fabrizio cirnigliaro
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martedì 2 febbraio 2010
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se i poveri si arrabbiano un pò
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Autori di un programma televisivo di successo per la TV francese, decidono di realizzare una pellicola “politacamente scorretta”, inquietante, che esce nelle sale cinematografiche in piena crisi economica. In Francia nel frattempo alcuni operai stavano iniziando ad escogitare metodi diversi per far “sentire” la loro voce, per attirare l’attenzione dei media, iniziano infatti i primi sequestri dei “manager delle aziende”.
Questi fatti di cronaca sono stati un ottimo vettore per il lancio del film, una pubblicità del tutto inaspettata. Molti argomenti trattati nel film non risultavano niente affatto nuovi a chi segue da anni un certo giornalismo di inchiesta, quella che alcuni insistono a chiamare “disinformazione”, che poi non é altro che l’unica vera informazione.
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Autori di un programma televisivo di successo per la TV francese, decidono di realizzare una pellicola “politacamente scorretta”, inquietante, che esce nelle sale cinematografiche in piena crisi economica. In Francia nel frattempo alcuni operai stavano iniziando ad escogitare metodi diversi per far “sentire” la loro voce, per attirare l’attenzione dei media, iniziano infatti i primi sequestri dei “manager delle aziende”.
Questi fatti di cronaca sono stati un ottimo vettore per il lancio del film, una pubblicità del tutto inaspettata. Molti argomenti trattati nel film non risultavano niente affatto nuovi a chi segue da anni un certo giornalismo di inchiesta, quella che alcuni insistono a chiamare “disinformazione”, che poi non é altro che l’unica vera informazione.
i due registi francesi non hanno fatto altro che captare quello che era già nell’aria, aggiungendoci una buona dose di ironia e di battute al vetriolo.
Nella pellicola c’è chi decide di cambiare sesso per poter trovare un lavoro, ci sono i clandestini nelle imbarcazioni della disperazione, c’è chi, incapace di ripagare i debiti alla banca per poter mantenere viva la propria attività agricola, uccide in un momento di follia il funzionario della banca, c’è il complottista che simula con mezzi “poveri” l’attentato alle torre gemelli fornendo una ”teoria” sui fatti dell’11 Settembre che smentisce la versione ufficiale. Ma soprattutto ci sono gli operai, gli ultimi a sapere ma i primi a pagare, disposti, per poter vivere una vita degna di essere vissuta, a rinunciare al tetto delle 35 ore di lavoro, ai buoni pasto, agli aumenti del salario, perché c’è sempre un motivo per dover stringere i denti e piegare la schiena.
Una volta è una congiuntura negativa, un’altra un euro troppo forte.
Ogni volta si da via un pezzo della propria dignità, rinunciando ai propri diritti, continuando a lavorare per aziende che nel frattempo vengono assorbite,o prendono parte a della Joint venture. Non si ha più neanche la certezza di chi sia il proprio padrone, a chi è in mano il proprio destino, un rompicapo che erroneamente si associa al cubo di Rubik, in quanto non segue nessuna logica, se non quella del profitto.
Louise e Michel sono brutti, grassi, antipatici e scorbutici. Ciò nonostante sono degli eroi dei giorni nostri, proprio loro che ad un certo punto della propria vita decidono di ribellarsi a coloro che li hanno manovrati come marionette, e riescono a coinvolgere nelle loro azioni gli ultimi, gli altri “perdenti”, gli sconfitti, dimostrando che “se i poveri si arrabbiano un po’ non è un male”
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olgadik
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mercoledì 15 aprile 2009
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un filkm politicamente scorretto
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Ho trovato un solo limite del film. Detto questo, non posso che snocciolare una serie di Evviva! Bravi, evviva il coraggio dell’anticonformismo del conforme; evviva chi dice tanto di serio, facendo anche ridere tutti noi depressi e un po’ in fuga dalla crisi che morde duro. Ciò che non mi è piaciuto di quest’opera è presto detto: la forma. Sciatta, piatta, quasi amatoriale in negativo, non sfigurerebbe su Youtube a fianco di qualche tentativo di ventenne un po’ sgangherato. E ora passo agli evviva. I bravi sono una coppia di registi sceneggiatori belgi (un po’ come i Dardenne e i Coen ai quali somigliano) che sono cresciuti con la tv. Certamente sull’anarchico, certamente con una piattaforma seria sotto la noir-comedy, i due si divertono a scompaginare certezze e luoghi comuni del pensiero attuale, intoccabile quasi come i dogmi.
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Ho trovato un solo limite del film. Detto questo, non posso che snocciolare una serie di Evviva! Bravi, evviva il coraggio dell’anticonformismo del conforme; evviva chi dice tanto di serio, facendo anche ridere tutti noi depressi e un po’ in fuga dalla crisi che morde duro. Ciò che non mi è piaciuto di quest’opera è presto detto: la forma. Sciatta, piatta, quasi amatoriale in negativo, non sfigurerebbe su Youtube a fianco di qualche tentativo di ventenne un po’ sgangherato. E ora passo agli evviva. I bravi sono una coppia di registi sceneggiatori belgi (un po’ come i Dardenne e i Coen ai quali somigliano) che sono cresciuti con la tv. Certamente sull’anarchico, certamente con una piattaforma seria sotto la noir-comedy, i due si divertono a scompaginare certezze e luoghi comuni del pensiero attuale, intoccabile quasi come i dogmi. Penso a un salotto della sinistra ufficiale che li guarderebbe con molto sospetto… Poi però si scopre che il titolo altro non è che il nome e cognome di una militante anarchica francese, femminista e creatrice di scuole a sua misura per bambine proletarie. E vediamo il secondo evviva. Il racconto mescola alla perfezione due poli, uno grottesco, l’ altro serio. Si tratta dei poveracci di sempre, se non vogliamo più chiamarli proletari, i quali, se hanno un lavoro, possono vedersene espropriati dall’oggi al domani. E come reagiscono? Le nostre operaie perdenti posto non pensano a nuove piccole attività, a improbabili iniziative da avviare con la loro piccola liquidazione, ma vanno al cuore del problema. Che una volta siano i responsabili a pagare, bisogna assoldare un killer e far fuori il padrone. Ma siccome dalla prima scena si capisce che la chiave del discorso è surreale (il film si apre con un tentativo di cremazione maldestro) nessuno si sogna di pensare a violenze reali, bensì ad azioni simbolo come quelle oggi in atto dove si sequestrano magari per un sol giorno manager intoccabili. E siamo al terzo evviva. Via via che i fatti si dipanano ne vediamo delle belle e si ride di cuore pure se col fondo amaro. Animali oggetto non di amore ma di caccia (la protagonista li cattura e li mangia crudi), killer che non riescono neanche a custodire l’arma perché se la perdono per strada, malati terminali assoldati per uccidere che sbagliano bersagli, padrone da eliminare che si sposta per tutta l’Europa costringendo Louise e Michel a inseguire ogni volta nuovi obiettivi. In di più, tutto non è come appare. Per esempio, la struttura massiccia e i peli sulle braccia di Louise nonché l’inadeguatezza di Michel come killer hanno origine in una identità diversa da quella normale… L’unica cosa a rimanere uguale è l’oppressione dell’uomo sull’uomo. Ma anch’essa può essere cancellata almeno sullo schermo, sepolta sotto le risate e tante visionarie e picaresche avventure… Dei due attori che dire? Non sono certo politicamente perfetti, ma come interpreti sì. L’una (Yolande Moreau) parla con gli occhi, duri verdi, malinconici al fondo; l’altro (Bouli Lanners) si esprime con il suo corpaccione goffo e l’aria imbranata. E l’ultimo evviva è per loro.
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gus da mosca
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lunedì 21 settembre 2009
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brutto, sporco e cattivo
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Film sulle apparenze che ingannano, sulle suggestioni che deludono, sui suggestivi e deludenti inganni dell'apparire. Una satira amara, nerissima, postmarxista ed antipopulista che irride al sociale militante ed irriverisce ai frivoli venditori di benessere apparente. Questo film francese non parla di benessere televisivo e neppure di lotte in piazza, ma letto da un punto di vista italiano (televisivo e manifestante) risulta lo stesso dirompente ed oltraggioso, per chiunque. La splendida scelta di una fotografica statica dove i protagonisti entrano ed escono dalla scena, senza essere seguiti dalle immagini, amplifica il disincantato modo di affrontare la vita dei 2 protagonisti, quasi asessuati nella loro insignificante bruttezza, sicuramente decisi ad apparire altro da quel che sono, solo per cercare di esistere, non per sopravvivere.
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Film sulle apparenze che ingannano, sulle suggestioni che deludono, sui suggestivi e deludenti inganni dell'apparire. Una satira amara, nerissima, postmarxista ed antipopulista che irride al sociale militante ed irriverisce ai frivoli venditori di benessere apparente. Questo film francese non parla di benessere televisivo e neppure di lotte in piazza, ma letto da un punto di vista italiano (televisivo e manifestante) risulta lo stesso dirompente ed oltraggioso, per chiunque. La splendida scelta di una fotografica statica dove i protagonisti entrano ed escono dalla scena, senza essere seguiti dalle immagini, amplifica il disincantato modo di affrontare la vita dei 2 protagonisti, quasi asessuati nella loro insignificante bruttezza, sicuramente decisi ad apparire altro da quel che sono, solo per cercare di esistere, non per sopravvivere. Nessuno sopravvive, chi lo fa e' meglio che acceleri la sua scomparsa con un gesto di esistenza apparente, con un suicidio. Tra reciproci scambi di sesso, condominii che crollano alle spalle appena si e' usciti di casa, uomini che partoriscono, guardoni che si portano dietro una maniglia per poter guardare sempre da un buco di serratura, stragi di massa di munifici imprenditori, il film semina panico piu' che divertimento nello spettatore schierato, donvunque si sia schierato. Grande recitazione, grande fotografia, grandissimo film francese, brutto, sporco e cattivo.
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martedì 14 aprile 2009
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a mali estremi, estremi rimedi
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Louis e Michel, ovvero come utilizzare la liquidazione per far fuori il proprio ex datore di lavoro. Il film racconta la storia di un gruppo di operaie tessili francesi, che dalla sera alla mattina si ritrovano senza un impiego e con una misera liquidazione in mano, inutile a qualsiasi scopo se non... IDEA! Perché non farne una colletta per ingaggiare un killer che recapiti il conto, con tanto di interessi, all’ex capo! Detta così potrebbe far pensare a un film che riabbracci la teoria della lotta armata, o che suggerisca alternative più drastiche al “semplice” rapimento di manager, ormai alla ribalta delle ultime cronache.
Invece, attraverso il rifiuto metodico del prevedibile, del politically correct e di qualsiasi logica di buon gusto, Gustave Kervern (che debuttò in televisione con un road movie in sedia a rotelle) distoglie subito l’attenzione dal "tema" del film, per introdurci in un mondo fatto di paradossi, di personaggi impossibili, di situazioni surreali.
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Louis e Michel, ovvero come utilizzare la liquidazione per far fuori il proprio ex datore di lavoro. Il film racconta la storia di un gruppo di operaie tessili francesi, che dalla sera alla mattina si ritrovano senza un impiego e con una misera liquidazione in mano, inutile a qualsiasi scopo se non... IDEA! Perché non farne una colletta per ingaggiare un killer che recapiti il conto, con tanto di interessi, all’ex capo! Detta così potrebbe far pensare a un film che riabbracci la teoria della lotta armata, o che suggerisca alternative più drastiche al “semplice” rapimento di manager, ormai alla ribalta delle ultime cronache.
Invece, attraverso il rifiuto metodico del prevedibile, del politically correct e di qualsiasi logica di buon gusto, Gustave Kervern (che debuttò in televisione con un road movie in sedia a rotelle) distoglie subito l’attenzione dal "tema" del film, per introdurci in un mondo fatto di paradossi, di personaggi impossibili, di situazioni surreali. Non si prefigge lo scopo di raccontare una storia né tantomeno di passare un messaggio; l’unico interesse è sorprendere, scagliandosi contro ogni tipo di convenzione.
Un inanellarsi di gag sempre divertenti, a volte irresistibili, che accompagnano lo spettatore fino alla fine del film, quella vera. Amici ansiosi di alzarsi appena iniziano i titoli di coda… siete avvisati!
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ciccio capozzi
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giovedì 9 aprile 2009
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anche nel loro piccolo gli sfigati s'incazzano....
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“LOUISE MICHEL” di BENOIT DELEPINE & GUSTAVE KERVERN; FRA, 08. Louise, un’operaia, e compagne che, tra la sera e la mattina si trovano in mezzo alla strada, vogliono usare i soldi della risibile liquidazione per un killer che faccia fuori il padrone. Uscito in Francia nel 2008, ha profetizzato su alcuni aspetti dell’attuale crisi mondiale. Sia per l’improvvisa chiusura della fabbrica, e sia perché in più di un caso i dirigenti di fabbriche che licenziavano, sono stati oggetto di detenzione degli operai. Il film è debitore allo stile di Aki Kaurismaki, il regista finlandese. Si nota in quelle atmosfere scenografiche così sfattamente assurde, sporche e sempre in bilico. La stessa Louise, Yolande Moreau, la splendida non-star, per la sua ostentata kiattezza e sgrazia, ricorda fisicamente le facce del cinema di Kaurismaki; non sa leggere, ma capisce bene le psicologie della gente.
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“LOUISE MICHEL” di BENOIT DELEPINE & GUSTAVE KERVERN; FRA, 08. Louise, un’operaia, e compagne che, tra la sera e la mattina si trovano in mezzo alla strada, vogliono usare i soldi della risibile liquidazione per un killer che faccia fuori il padrone. Uscito in Francia nel 2008, ha profetizzato su alcuni aspetti dell’attuale crisi mondiale. Sia per l’improvvisa chiusura della fabbrica, e sia perché in più di un caso i dirigenti di fabbriche che licenziavano, sono stati oggetto di detenzione degli operai. Il film è debitore allo stile di Aki Kaurismaki, il regista finlandese. Si nota in quelle atmosfere scenografiche così sfattamente assurde, sporche e sempre in bilico. La stessa Louise, Yolande Moreau, la splendida non-star, per la sua ostentata kiattezza e sgrazia, ricorda fisicamente le facce del cinema di Kaurismaki; non sa leggere, ma capisce bene le psicologie della gente. Occupa gli spazi sia visuali che gestuali con una forza che impressiona, tenendo conto cha parla pochissimo. Il suo gioco di rimandi fisici nel film con l’altro, il simil-killer Michel, il geniale e intellettuale attore Bouli Lanners, non poteva essere più perfetto. Tra i due si gioca una partita di coppia di alto livello: il loro atteggiarsi, benché ai limiti di uno stato di follia dissociativa, è estremamente misurato, tal che si possono permettere con la più tranquilla concretezza le imprese più strampalate, che i registi, anche sceneggiatori, seguono con la più assoluta fedeltà cronachistica. Dal silenzio metropolitano in cui immergono le realtà operaie che ritraggono, mostrano un approccio di tipo provinciale: particolarmente congeniale ai due attori protagonisti, che sono belgi. Però, mentre il cinema di Kaurismaki è quasi astratto nella sua geometrica linearità sia narrativa che visuale, i due registi immettono nel narrato una buona dose di umanità, direi molto carnale. Le relazioni tra i due sono approfondite e precisate in termini di assoluta differenza: in effetti sono due transgender, per cui lo stabilirsi di una sincera e profonda corrente affettiva, fino a formare un famiglia è a ruoli apparentemente alternati. Ma è un percorso che partito in un’atmosfera plumbea, trova una dimensione di dolcezza reale. E anche lo sfegatato anarchismo sociale che fin dall’inizio, con allegro disprezzo della dimensione politicamente corretta, mette in scena la rabbia degli ultimi, trova nel sottofinale un’ironica, geniale sconfessione, più attenta alla natura transnazionale dell’attuale capitalismo crisaiolo. Solo che per vederla bisogna aspettare lo scorrere di tutti i titoli di coda: pure questa disposizione è briosamente strafottente. Il film è dedicato a Louise Michel, eroina della Comune.
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jaky86
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mercoledì 23 febbraio 2011
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grottesca commedia francese
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Black comedy che segue i registri tipici del cinema francese interpretata fantasticamente dai due protagonisti, spontanei, surreali e divertenti. Forse il trailer illude di essere davanti a un capolavoro della comicità, mentre, tutto sommato, non si ride così tanto, alternando scene irresistibili a momenti di riflessione. Da non perdere comunque.
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pipay
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domenica 12 aprile 2009
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film che prende in giro se stesso e gli spettatori
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Peccato. L'idea era buona. Anche gli attori che interpretano il ruolo di Louise e Michel, ovvero del "killer" e di colei che commissiona l'omicidio, meritano un plauso per la spontaneità e l'efficacia della recitazione. I due formano una coppia davvero singolare, unica e sicuramente originale. Le premesse per realizzare qualcosa di buono, in fondo, c'erano tutte. Ma si è voluto premere troppo sul pedale del surreale, dell'imprevedibile, dello sbillacco. Ne risulta una storia che sa di presa in giro, completamente sgangherata, che non ha la struttura per diventare film. I due registi hanno fatto anche troppo, a fronte di una sceneggiatura troppo debole. La pellicola abortisce lasciando l'amaro in bocca allo spettatore che, ripeto, con due attori così insoliti e con un plot che poteva essere costruito molto meglio, non può che uscire dal cinema piuttosto deluso.
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Peccato. L'idea era buona. Anche gli attori che interpretano il ruolo di Louise e Michel, ovvero del "killer" e di colei che commissiona l'omicidio, meritano un plauso per la spontaneità e l'efficacia della recitazione. I due formano una coppia davvero singolare, unica e sicuramente originale. Le premesse per realizzare qualcosa di buono, in fondo, c'erano tutte. Ma si è voluto premere troppo sul pedale del surreale, dell'imprevedibile, dello sbillacco. Ne risulta una storia che sa di presa in giro, completamente sgangherata, che non ha la struttura per diventare film. I due registi hanno fatto anche troppo, a fronte di una sceneggiatura troppo debole. La pellicola abortisce lasciando l'amaro in bocca allo spettatore che, ripeto, con due attori così insoliti e con un plot che poteva essere costruito molto meglio, non può che uscire dal cinema piuttosto deluso.
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francesco2
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domenica 27 marzo 2011
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arridatece guediguan
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Un'altro sguardo sulla Francia dei poveri, lontana dalla Parigi di "Amélie", del noioso "..Parigi" o di "Place Vendome". Dico un altro perché mi ricollego alla "Ville tranquille" di Guediguan. Apprendo adesso che i registi hanno un'origine televisiva, come quella dell'irrisolto ma curioso "Religolous". Ciò forse può aiutare ad analizzare meglio il film. Ma andando con "Ordine", bisognerebbe sottolineare come quest'opera si concentri su una storia specifica, per quanto coinvolga un gruppo di opraie, mentre "La ville est tranquille" è un film più marcatamentecorale.
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Un'altro sguardo sulla Francia dei poveri, lontana dalla Parigi di "Amélie", del noioso "..Parigi" o di "Place Vendome". Dico un altro perché mi ricollego alla "Ville tranquille" di Guediguan. Apprendo adesso che i registi hanno un'origine televisiva, come quella dell'irrisolto ma curioso "Religolous". Ciò forse può aiutare ad analizzare meglio il film. Ma andando con "Ordine", bisognerebbe sottolineare come quest'opera si concentri su una storia specifica, per quanto coinvolga un gruppo di opraie, mentre "La ville est tranquille" è un film più marcatamentecorale. Ma soprattutto che, complice la citata origine televisiva di Délepine e di De Gevern, la scelta adottata è quella di un registro grottesco che abbastanza, secondo me, deve al già citato Jeunet, forse soprattutto nella "Lunga domenica di passioni" ed in "Delicatessen".
Ma questo mi pone di fronte a due limiti del film. Intanto bisogna interrogarsi sul tipo di ironia. Che talvolta raggiunge livelli di autentica amarezza, più o meno sottileo più o meno plateale: nel primo caso penso a Louise che non sa leggere un avviso importante, nel secondo alla sorella "Strumentalizzata" che commette un omicidio prima di togliersi la vita, trovandosi fra l'altro in fase terminale. Il punto però è che l'ironia, specie se usata per soggetti così drammatici, non deve mai scadere nella caricatura, cosa che avviene in situazioni come la casa(Sic!)labirinto, dialoghi come quello che Julien fa sull'esercito di oggi, o l'ultima scena col "Capitalista" c pura macchietta sterminata insieme alla famiglia(Troppo caricato).. Qualcuno ha citato Kaurismaki: ma il miglior Kaurismaki non cerca di imitare lo stile di Jeunet, la sua è un'ironia velata che talora sceglie addirittura il bianco e nero per autospogliarsi degli eccessi visivi.
Ma il secondo limite forse è proprio la scelta di questo stile. Ridere del tragico, volendo essere esigenti, è una trappola facile in cui potrebbero e diovrebbero cimentarsi solo i grandi. Volendo essere meno esigenti, si può pensare ai nostri "Tano da morire" o a certi Ciprì e Maresco, che sembrano sarcastici su una realtà palermitana forse già "Morte al lavoro", irrimedibile; o al recente "Kill me Please", che peraltro sia vvale anch'esso del bianco e nero. "Una lunga domenica di passioni", a sua volta, usa l'umorismo che usa per spogliare il cinema "Jeunetiano" da un certo buonismo di cui si accusa, in un contesto ove al dramma si alteranche na la speranza. Qui, no. Si sceglie la sregolatezza, si fa morires empre il capitalista sbagliato per dare l'idea di un sistema foucaultiano, si realizza un film "Brutto" forse per dare un'idea del contesto greve in cui si muovono (O vorrebbero farlo) i protagonisti. Che avolte sono pure caricature, come quelle del sopravvalutatissimo "Concerto". Per questo, senza dimenticare i meriti di questo film, che si salva per la sua ironia gallica, andrebbe ancor più elogiato Guédiguan, nel film che ho citato come in "Al posto del cuore".
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mariagiovanna
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mercoledì 8 aprile 2009
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un divertissement in noir
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un film piuttosto gradevole (se "gradevole" può essere definito un argomento del genere) che non manca di regalare scene estremamente divertenti (una su tutte il dialogo pazzesco tra il "killer" e il proprietario di un b&b bio-eco-compatibile -lo stesso Kassovitz-).
diciamo che gli attori de "il favoloso mondo di amelie" si sono un po' ritrovati tutti in questo film.
una storia al limite del surreale e tuttavia coinvolgente.
la regia mi è piaciuta abbastanza, anche se non ci sono stati colpi di genio o arditezze particolari.
da vedere per passarsi un pomeriggio un po' particolare.
3 stelline
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