato, ma sempre in agguato - altro che buonismo!
La regia propone delle scene molto valide, come quella piena di tensione, lenta e logorante, col buzzurro gretto e violento che prende a ceffoni il padre attivista in Darfur.
Sugli attori non c'è nulla da dire, e come spesso succede, sono i due ragazzini a trionfare, così antitetici: uno che non sorride mai, che sceglierà la violenza per l'odio che cova per tutto il mondo, e l'altro, che vuole riscattare suo padre ma soprattutto se stesso da una vita di insulti e prevaricazioni. Sullo sfondo, la nostra società sempre più violenta e squallida. Fa riflettere
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writer58
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domenica 23 gennaio 2011
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impressioni...
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-Allora, ti è piaciuto?
- Un film bellissimo. E a te?
-Insomma, un buon film, ma non mi è parso straordinario
- Sembra che ci siamo scambiati i ruoli
- Vuoi dire che esco osannando tutti i film che ho visto? Non ti sembra, piuttosto, che il finale del film sia un po' consolatorio?
- Forse.. scusa, adesso devo pagare il parcheggio.
[dieci minuti dopo]
-Vorrei capire perché il film ti è piaciuto tanto.
-Il film parla della morte. Del modo in cui le persone si rapportano alla morte.Sia in Sudan, col medico che si trova a operare in una situazione di enorme difficoltà, che deve salvare donne sventrate da un assassino tribale, sia in Danimarca, dove uno dei ragazzi protagonisti -Christian- vive costantemente sfidando la morte, ne è quasi affascinato.
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-Allora, ti è piaciuto?
- Un film bellissimo. E a te?
-Insomma, un buon film, ma non mi è parso straordinario
- Sembra che ci siamo scambiati i ruoli
- Vuoi dire che esco osannando tutti i film che ho visto? Non ti sembra, piuttosto, che il finale del film sia un po' consolatorio?
- Forse.. scusa, adesso devo pagare il parcheggio.
[dieci minuti dopo]
-Vorrei capire perché il film ti è piaciuto tanto.
-Il film parla della morte. Del modo in cui le persone si rapportano alla morte.Sia in Sudan, col medico che si trova a operare in una situazione di enorme difficoltà, che deve salvare donne sventrate da un assassino tribale, sia in Danimarca, dove uno dei ragazzi protagonisti -Christian- vive costantemente sfidando la morte, ne è quasi affascinato. Hai presente la scena in cui pronuncia l'orazione funebre per la madre morta? E' freddo, distaccato, impeccabile. In realtà è furioso e non riesce a esprimere la sua rabbia, la sua sofferenza. Per questo sale in cima a quell''edificio altissimo e si avvicina al bordo senza protezioni, per questo confezione una bomba rudimentale e quasi uccide il suo amico.
-Interessante, però, viste le premesse, lo scioglimento mi sembra un po' troppo ottimista. Forse sarebbe stato meglio se il senso di vuoto, di mancanza di comunicazione che avvolge i protagonisti e la provincia Danese si fosse mantenuto fino al finale. Invece Christian si riconcilia con il padre e con la vita. I buoni sentimenti trionfano...
- Magari lui ha vissuto una specie di catarsi, era convinto che l'amico fosse morto nell'esplosione. Per questo stava per buttarsi dall'edificio e viene sottratto alla morte all'ulrimo momento. Forse vedere la propria morte come una realtà imminente lo ha liberato dai lacci che lo tenevano avvinto.
- Mah, può essere. A me in ogni caso non è parso un capolavoro. Un buon film a tesi, niente di più. Ci facciamo una birra prima di rientrare?
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