goldy
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giovedì 12 novembre 2009
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americani, suonate la carica per favore
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Basta fare un viaggio negli States per capire quanto l'Europa abbia sbagliato nell'assoggettarsi in tutto e per tutto all'egemonia americama. Ci hanno aiutato a liberarci dal nazismo, per carità ma perchè imitarli in tutto e per tutto quando la nostra democrazia (Europea) ha avuto a disposizione secoli per affermarsi. Abbiamo imitato il loro sistema televisivo devastante, hanno ancora la pena di morte, pagano tasse ben inferiori alle nostre ma poi che ritorno ne hanno visto che le scuole e le Università buone vanno pagate profumatamente e non hanno nessuna copertura sanitaria. Il potere ha usato tonnellate di denaro pubblico sostanxialmente per finanziare guerre devastanti. E finalmente la presunta superiorità del loro sistema finanziaro si è mostrato in tutta la sua brutalità e avidità.
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Basta fare un viaggio negli States per capire quanto l'Europa abbia sbagliato nell'assoggettarsi in tutto e per tutto all'egemonia americama. Ci hanno aiutato a liberarci dal nazismo, per carità ma perchè imitarli in tutto e per tutto quando la nostra democrazia (Europea) ha avuto a disposizione secoli per affermarsi. Abbiamo imitato il loro sistema televisivo devastante, hanno ancora la pena di morte, pagano tasse ben inferiori alle nostre ma poi che ritorno ne hanno visto che le scuole e le Università buone vanno pagate profumatamente e non hanno nessuna copertura sanitaria. Il potere ha usato tonnellate di denaro pubblico sostanxialmente per finanziare guerre devastanti. E finalmente la presunta superiorità del loro sistema finanziaro si è mostrato in tutta la sua brutalità e avidità. Il film di Moore è un capolavoro di capacità divulgativa e riesce a raggiungere anche il meno acculturato dei suoi cittadini, A noi sudditi, ai margini dell'impero non rimane che attendere che i nostri confratelli americani si evolvano, ma facciano in fretta per favore, sono loro che devono imparare da noi e non viceversa. E comunque grazie per aver scelto Obama, hanno imparato dal loro cinema che i niracoli a volte accdono.
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g. romagna
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lunedì 24 maggio 2010
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capitalism: a love story
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Il racconto dell'attuale tracollo capitalistico muove i suoi primi passi dalla deregolamentazione reaganiana. Sono i tempi della finanziarizzazione e dell'ascesa dei manager di Wall Street. Il sistema va avanti arricchendosi sulla pelle del cittadino, compiendo così un’escalation che si rivela, in breve tempo, sì letale, ma solo per chi non ne è colpevole. Largo così ad agghiaccianti esempi di società private di gestione di carceri minorili che arrivano a corrompere giudici pur di far arrestare il maggior numero possibile di bambini per intascare poi i rimborsi federali, o di aziende che stipulano polizze assicurative sulla morte dei propri dipendenti (a loro insaputa, ovviamente) per poi incassarne introiti milionari una volta che queste avvengono.
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Il racconto dell'attuale tracollo capitalistico muove i suoi primi passi dalla deregolamentazione reaganiana. Sono i tempi della finanziarizzazione e dell'ascesa dei manager di Wall Street. Il sistema va avanti arricchendosi sulla pelle del cittadino, compiendo così un’escalation che si rivela, in breve tempo, sì letale, ma solo per chi non ne è colpevole. Largo così ad agghiaccianti esempi di società private di gestione di carceri minorili che arrivano a corrompere giudici pur di far arrestare il maggior numero possibile di bambini per intascare poi i rimborsi federali, o di aziende che stipulano polizze assicurative sulla morte dei propri dipendenti (a loro insaputa, ovviamente) per poi incassarne introiti milionari una volta che queste avvengono. La compressione dei diritti della classe operaia trova tuttavia a far da contraltare la possibilità di usufruire di un mercato drogato dalla liquidità bancaria con cui occorre sostenere i consumi: si giunge allo scoppio della bolla dei subprime. Il loro funzionamento è quanto di più letale si possa immaginare: il possesso della casa viene portato ad essere percepito come un capitale di investimento del quale usufruire tramite continui rifinanziamenti del mutuo. Ciò non può che essere condotto ritoccando periodicamente verso l’alto i connessi tassi d’interesse. Tutto si rivela una gigantesca truffa nei confronti dei cittadini, circuìti ed abbindolati da cotanto marciume, e lo spropositato castello di carta crolla. Le banche cominciano a saltare come birilli. Si teme un nuovo ’29. Ecco però giungere dai meandri del ministero del tesoro il Piano Paulson, una vera e propria regalìa pubblica di 700 miliardi alle banche atti a rifinanziare il loro capitale senza che il governo pretenda una benché minima documentazione che ne identifichi il modo in cui sono stati spesi. Il popolo americano si mobilita e fa sì che il testo non venga approvato. Wall Street si mette in moto, e, segnando il momento di maggior divisione tra gli organi amministrativi del paese ed i suoi cittadini (nonchè tra democrazia e capitalismo), fa sì che nel giro di pochi giorni l’esito del voto sia ribaltato. Tutto si avvia a tornare come prima, sulle spoglie delle inermi vittime del sistema. Ma arriva Obama. Che un vento di reale cambiamento si profili? Ed è qui che, mi duole dirlo, Moore sbaglia: la sua visione del nuovo presidente appare infatti sin troppo edulcorata e speranzosa, come se la sua figura fosse (o perlomeno, mirante ad esserlo) indipendente dalle pressioni del capitale. Le apparenze potevano portare qualcuno in prima battuta a sperarlo (anche se resto convinto del contrario), ma, non occorreva poi così tanta lungimiranza per accorgersi che non era certo oro quel che luccicava, e che anche Obama era destinato a ridursi a mero simulacro capitalistico tramite il quale dare ad intendere di aver cambiato qualcosa affinché tutto restasse come prima. Anche il ricordo di Franklin D. Roosevelt appare un po' fuori luogo, allorquando si dipinge il presidente del New Deal (non esente, ricordiamolo, da politiche antioperaie e dall’adesione alla più catastrofica guerra della storia umana) nel suo eroico impegno verso la mai approvata Carta dei Diritti come colui che avrebbe contribuito ad importare negli USA quei valori di uguaglianza che stavano per attecchire nelle costituzioni europee, ignorando come anche qui, a livello di costituzione materiale, se ne faccia invece ugualmente strame ogni giorno. *** 1/2, nonostante tutto.
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luca scialò
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mercoledì 18 maggio 2011
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moore racconta un colpo di stato finanziario
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Docu-film di Michael Moore sul recente crollo finanziario partito da Wall Street e che nel giro di pochi mesi ha investito tutto il Mondo per effetto del sistema economico globalizzato di cui facciamo parte. Come sempre fatto, anche in questa occasione Moore alterna le spiegazioni tecniche degli addetti ai lavori con i drammi degli ultimi. Nella fattispecie, quanti sono stati cacciati da casa per insolvenza verso le banche o quanti avevano sulla propria testa assicurazioni sulla vita senza nemmeno saperlo e incassare niente.
Due ore di cronistoria del capitalismo, dalle origini con Reagan fino al suddetto crollo. Non mancano momenti di ironia, il più delle volte però aventi sempre un retrogusto amaro.
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Docu-film di Michael Moore sul recente crollo finanziario partito da Wall Street e che nel giro di pochi mesi ha investito tutto il Mondo per effetto del sistema economico globalizzato di cui facciamo parte. Come sempre fatto, anche in questa occasione Moore alterna le spiegazioni tecniche degli addetti ai lavori con i drammi degli ultimi. Nella fattispecie, quanti sono stati cacciati da casa per insolvenza verso le banche o quanti avevano sulla propria testa assicurazioni sulla vita senza nemmeno saperlo e incassare niente.
Due ore di cronistoria del capitalismo, dalle origini con Reagan fino al suddetto crollo. Non mancano momenti di ironia, il più delle volte però aventi sempre un retrogusto amaro.
Un film in pieno stile Moore insomma, che a chi ha apprezzato i precedenti, piacerà senz'altro.
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olgadik
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giovedì 5 novembre 2009
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moore colpisce ancora
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I suoi documentari puntigliosi, sarcastici, costellati di interviste, hanno reinventato il genere, trasformandolo in giornalismo di inchiesta militante, toccante e demagogico (anche) ma indubbiamente coraggioso. Se il marchio personale non tralascia una costante ironia che fa pensare su altri versanti a Woody Allen, la sostanza amara del suo impegno non viene meno neanche in questa sua ultima opera. Si avverte però in qualche modo che la vis polemica è diminuita insieme alla capacità di sconvolgere o commuovere (vedi Bowling a Colombine o Sicko) ed è lo stesso Moore a dichiarare la sua stanchezza di “combattente” verso la fine del film. Detto questo, non si può negare che la domanda “Perché pagano sempre i più poveri?”, alla base di tutta la sua riflessione cinematografica, riceva ancora una volta spiegazioni condotte con un vivace ritmo di montaggio, variamente argomentate, e con un commento musicale sui generis.
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I suoi documentari puntigliosi, sarcastici, costellati di interviste, hanno reinventato il genere, trasformandolo in giornalismo di inchiesta militante, toccante e demagogico (anche) ma indubbiamente coraggioso. Se il marchio personale non tralascia una costante ironia che fa pensare su altri versanti a Woody Allen, la sostanza amara del suo impegno non viene meno neanche in questa sua ultima opera. Si avverte però in qualche modo che la vis polemica è diminuita insieme alla capacità di sconvolgere o commuovere (vedi Bowling a Colombine o Sicko) ed è lo stesso Moore a dichiarare la sua stanchezza di “combattente” verso la fine del film. Detto questo, non si può negare che la domanda “Perché pagano sempre i più poveri?”, alla base di tutta la sua riflessione cinematografica, riceva ancora una volta spiegazioni condotte con un vivace ritmo di montaggio, variamente argomentate, e con un commento musicale sui generis. Se il vero colpevole è il capitalismo, ripartendo addirittura dalla crisi dell’impero romano, il regista allarga il discorso dalla sua città Flint a tutto il mondo. In questa ottica fa vedere come la logica interna del capitale agisce sulla vita della popolazione media e povera, continuando ad arricchire quell’un per cento di americani che possiede più di tutto il restante novantanove per cento. Nelle interviste, condotte con insistenza e aggressività mentre col suo camioncino blindato si sposta per tutti i santuari della finanza, sfilano i volti degli “agnelli” e dei “lupi”. I primi sono quelli che hanno perso il posto di lavoro, quelli che svelano come le banche incassino polizze assicurative sulla vita degli impiegati, quelli che debbono sgombrare in tutta fretta dalla propria casa pignorata per il disastro mutui. I secondi sono gli operatori finanziari di Wall Streat, il presidente Bush e i suoi consiglieri, gli industriali che causa crisi non pagano ferie e liquidazioni ai lavoratori, gli agenti immobiliari che speculano arricchendosi sulle disgrazie altrui. Su tutto ciò aleggia il capitale e il profitto, spacciati come sinonimi di democrazia e vicini alla parola di Cristo (qui Moore mette in bocca al Cristo di Zeffirelli i propri pensieri). Diversa la ricetta del regista: “Il capitalismo è un male, non lo si può regolare, bisogna eliminarlo e sostituirlo con qualcosa d’altro: la democrazia”. A questo proposito ecco le immagini di un discorso quasi inedito di Roosvelt che, già molto malato, propone e promette in tv agli americani di riscrivere la Carta dei Diritti per permettere a tutti di completare la strada delle conquiste sociali. Non lo farà mai perchè morirà un anno dopo. Oggi questa aspirazione è stata ripresa sull’onda delle speranze e della rinnovata partecipazione del popolo Usa al programma politico di Obama. Sulla spinta di tale cambiamento si chiude il film, mentre si vede il regista che, giunto di fronte al palazzo di Wall Street, lo circonda con un nastro giallo, come quelli usati dalla polizia, per circoscrivere “la scena del crimine”. Crimine più grave di quel colpo di stato finanziario che ha giovato alle banche, ancora una volta salvate, e che ha devastato la vita della gente comune, non si poteva trovare! C’è da augurarsi che al pingue contestatore dal sorriso arguto e volpino, si affianchi gente di buona volontà e arrabbiata il giusto.
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(di francesco2)
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filippo catani
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sabato 14 settembre 2013
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i tanti e troppi difetti del capitalismo
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Micheal Moore in questo documentario riflette sul rapporto, impossibile a suo dire, tra capitalismo e democrazia.
C'è poco da fare: quando la grande finanza costruisce i suoi ricavi da favola non li divide con nessuno mentre invece crea sconquassi mondiali tutta la popolazione è chiamata a pagare dazio. Basterebbe questo per capire da dove nasce la protesta di Moore e dei tanti movimenti che negli ultimi anni a partire da Occupy Wall Street stanno lottando contro l'1% della popolazione che ha tutto. Fa davvero male vedere le persone cacciate con la forza dalle loro case pignorate e vedere che chi si occupa di dare i soldi di salvataggio alle banche nemmeno sa dove siano finiti.
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Micheal Moore in questo documentario riflette sul rapporto, impossibile a suo dire, tra capitalismo e democrazia.
C'è poco da fare: quando la grande finanza costruisce i suoi ricavi da favola non li divide con nessuno mentre invece crea sconquassi mondiali tutta la popolazione è chiamata a pagare dazio. Basterebbe questo per capire da dove nasce la protesta di Moore e dei tanti movimenti che negli ultimi anni a partire da Occupy Wall Street stanno lottando contro l'1% della popolazione che ha tutto. Fa davvero male vedere le persone cacciate con la forza dalle loro case pignorate e vedere che chi si occupa di dare i soldi di salvataggio alle banche nemmeno sa dove siano finiti. Pure il recente Inside Job aveva puntato sul terribile meccanismo dei derivati e Moore mostra con grande amarezza come i migliori cervelli matematici del paese vengano assoldati dalle banche per creare questi terribili algoritmi finanziari. D'altra parte come si fa a dire di no quando un giovane studente esce dall'università con debiti che possono toccare i 100.000 dollari?. Troppo spesso sono caduti nel vuoto gli appelli per una regolamentazione della finanza che riesce a creare moneta e distruggerla dal nulla. Poi non si possono nemmeno commentare le assicurazioni fatte sui dipendenti che con le loro morti vanno ad arricchire le grandi aziende. Come dice Moore a fine documentario la speranza è che sempre più persone prendano coscienza delle disuguaglianze prodotte dal sistema e scendano in piazza per cercare di cambiare le cose cercando anche di trovare un leader affidabile che appoggi queste istanze.
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